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                              La vittoria strategica Vittoria a Vegas de Jibacoa
 (Capitolo 21)
 
 Fidel Castro Ruz
 
								
								Nel messaggio già citato, che avevo inviato al 
								Che il 20 luglio, poche ore prima della resa del 
								Battaglione 18 a Jigüe, gli  avevo annunciato 
								che avremmo intrapreso due operazioni simultanee 
								contro le forze nemiche, a Santo Domingo e a 
								Vegas de Jibacoa, e gli avevo anticipato  che 
								lui sarebbe stato al fronte di quella seconda 
								missione. Il Che mi aveva risposto con una breve 
								nota in cui mi chiedeva di conversare 
								personalmente con me, perchè i “progetti doppi” 
								gli sembravano “troppo rischiosi”, alla fine si 
								convinse che non solo erano raccomandabili, ma 
								anche fattibili, quando seppe del bottino 
								catturato a Jigüe e a Purialón, e della 
								possibilità reale di contare, a partire da quel 
								momento con più di 300 uomini armati. 
								 
								
								 Io avevo deciso di dare priorità all’operazione 
								contro le truppe di Santo Domingo, prima di 
								tutto, perchè continuava ad essere la più 
								pericolosa e perchè la sua liquidazione avrebbe 
								rappresentato un colpo molto serio, quasi 
								mortale al nemico, da una piano materiale come 
								morale.  Ma inoltre era a Vegas de Jibacoa dove 
								avevamo stabilito con la Croce Rossa 
								d’effettuare il 22 luglio la consegna delle 
								guardie prigioniere a Jigüe. 
								
								A proposito dei preparativi di quella consegna, 
								il Che mi inviò, il 21 luglio, un messaggio nel 
								quale, tra le altre cose mi diceva le cose 
								seguenti:  
								
								“Ricorda che devi tracciare  un piano per 
								domattina, dato che la Croce Rossa mandò a 
								chiedere  l’ora. Dobbiamo portare tutti i feriti 
								laggiù e mandare un messaggero a  Vegas. Il 
								piano è il seguente: comunicare al comandante di 
								Vegas, per mezzo di una messaggera  femmina, 
								l’ora in cui inizierà la consegna,  annunciando 
								che avverrà nella  casa di Bismark; 
								precedentemente occupare le alture di Bismark e 
								la cima  di fronte con un paio di squadre; 
								avvertire che  se l’aviazione continua  tanto 
								attiva non potremo fare la consegna a quell’ora 
								e dovevamo aspettare la notte; accettare che 
								nelle casa di  Bismark ci fosse il 
								rappresentante della Croce Rossa con le 
								autorità, senza fare ostentazione di forza e 
								dire il numero approssimato dei feriti avvisando 
								che nelle prossime consegne avremmo consegnato 
								un maggior numero di prigionieri feriti”. 
								 
								
								Comunque in quel messaggio il Che si lamentava 
								della mancanza di mie notizie : "[...] sta già 
								diventando quasi nero il tuo silenzio”. Quasi di 
								sfuggita m’informava che Minas de Frío era senza 
								novità e concludeva con queste parole, che erano 
								il riflesso eloquente del nostro stato d’animo 
								per gli avvenimenti  vittoriosi di Jigüe: 
								 
								
								"Manca un brindisi per festeggiare questo". 
								
								La messaggera  femmina a cui si riferiva il Che 
								era Teté Puebla, efficaze collaboratrice di 
								Celia, che ebbe  una partecipazione notevole in 
								questo episodio e più avanti divenne la seconda 
								capo del plotone femminile Mariana Grajales. La 
								casa in questione era la tenda del collaboratore 
								contadino  Bismark Galán Reina, che durante 
								molto tempo ci servì come posto di comando di 
								Celia, nei suoi compiti di  rifornimento  del 
								nostro sforzo guerrigliero,  sino a che dovemmo 
								evacuarla per via dell’imminenza dell’entrata 
								del nemico a Vegas de Jibacoa. 
								
