Un prologo che è un nuovo capitolo...
Scrive Fidel:
“Camacho: lui era uguale a tanti altri giovani di
qualsiasi parte del paese, già stanchi di
sopportare povertà, disoccupazione, sfruttamento e
ingiustizia, che contrastavano con la vita
privilegiata di una minoranza associata ai
proprietari stranieri. Chi non intendeva questo,
non intendeva assolutamente niente”
Lui avrebbe potuto cedere tutto, anche il suo
incarico, dato che lo aveva già sfruttato per 5
anni, con tutte le sue entrate e i succulenti
benefici in cambio di un solo impegno:
l’intangibilità dei quadri dell’Esercito.
Nessuno si poteva opporre a quella soluzione e
avrebbe conservato tutta la sua influenza politica
e militare nel paese; non sarebbe stato possibile
chiedergli di rendere conto di tutti gli imbrogli
passati e presenti; con lui si sarebbe salvata
anche la sua stessa banda, perchè i popoli, nel
loro affanno di pace, sono capaci di perdonare
molte cose.
Quelli che desideriamo cambiamenti più profondi
nella nostra vita pubblica, ci saremmo visti messi
in un angolo, e ci saremmo dovuti rassegnare al
marciume della politica tradizionale, con la
tristezza infinita di vedere impuniti tanti
crimini, in attesa di un’altra opportunità.
Forse saremmo diventati vecchi.
Oggi è il rovescio in assoluto. L’Esercito vede in
pericolo la sua stessa esistenza. I soldati si
stanno svegliando alla realtà; quelli che si
dicevano loro amici hanno preferito sacrificare
gli istituti armati prima di cedere un apice dei
loro interessi, delle loro ambizioni bastarde,dei
loro appetiti di potere.
La pace si è trasformata in un clamore e se la
pace non si può ottenere in altra forma che
distruggendo l’edificio traballante, nessuno sarà
disposto a morire sotto le sue rovine per
sostenerlo.
Anche se un accordo tra militari e rivoluzionari è
quel che potrebbe ancora salvare l’esercito dalla
sua totale disintegrazione, questo appare molto
difficile perchè l’esercito stesso manca di un
leader d’alta gerarchia, con una forza propria e
una morale sufficiente per parlare a nome del
Corpo.
I militari più coscienti ma di minor gerarchia,
che non possono utilizzare le loro forze per agire
all’interno del corpo, non fanno causa comune con
la Rivoluzione perchè non sono capaci di puntare
le loro armi contro la tirannia.
Come se Batista fosse l’esercito, come se
Tabernilla, Chaviano, Pilar García e gli altri
capi criminali e ladri fossero l’esercito.
Si chiama slealtà cospirare contro di loro, si
chiama tradimento, il diritto e il dovere di
ribellarsi contro la criminale e corrotta
autocrazia, anche se non fosse che per salvare
l’esercito dalla sua disintegrazione e salvare la
vita di tanti soldati che stanno morendo e vanno a
morire in nome d’una vergognosa e ignobile causa,
se non interessa loro per niente il destino della
nazione.
Batista si trova in una strada senza uscita e con
lui l’Esercito.
Questa verità che oggi è evidente e lo sarà ogni
giorno di più qualsiasi misura prenda, dato che è
troppo tardi per rimediare, soprattutto quando la
mancanza di previsione è completa e la cecità
assoluta.
L’esercito si sta disarticolando a vista d’occhio,
senza che nessuno lo possa impedire, perchè gli
esercito nazionali si fondano per fini più nobili
del crimine, il ricatto e la repressione.
L’atteggiamento delle truppe è di assoluta
disillusione e sono pochi gli ufficiali - e sempre
meno- con l’animo di sollevare le loro unità al
combattimento, e non per mancanza di coraggio, ma
per qualcosa di più doloroso e irrimediabile, per
mancanza d’incitamento, di ragioni per lottare,
perchè non si può avere coraggio senza convinzione.
Le nuove reclute disertano a centinaia.
La lotta senza dubbio non è entrata nella sua
tappa più dura.
Già non si può più impedire: le colonne ribelli si
estenderanno per tutto il territorio e si sa bene
che in qualsiasi luogo giungono, prosperano
rapidamente.
Sessanta uomini che partirono dalla Sierra Maestra
sei mesi fa verso il nord della provincia, oggi
occupano un esteso territorio di migliaia di
chilometri quadrati, che è un modello
d’organizzazione, amministrazione e ordine, nel
cui seno si trova la ricchezza di diciassette
fabbriche di zucchero, con le riserve minerali più
preziose di Cuba.