								Quello stesso giorno, Radio Rebelde informò: 
								
								Domani martedì 22 luglio alle 14.00, nel 
								pomeriggio, speriamo  di consegnare alla Croce 
								Rossa Internazionale i militari feriti 
								 prigionieri dell’Esercito Ribelle da  vari 
								giorni. 
								
								Accettato dal capo delle operazioni nemiche che 
								la consegna dei prigionieri si effettui nella 
								zona di Vegas de Jibacoa, dove possono  giungere 
								i veicoli  motorizzati, il Delegato 
								Internazionale della Croce Rossa, il Signor 
								Peirre Jecqier [Pierre Jacquier] ed i  suoi 
								accompagnatori, è cominciato il  trasferimento 
								dal territorio libero di Cuba verso questa zona 
								dei detti feriti. 
								
								Resta solo che il capo delle operazioni ordini 
								agli aerei nemici di sospendere i mitragliamenti 
								ed i bombardamenti, mentre si effettua la 
								consegna dei feriti al delegato della Croce 
								Rossa Internazionale.  
								
								Questa è esattamente una delle regioni più 
								colpite dal napalm e dalle bombe esplosive in 
								questi giorni.  
								
								Immediatamente al termine del processo di 
								consegna  dei feriti, gli aeree della tirannia 
								possono riannodare i loro mitragliamenti  ed i 
								bombardamenti, perchè a noi ribelli questi raids 
								aerei non fanno impressione e ci già siamo già 
								più che abituati.  
								
								La nostra  protesta contro i bombardamenti si 
								riferisce solamente a quelli che si effettuano 
								criminalmente contro l’indifesa popolazione 
								contadina. 
								
								I medici ribelli hanno fatto sforzi  incredibili 
								per salvare ed assistere  questi soldati  
								feriti, riuscendo a guarirli in molti casi, 
								nonostante la carenza di risorse mediche e la 
								quantità di feriti. 
								
								Speriamo che stamattina  staranno tra le mani 
								umanitarie e protettrici della Croce Rossa 
								Internazionale questi prigionieri feriti”. 
								
								La mattina del giorno 22, il Che ricevette il 
								seguente messaggio del capitano Carlos Durán 
								Batista, capo della truppa ubicata a Vegas, con 
								il quale già il Che aveva stabilito una 
								comunicazione  mutuamente rispettosa: 
								
								“Comandante della Colonna 8 - Sierra Maestra 
								Signore: Rispondendo al suo scritto, la devo 
								informare che ho ricevuto ordini dal Generale 
								Capo della Zona delle Operazioni  perchè la 
								garanzia, sia per i feriti, come per qualsiasi 
								altra persona che giunga  in questo Posto. 
								L’accordo  della Croce Rossa Internazionale, 
								così come qualsiasi atro tre cavalieri ed 
								esseri  umani sarà sempre rispettato da me e 
								dalle  truppe che comando. 
								
								Devo informarla anche che  
								
								la Croce Rossa 
								a quest’ora non è ancora arrivata in questo 
								Posto, ma sappiamo  che giungerà a momenti. 
								Nonostante, se Lei lo stima, può evacuare i 
								feriti che desidera e che saranno assistiti dal 
								nostro Dipartimento della Sanità, con tutto 
								quello che si può e con le stesse garanzie della 
								Croce Rossa.  
								
								Mi creda che da parte nostra abbiamo ben 
								considerato la sua lettera ed abbiamo informato 
								i superiori perchè anche le altre unità lo 
								facciano.  
								
								Con il rispetto e la  considerazione che Lei 
								merita, le reitero i miei saluti”. 
								
								Si noti il tono di questo messaggio  ed il 
								riconoscimento implicito da parte del capo 
								nemico nell’affrontare, non i capoccia di una 
								banda di banditi, come faceva vedere la 
								propaganda dell’Esercito, ma un vero avversario 
								degno e organizzato. Vale la pena segnalare che 
								il capitano Durán Batista non commise  crimini 
								nè abusi durante la sua presenza a Vegas e, dopo 
								la sua cattura eseguita dal Che, chiese di 
								restare tra di  noi e mantenne un atteggiamento  
								decoroso e di cooperazione sino alla fine della 
								guerra. 
								
								A quel messaggio il Che rispose immediatamente 
								con un’estesa comunicazione che fu portata 
								personalmente da Teté Puebla al posto di comando 
								nemico a Vegas. Per il suo significato, vale la 
								pena di riprodurlo in forma integra in queste 
								pagine: 
								
								“Stimato Capitano: rispondo urgentemente alla 
								sua comunicazione con questa  stessa data, con 
								il fine di chiarire alcuni concetti della sua 
								lettera e annunciarle inoltre che, data la 
								sicurezza da lei offerta, invierò i feriti più 
								gravi senza aspettare l’arrivo della Croce Rossa 
								Internazionale.  
								
								Questi feriti si trovano un poco distanti dal 
								posto stabilito e, dati i pessimi cammini della 
								Sierra, non posso annunciare un’ora fissa per 
								l’arrivo. Dovete aspettarli da questa notte e 
								vedremo se potremo farli arrivare durante la 
								stessa. Le reitero la sicurezza della tregua, 
								che sarà strettamente rispettata da tutti noi. 
								Nonostante questo vorremmo sapere sino a quando 
								durerà la tregua, per astenerci dal fare 
								movimenti militari in questa zona, evitando così 
								scontri che potrebbero danneggiare questa bella 
								azione di fraternità nel dolore. Per noi sono 
								necessarie 48 ore a partire dall’arrivo del 
								delegato della Croce Rossa Internazionale, 
								annunciato dalla radio per le 14.00 del 
								pomeriggio di domani.  A partire da 
								quell’istante saranno automaticamente rotte le 
								ostilità, salvo indicazioni espresse  del 
								contrario. Devo chiarirle anche che per noi la 
								tregua esiste strettamente nella zona di Vegas, 
								pregandola di comunicarmi prima delle 6.00 di 
								domattina la durata della tregua data dal suo 
								Stato Maggiore.  
								
								Ovviando le responsabilità devo  comunicarle che 
								i feriti si muoveranno nella zona compresa tra i 
								seguenti vertici: Vegas, Mina del Frío e alture 
								di Jigüe; se si ripetono i bombardamento e i 
								mitragliamenti effettuati oggi su questa zona, 
								potrebbero accadere altre lamentabili disgrazie.
								 
								
								Non è una mia esagerazione avvisarla di tutto 
								questo, dato che per ordine diretto del nostro 
								Comandante Capo Fidel Castro, consegneremo, 
								oltre ai feriti,  tutti i sopravvissuti del 
								Battaglione 18 di fanteria, guidato dal 
								comandante Quevedo, arresi alle nostre forze. 
								
								Prendiamo questa decisione basata in ragioni 
								umanitarie, per il grado di denutrizione a cui è 
								giunta questa truppa, dopo aver resistito per 
								dieci giorni all’accerchiamento  in un eroico 
								quanto sterile sacrificio.  
								
								[...] 
								
								Desiderando stringere la sua mano in più felici 
								circostanze per Cuba e in un gruppo di compagni, 
								la saluta cordialmente, Che. 
								
								Comandante della Colonna No. 8 "Ciro Redondo". 
								
								Il generale Eulogio Cantillo, capo della zona 
								d’operazioni, firmava il 22 luglio, nel posto di 
								comando di Bayamo, una direttiva per 
								l’evacuazione dei feriti e dei prigionieri, in 
								cui  stabiliva che l’operazione sarebbe avvenuta 
								il giorno seguente  alle  q4:00 del pomeriggio. 
								La Croce Rossa si sarebbe mossa da Manzanillo o 
								da Bayamo sino a  Yara e ad Estrada Palma, e 
								avrebbe formato  un convoglio di camion e 
								fuoristrada  per giungere a  Vegas quello stesso 
								giorno e la mattina del giorno dopo.  
								 