Il 95% della produzione di caffè si ottiene in
questo territorio libero. Non avevamo, quando
abbiamo cominciato, i nostri mortai 81, nè i
bazooka, nè le centinaia di armi automatiche
conquistate nell’ultima offensiva.
La necessità ci ha insegnato a combattere a mani
vuote, ma presto combatteremo con le mani piene.
La rivoluzione avanza, la dittatura retrocede.
L’embargo delle armi dagli Stati Uniti si manterrà;
l’acquisto degli strumenti in Israele è stato
bloccato da nostri amici all’estero, dopo che era
stato depositato già un milione di pesos. Il
Governo si vede obbligato ad acquistare armi senza
autorizzazione, come un volgare contrabbandiere.
Il panorama non può essere più desolante.
I giorni passano, le garanzie continuano ad essere
sospese, la censura non si elimina. Parlano solo i
politici più depravati, le cui voci non sono
ascoltate da nessuno, le cui grida impotenti di
uomini senza pudore nè prestigio, non sono sentite
da nessuno, e contribuiscono solo a rendere più
ripugnante e schifosa l’asfissiante atmosfera.
Batista non ha una via d’uscita possibile.
Decide di restare? Tanto peggio per lui e per l’
Esercito; la ribellione e la cospirazione si
triplicherebbero.
Che decida d’andarsene, consegnando il potere alla
pseudo opposizione che gli fa gioco.
Come potrebbe Batista consegnare il potere a Grau,
nel mezzo di una guerra civile, dopo aver detto ai
soldati per sette anni che il colpo del 10 di
Marzo era stato una necessità di fronte all’anarchia
e alle aggressioni dei governi autentici alle
Forze Armate?
E che Márquez Sterling ha sempre meno voti di
Grau.
Metteranno i soldati a riempire le urne a favore
di Márquez Sterling?
Lei non crede che sarebbe il colmo della farsa,
nel mezzo di tanto sangue sparso? Per questo hanno
fatto morire tanti soldati?
Il popolo non accetterebbe mai il risultato di
queste elezioni in cui sono assenti le forze
maggioritarie e sane del paese, per mancanza di
garanzie, il terrore e la mancanza generale di
fiducia. Non esiste il diritto di condannare la
nazione ad un governo dei peggiori. Tutti i nostri
mali si aggraverebbero; nessuno di questi
politici avrebbe autorità per ristabilire la pace
nel paese. Non riconosceremmo il risultato di
queste elezioni che costituiscono una burla
sanguinosa.
La Rivoluzione offre qualcosa di migliore e
diverso per Cuba, come una speranza alla quale non
possono essere insensibili questi stessi soldati
che sono stati portati ad una guerra criminale ed
ingiusta.
Quando i militari parlano di ordine, opponendosi
ad un cambio brusco, pensano forse troppo al
sangue che il popolo, in una giusta vendetta,
potrebbe far versare alla caduta della tirannia.
Ogni
spettacolo di folla impazzita è deprimente e serve
per screditare e incolpare le Rivoluzioni dei loro
eccessi, ma i colpevoli dei disordini che accadono
sono coloro che propugnano l’impunità del crimine
e del delitto in generale, ed obbligano i popoli a
vendicarsi con le sue stesse mani.
Molti militari sono preoccupati per questi
disordini, ma non si sono mai preoccupati per gli
omicidi in massa di infelici contadini, delle
spaventose sevizie sofferte dai rivoluzionari
nelle camere di tortura della polizia, dei crimini
commessi in tutte le città e nei paesi dell’Isola
dagli sbirri del regime e dai gangsters di
Manferrer, soggetti usciti dalle prigioni, che con
grande vergogna delle Forze Armate stanno
esercitando le funzioni di ordine pubblico. Non
hanno il diritto adesso d’invocare l’ordine come
uno scudo tra la vendetta del popolo e le teste
dei colpevoli.
Gli
uomini d’ordine non tollerano il crimine e quelli
che lo hanno tollerato per impotenza, devono
accettare come inevitabili gli strappi dolorosi
della Rivoluzione, che è una conseguenza del
dispotismo, dell’ingiustizia e del crimine.