								
								Nella direttiva  il generale Cantillo chiariva 
								quanto segue: 
								
								“Il trattamento dei ribelli, nel caso in cui 
								accompagnino i feriti, dev’essere cortese ma 
								fermo, e non si lasceranno avanzare al di là 
								degli avamposti dell’Unità, nè fraternizzare con 
								la truppa e si chiederà il loro ritorno appena 
								avranno consegnato feriti e prigionieri” 
								 
								
								Il 23 luglio, durante la mattina, Faustino Pérez 
								e Carlos Franqui giunsero con un gruppo di 
								feriti a Vegas e firmarono, a nome dell’Esercito 
								Ribelle, il documento  di consegna  delle prime 
								15 guardie ferite, le più gravi. Nel corso della 
								giornata, dopo l’arrivo del  convoglio  della 
								Croce Rossa, guidato dal  suo delegato Pierre 
								Jacquier, cominciò ad apparire dal monte e ad 
								entrare  nell’ accampamento nemico 
								l’impressionante carovana di 238 prigionieri, 
								includendo altri 42 feriti, per un totale di 253 
								guardie consegnate quel giorno. È importante 
								dire che la consegna si svolse normalmente e che 
								la tregua accordata fu rispettata dalle due 
								parti.  
								
								Se fu sorprendente  la presenza di una donna 
								guerrigliera, Teté Puebla, tra le guardie, 
								provocò una maggiore sorpresa l’arrivo 
								improvviso del Che, che scese su un mulo da 
								Mompié e condivise un buon tratto di tempo 
								 nella casa di Bismark con i rappresentanti 
								della Croce Rossa e con i capi della compagnia 
								assediata. Bevettero insieme anche dei buoni 
								bicchierini di cognac, con il Che e 
								unilateralmente fu offerto di celebrare le più 
								recenti vittorie. Il Che stava già diventando 
								una leggenda e le  guardie non tralasciarono 
								l’opportunità di poter vedere il comandante 
								guerrigliero argentino. 
								
								Non è necessario insistere su quello che 
								significò quella consegna dei feriti e dei 
								prigionieri che, ovviamente fu censurato dalla 
								propaganda nemica. Indubbiamente e 
								immediatamente  corse tra la fila di tutte le 
								unità che partecipavano all’offensiva, la 
								testimonianza viva di queste guardie, sia per il 
								trattamento unitario ricevuto che per la 
								potenzialità effettiva del forze ribelli, capaci 
								di sconfiggere e far arrendere un battaglione 
								completo,  di distruggere i suoi rinforzi e 
								catturare in combattimento una così numerosa 
								quantità di prigionieri.   
								
								Da parte nostra si trattava di un’eloquente 
								dimostrazione dell’etica con cui si sviluppava 
								la lotta dell’Esercito Ribelle. Non ho dubbi che 
								quella prima consegna di prigionieri a Vegas de 
								Jibacoa ebbe un’ influenza importante nel corso 
								successivo degli avvenimenti.  
								
								Compiuto quell’interludio, eravamo in condizione 
								di iniziare di nuovo le operazioni per  ottenere 
								la resa della truppa nemica accerchiata a Vegas 
								de Jibacoa, l’unica che a quell’altezza restava  
								all’interno della montagna, dopo la ritirata 
								verso Las Mercedes, del 27 luglio, delle  forze 
								che avevano  occupato Minas de Frío, ed anche, 
								quelle  stabilite a San Lorenzo, a compimento 
								del nuovo piano d’operazioni del nemico a cui ho 
								fatto  riferimento nel capitolo precedente. 
								
								Già il 25 luglio, il Che aveva distrutto tutte 
								le forze nelle alture che circondavano l’ 
								accampamento nemico, concentrato nella piccola 
								pianura tra le case di Bismark e di Santiago 
								Torres. In quel  settore operavano le squadre 
								 di Joel Iglesias, José Ramón Silva e Luis 
								Crespo. Il Che e le altre squadre ribelli si 
								erano  situate nel pendio della collina El 
								Desayuno, direttamente al disopra del solo 
								cammino che avrebbero dovuto percorrere le 
								guardie della Compagnia 92 se volevano scappare. 
								