Nell’ora in cui lei analizza i nostri punti di
vista, deve tener presenti le conseguenti
considerazioni:
a) Le nostre colonne hanno l’ordine di continuare
ad operare in maniera inalterabile se si produce
qualsiasi colpo di Stato che non sia ispirato con
un accordo tra militari e rivoluzionari, sulle
basi contenute nel discorso che le aggiungo.
b) Non accetteremo il risultato delle elezioni del
3 Novembre.
c) Siamo assolutamente sicuri che, se la lotta
continuerà sino alle sue ultime conseguenze,
l’intero paese si rivoluzionerà e gli istituti
militari saranno impotenti e non resisteranno.
Le parlo così perchè so che Lei apprezzerà molto
di più la franchezza che la diplomazia. Per Lei
questa comunicazione è rischiosa e non sarebbe, in
nessun senso cavalleresco da parte mia, nè
naturale in me, nascondere quello che penso. Così
Lei potrà stabilire se considera conveniente o
meno proseguire il contatto.
Un’incontro per Lei è quasi impossibile. Per
questo le scrivo con abbondanza su quello che le
potrei esprimere personalmente.
Ma se lo considera indispensabile, si potrebbe
ideare qualcosa come la restituzione di qualche
ufficiale prigioniero (che non sia il Comandante
Quevedo), nella sua zona, se le facilitassero
l’opportunità.
Io
credo che Lei non si debba esporre ad azioni che
possano far ricadere l’attenzione sulla sua
persona. Il suo amico civile, che è anche amico
nostro, non sarebbe un buon contatto, perchè è
molto segnalato. Anche se non tradirebbe mai nè
lei nè noi, non sono sicuro che non si lascerebbe
portare dall’emozione e che qualcosa potrebbe
filtrare.
Una donna seria sarebbe il contatto più sicuro.
Io sarò molto accurato nel vegliare per la sua
sicurezza. Qualsiasi sarà il risultato, Lei potrà
sempre contare con la mia più assoluta discrezione
d’avversario leale.
Se si decide ad assumere la responsabilità di un
movimento rivoluzionario nel seno dell’Esercito,
per ottenere la pace su basi giuste e benefiche
per la Patria, potrà contare con vari comandanti
tra quelli che stanno al comando dei battaglioni,
e lei sa bene chi potrebbero essere, come sa
anche chi sono quelli che deve arrestare senza
dare loro tempo per fare nulla, e che sicuramente
contano sull’antipatia unanime delle truppe.
Il suo nome è rispettato e opererebbe come una
molla tra ufficiali e soldati che aspettano
solamente un uomo risoluto. Potrebbe assicurare il
sequestro di alcuni veicoli blindati e anche di
aerei a terra. Lei avrà rapporti migliori di
quelli che ho io. Le truppe situate poi in luoghi
diversi dagli abituali, possono disorientare
l’azione del resto della Forza Aerea.
Un’azione nel tardo pomeriggio le permetterebbe di
disporre di molte ore per prendere disposizioni.
Lei teme che attacchino con bombe qualsiasi città,
ma se si occupano varie città nello stesso tempo,
il pericolo degli attacchi aerei si diluisce.
Noi non abbiamo mai proposto che i militari
passino nelle nostre fila, ma che sviluppino
un’azione rivoluzionaria nel seno dell’Esercito,
che contribuisca a mettere fine alla tirannia e ad
ottenere la pace, a beneficio della nazione, che è
l’unica alla quale i soldati devono lealtà.
L’Esercito inoltre necessita un gesto che lo
rivendichi agli occhi della nazione per la sua
complicità con la Dittatura.
L’ufficialità lo necessita più di tutti. Osservi
quello che è avvenuto con l’ufficialità dell’Esercito
alla caduta di Machado: gli stessi soldati li
espulsero con la motivazione che non avevano
morale per comandarli. Nessuno provava molto
rispetto per quegli uomini spogliati delle loro
uniformi e dei loro gradi.
Io le assicuro che in questa tappa sono avvenute
molte cose più gravi che nel “Machadato”.
Ma so anche che Lei potrebbe contare con altri
capi e con le loro unità, se Lei lo desidera, e
sono sicuro che il suo battaglione sarebbe più che
sufficiente per impadronirsi della cupola delle
operazioni. Tutto è questione di sorpresa e
rapidità.
Noi possiamo concentrare con alcuna rapidità uno
o due battaglioni in qualsiasi punto tra
Manzanillo e Santiago di Cuba.