								Da quelle posizioni, il Che controllava in 
								maniera totale qualsiasi movimento, ed era 
								disposto non solo a fermare a El Desayuno ogni 
								tentativo di fuga, ma anche sino e colpire  il 
								nemico in ritirata dalla retroguardia. 
								
								Seguendo la nostra già provata strategia, da 
								parte sua, Camilo e i suoi uomini si erano 
								collocato nel pendio inferiore della collina La 
								Llorosa, 
								preparati a respingere qualsiasi tentativo di 
								rinforzo alla truppa assediata, tanto dal 
								Battaglione 17 da Las Mercedes come dal 
								Battaglione 23, da Arroyón. 
								
								Va ricordato che l’unico accesso a  Vegas dal 
								piano era attraverso lo stretto cammino che 
								passava per la collina  El Mango e attraversava 
								poi la collina  El Desayuno, dove si snodava 
								lungo un passo  tra il ripido pendio  di questa 
								collina e la gola del fiume  Jibacoa, che in 
								questa regione fluiva tra enormi pietre e grandi 
								pozze, alcune tra le più  spettacolari di tutta 
								la Sierra. 
								
								In quel tratto del cammino, che appena 
								permetteva il passaggio di un veicolo, fu dove 
								avremmo potuto montare una resistenza efficace 
								in occasione dell’entrata del nemico a Vegas. 
								Non ci riuscimmo allora come vedemmo nel suo 
								momento, ma io ero deciso a far sì che in questa 
								occasione il terreno lo avremmo utilizzato al 
								massimo con le nostre forze e che lì avremmo 
								realizzato una nuova vittoria. Inoltre coloro 
								che dirigevano l’operazione erano nientemeno che 
								il Che e Camilo ed io sapevo bene che non 
								conoscevano la  parola indecisione.    
								 
								
								L’importante era che se quel cammino costituiva 
								l’unica rotta d’accesso a Vegas, ugualmente era 
								l’unica rotta di fuga della truppa assediata in 
								quel luogo. Risultava impensabile che l’Esercito 
								prendesse un altro cammino, dato che qualsiasi 
								variante lo avrebbe condotto all’interno della 
								montagna, e a quell’altezza, nelle condizioni 
								fisiche  e morali in cui s’incontrava la truppa 
								nemica a Vegas, non esistevano in assoluto altre 
								possibilità oltre al tentativo di fuga. D’altra 
								parte, non prendere il cammino presentava 
								l’impresa, quasi impossibile, di scalare 
								l’impressionante mole di 
								
								La Llorosa 
								o il non meno ripido pendio El Desayuno. Il 
								capo  Della Compagnia 92 non poteva imitare 
								Sánchez Mosquera e sorprenderci con un movimento 
								al di fuori del cammino esistente. 
								
								Il 26 luglio, lo stesso giorno in cui cominciò 
								la ritirata del Battaglione 11 di Santo Domingo, 
								il Che m’informò con un messaggio che la truppa 
								a Vegas era completamente circondata, e 
								proponeva anche di sferrarle contro un attacco 
								in regola quella notte, sicuro che si sarebbero 
								arresi in un paio d’ore. Ma  cambiò idea e 
								decise d’aspettare, poichè ricevette la notizia 
								che il capitano Durán Batista, che si era reso 
								conto che la sua situazione era disperata, era 
								disposto a negoziare. 
								
								A mezzogiorno del 28 luglio, il Che mi chiese  
								l’autorizzazione per accordare con il capitano 
								nemico la partenza delle truppe assediate, dopo 
								la consegna di tutte le loro armi e munizioni. 
								In quello stesso giorno, il Che ricevette  una 
								comunicazione del comandante Armando González 
								Finalé, capo del Battaglione 23, ubicato ad 
								Arroyón, nella quale gli proponeva un incontro.
								 
								
								Immediatamente il Che inviò un messaggero con la 
								seguente nota al capitano 
								
								Durán: 
								
								“Ho tra le mani una comunicazione del comandante 
								Fifnale [Finalé] con la quale m’invita ad un 
								incontro. Lei sa che domattina  sarà tardi per 
								questo e che io cerco di risparmiare sangue.
								
								
								[...] 
								