Io al suo posto mi metterei in contatto con pochi
capi, tra quelli che offrono maggior sicurezza e
agirei con le truppe direttamente al mio comando,
per far sì che gli altri le assecondino.
Potranno occupare in una notte quasi tutte le
città e i paesi situati nei due punti
precedentemente citati. Il giorno dopo, può essere
sicuro che i generali avranno abbandonato Columbia.
Questo sì: prenda tutte le precauzioni e non si
faccia trascinare da uomini che non hanno il
coraggio, il carattere, nè la sua intelligenza.
Speriamo che queste righe servano a qualcosa.
Io, da parte mia, non smetterò di provare alcune
nostalgie quando questa lotta si sarà conclusa.
Fraternamente. Fidel Castro.
Pubblicando questa lettera, Gina spiega:
Mentre a L’Avana la marcia delle conversazione con
i militari si sviluppava abbastanza lentamente,
nella Sierra Maestra, il Comandante in Capo,
Fidel Castro, spiegava tuta la sua strategia,
facendo richiami alla coscienza patriottica dei
militari, con un documento che diceva:
- Sierra Maestra, 23 ottobre del 1958. Ore 10.00
Stimati compatrioti:
Sono stato informato dei contatti, anche se ho
l’impressione che non avete ancora elaborato un
piano concreto.
Io considero che l’importante è avere il senso
delle possibilità, Quasi tutti i vostri movimenti
sono falliti per la mancanza di questo senso.
Vengono scoperti mentre si tenta d’ampliarli,
Questo avrebbe più giustificazioni se non ci fosse
un processo rivoluzionario tanto avanzato.
Oggi, una sola compagnia che si ribelli, con una
mezza dozzina di ufficiali che abbraccino la causa
della Rivoluzione, sarebbe un colpo morale
disastroso per la Dittatura e, con lo stato
attuale di scontento, non sarebbe difficile che
tutto l’esercito lo seguisse in poche settimane.
Io vi posso assicurare che un numero infinito di
militari è disponibile ad unirsi alla causa
rivoluzionaria, ma aspettano che sia un altro a
fare il primo passo.
Temo che voi commettiate l’errore di voler
eseguire un movimento vasto e sicuro, che risulta
molto difficile e non è la tattica corretta.
I militari cubani hanno titubato molto.
Quella mancanza commessa dagli ufficiali dell’Esercito
sotto il regime di Machado, è costata la perdita
totale dell’autorità.
Gli stessi soldati dopo non volevano perdonare la
passività con cui avevano accettato quello stato
di cose.
Batista è riuscito a controllare l’Esercito con
una dozzina di scioperati e assassini.
È vergognoso che per un falso senso dello spirito
di corpo, uomini onorevoli sono stati obbligati ad
obbedire agli ordini di quegli assassini. Sono
sicuro che non pensavano in quello quando sono
entrati nella Scuola dei Cadetti.
Un militare realmente onorato, se lo pensa bene,
non combatterebbe mai per un regime che viola le
donne, tortura i cittadini e assassina anche i
prigionieri di guerra feriti.
E quando l’Esercito, per inerzia, per impotenza o
per qualsiasi ragione deve difendere
questo regime, la cosa corretta è abbandonare le
sue fila.
L’Esercito è stato trasformato da Batista in una
macchia nazionale di vizio, di corruzione e di
crimine. Vale la pena sacrificare una sola vita
giovane e preziosa per una causa indegna?
I Capi e gli Ufficiali dell’Esercito passano, ma
la Repubblica resta.
Quel che è permanente è la Patria.
L’Esercito si può rinnovare, cambiare, depurare,
perchè la sua unica funzione dev’essere servire il
Paese.
Che cosa aspettano gli ufficiali giovani a
rivelarsi? Che vincolo storico o morale li può
legare a Batista, Tabernilla, Chaviano, Meroc
Sosa, Ugalde Carrillo, Pilar García Ventura e gli
altri padrini degli istituti armati?
Non comprendono che li hanno trasformati nello
strumento del più stupido e sanguinario regime
sofferto da Cuba e che di fronte al Popolo e alla
Storia li stanno trasformando anche in complici?
Perchè rivoluzionari e militari onorevoli non ci
possiamo unire?
Forse non scorre lo stesso sangue cubano nelle
vene dei militari e dei ribelli?
Forse non ci siamo abbracciati dopo una battaglia
vittoriosa, come a El Jigüe?
Perchè non ci diamo questo abbraccio prima,
salviamo vite preziose e combattiamo insieme nel
bene della Patria contro i malvagi che
l’opprimono?
La storia condannerà dei militari degni che hanno
fatto questo passo?
Il popolo condannerà che militari onorati girono
le loro armi contro la Tirannia?
NO!
I militari che hanno la grandezza in quest’ora di
porre le proprie armi al fianco del Popolo,
meriteranno una speciale gratitudine dalla Patria.
Non va tralasciata l’esortazione che vi faccio, di
agire dentro le possibilità reali su cui si può
contare, di non dilatare le azioni e soprattutto
di non farvi arrestare senza opporre resistenza,
per cui si dovete prendere tutte le misure
provvisorie che esigono le circostanze.
Non ci si può far arrestare da Meroc Sosa e dai
suoi sbirri, che non hanno il vostro valore e la
vostra dignità.
Fraternamente, Fidel Castro Ruz.
Guillermo García, giovane contadino della Sierra,
audace e intelligente, era un membro del Movimento
26 de Luglio, che prestò rilevanti servizi a
tutti nel distaccamento. Fu il nostro primo
contatto. Suo padre fu il primo contadino che ci
visitò in piena boscaglia, dove ci portò del cibo
fumante.

Gli dissi un nome qualsiasi, ma lui guardava
insistentemente un berretto verde su cui io avevo
una stellina dorata, di quando non avevamo altro
che due fucili.
Com’è logico disse alcuni aneddoti sulla stellina,
ma anche cosi non ricordo il nome che gli diedi,
e... che faceva Guillermo? Era il migliore e più
attento amico dei militari, li attendeva, prestava
loro qualsiasi servizio.
Lui mi chiese di non passare la linea nemica la
notte successiva, perchè i soldati si stavano
preparando per ritirarsi il giorno dopo.
Io
davvero avevo fiducia in lui, ma, quando se ne
andava, mi sistemavo in un altro punto per
vigilare i suoi passi. Grazie a lui riuscimmo a
recuperare 11 armi addizionali, quasi tutte con il
mirino telescopico.
La nostra prima vittoria su un piccolo
distaccamento nemico la realizzammo con 18 armi
delle nostre, e ne riscattammo nel primo
combattimento altre 12, senza un solo graffio
nelle nostre fila.
Quasi esattamente 2 anni dopo, conquistammo circa
centomila armi alla tirannia.
Le nostre forze, con Camilo e il Che erano
avanzate verso il centro del paese.
Il Primo Gennaio all’alba giunse la notizia della
fuga del tiranno e loro che erano impegnati nel
compito di far arrendere le forze di Santa Clara,
ricevettero istruzioni d’avanzare rapidamente con
veicoli a motore per l’arteria centrale: il primo
verso l’Accampamento di Columbia nella capitale e
il secondo verso la Fortezza della Cabaña, senza
fermarsi a combattere contro forze nemiche isolate
nel cammino.
L’esplosione popolare era tanto forte che nessuna
era in condizione di combattere.
Quello stesso giorno prendemmo la città di
Santiago di Cuba, difesa da numerosi battaglioni
nemici, senza sparare un solo colpo, evitando una
battaglia attorno e dentro alla città, che poteva
durare 5 giorni con crescente intensità.
L’avversario chiese di parlamentare e smise di
resistere.
Nè Camacho, nè altri potevano immaginare che il
piccolo esercito della Sierra Maestra avrebbe
sconfitto il poderoso esercito della tirannia,
preparato rigorosamente dai più esperti del mondo
in materia di repressione e spionaggio.
Camacho Aguilera, cospiratore coraggio e costante,
visitava in automobili sempre guidate da donne, le
discrete case degli ufficiali nei quali, secondo
le sue relazioni, poteva avere fiducia, situate
nella Caserma Generale di Columbia.
Di Lidia e Clodomira, che avevano contatti in
alcuna forma con ufficiali dell’esercito, non
restò alcuna traccia dopo che furono arrestate e
per molti mesi restammo in montagna senza loro
notizie.
Mi resterebbe da raccontare solo che quel 3
gennaio, con un distaccamento di soli 30 uomini,
che non potevo ridurre ulteriormente, mi riunii
nella città di Bayamo con circa 3000 soldati e
ufficiali delle truppe scelte dell’Esercito di
Batista, che portavano tutte le loro armi, le
mitragliatrici, i cannoni pesanti, carri da
combattimento e carri armati.
In nessun luogo mi avevano ricevuto con tanto
entusiasmo come in quel punto.
Non stavano ricevendo qualcuno che avrebbe preso
il potere dopo un colpo di Stato, nè un politico
che aveva ottenuto la vittoria in un’elezione, ma
un combattente di pensiero molto diverso dal loro
che, senza dubbio aveva curato tutti i feriti e
rispettato la vita di centinaia di prigionieri;
che non permise mai la tortura di nessuno di loro,
nonostante i ripugnanti e odiosi crimini che la
tirannia di Batista aveva imposto alle Forze
Armate.
Una gran parte di quegli uomini erano ufficiali
diplomati in accademie e sottoufficiali ben
addestrati.
Mi sarebbe piaciuto che molti s’incorporassero
alla società, però c’erano già due tipi di cubani
irriconciliabili dopo le uccisioni e le torture
commesse dall’apparato di repressione dell’odioso
regime: i militari e i ribelli.
Ed era un fatto assolutamente insolubile.


Documenti essenziali che citano quei fatti si
trovavano negli archivi di Batista e furono presi
dalle nostre truppe nello stesso Quartiere
Generale della tirannia. (Traduzione Gioia Minuti).
La storia di una gesta liberatrice nel Memoriale
José Martí
È stato presentato a L’Avana il libro “La storia
di gesta liberatrici, 1952-1958”, della
combattente rivoluzionaria Georgina Leyva Pagán,
stampato nella sua seconda edizione.
Un prologo del Comandante in Capo Fidel Castro Ruz
introduce alla lettura di questo libro della combattente
rivoluzionaria Georgina Leyva Pagán, presentato
nel Memoriale José Martí, a L’Avana.

Con la presenza del Comandante della Rivoluzione
Guillermo García Frías; José Ramón Balaguer
Cabrera, membro della Segreteria del Comitato
Centrale del Partito; i membri del Comitato
Centrale Julio Camacho Aguilera, Rolando Alfonso
Borges e Miguel Barnet, presidente della UNEAC;
José Ramón Fernández Álvarez e Abel Prieto
Jiménez, assessori del Presidente dei Consigli di
Stato e dei Ministri; il ministro di Cultura,
Rafael Bernal e Georgina Leyva Pagán, protagonista
e autrice della storia che si racconta, è stato
presentato questo volume dedicato a Guantánamo,
territorio dove iniziarono l’insurrezione molto
combattenti che poi entrarono nella fila del
Movimento Rivoluzionario 26 di Luglio e nell’Esercito
Ribelle, come in altri fronti della clandestinità.
Questa testimonianza è di grande valore e vi
affiorano dati inediti che permettono di chiarire
alcuni passaggi della storia - che non erano stati
rigorosamente raccolti - e permetteranno al
lettore di conoscere, partendo dagli aneddoti,
l’operato di un gruppo di uomini e di donne cubani
che decisero nel pieno della gioventù e nelle più
difficili condizioni, di cambiare la rotta
economica, politica e sociale della Patria.
In queste pagine si segnala la crescita
rivoluzionaria del Comandante dell’ Esercito
Ribelle Camacho Aguilera, leader di un gruppo
guerrigliero di Guantánamo e compagno della vita
della scrittrice. Nel prologo di Fidel si può
confermare il suo atteggiamento etico di fronte al
nemico, dato che spiega com’erano trattati i
prigionieri e le costanti azioni per evitare
ulteriori spargimenti di sangue durante la lotta
rivoluzionaria contro l’esercito della tirannia di
Batista.
“Questo libro, ha detto l’editrice Neyda
Izquierdo, Premio Nazionale per le Edizioni 2013
è un contributo alla memoria storica della nostra
Cuba, dove si offre questo scritto per trasmettere
i dettagli su fatti avvenuti nella tappa delle
gesta rivoluzionarie, con i sacrifici dei
protagonisti e la consacrazione alla lotta per
conquistare la vittoria.
“Il Comandante in Capo, con il suo prologo
arricchisce il mio umile libro”, ha detto Georgina
Leyva.
Hanno partecipato alla serata, in qualità di
presentatori, Eugenio Suárez Pérez, direttore dell’Ufficio dei
Temi Storici del Consiglio di Stato e Juan Carlos
Santana Molina, direttore della casa editrice
Nuevo Milenio, che ha pubblicato il libro.
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