								Deve sapere anche che è circondato e che non si 
								può aspettare aiuti dall’esterno, perchè questo 
								provocherà maggiori perdite di sangue alle due 
								parti, ma soprattutto a voi.  
								
								Se realmente non accetta questo incontro, 
								corrispondendo alla mia cortesia, le devo 
								consigliare rilasciare le case e proteggersi 
								nelle trincee. 
								
								Tutte le alture sono nostre. 
								
								Io lo offro di uscire da lì con tutti i suoi 
								uomini e conservando le armi corte, senza farli 
								prigionieri, e questo è il massimo che posso 
								fare, dato il numero di uomini che ho sopra 
								questo punto e la certezza assoluta che voi 
								siete perduti.  
								
								Mi richiamo ai suoi sentimenti patriottici,  per 
								far sì che non anteponga falsi orgogli ed eviti 
								un massacro inutile”. 
								
								Durán rispose al Che che il giorno dopo gli 
								avrebbe inviato la sua risposta o sarebbe andato 
								personalmente all’incontro con lui, ma che prima 
								doveva informare dell’offerta il suo capo 
								immediato e che inoltre stava aspettando un 
								convoglio di rifornimenti, per cui era 
								impossibile muoversi in quel momento. 
								 
								
								Ma gli avvenimenti precipitarono. L’alto comando 
								della tirannia  aveva deciso d’inviare il 
								Battaglione 23 in 
								aiuto della compagnia assediata a Vegas. Quello 
								era il “convoglio di rifornimenti” a cui si 
								riferiva Durán Batista, e che si scontrò 
								 inevitabilmente con le imboscate di Camilo a El 
								Mango. 
								
								Lo stesso giorno 28, prima del combattimento 
								contro il rinforzo, Camilo m’inviò 
								
								il seguente messaggio: 
								
								“Sono nella posizione che mi ha indicato il Che, 
								ho ben esplorato tutto e sto pregando perchè un 
								Dio ignoto ci mandi una truppa da questa parte. 
								Ho preparato l’esca per pescarne almeno 25 o 30, 
								come ieri, quando per il fuoco grande a S. 
								Domingo, quelli di Arroyones sono corsi come 
								pazzi e il panico ha conquistato le truppe 
								nemiche; le notizie corrono veloci e pare  [che] 
								sanno già delle ultime bastonate che gli abbiamo 
								inflitto”. 
								
								Quel giorno diversi  camion con le  guardie ed i 
								rifornimenti partirono dall’accampamento di  
								Arroyón. Il convoglio di rinforzo, composto da 
								tre compagnie di fanteria, era appoggiato da due 
								carri armati leggeri  T-17 e da una batteria di 
								obici da 75 millimetri che si piazzarono 
								sul’altura di 
								
								La Güira. Il 
								dispositivo era agli  ordini del tenente 
								colonnello Ferrer da Silva. Uno dei carri 
								leggeri T-17 precedeva la carovana, al comando 
								della 
								
								quale viaggiava il capitano Victorino Gómez 
								Oquendo, capo della compagnia dei carri armati 
								del posto di comando di Bayamo. I veicoli  si 
								mossero senza novità sino all’incrocio del 
								cammino che va da Las Mercedes, e proseguirono 
								la loro attenta marcia in direzione di Los 
								Isleños e, più in là verso la collina di El 
								Mango. 
								
								Dalle  sue posizioni sul pendio di La Llorosa, 
								gli uomini di Camino videro avvicinarsi il 
								nemico.  Dall’alto, l’aviazione  bombardava e 
								mitragliava le posizioni  dove presumeva che si 
								trovavano i combattenti ribelli.  Al di sotto, 
								direttamente sul cammino preparato con le mine e 
								gli scavi per impedire il passaggio ai veicoli, 
								c’erano le squadre dei  capitani Orestes Guerra 
								e Lázaro Soltura. Quando il convoglio penetrò 
								nel tratto dove il cammino si stringeva, tra il 
								faraglione della collina e la gola del fiume  
								Jibacoa, i ribelli apersero il fuoco. I camion 
								si fermarono e le guardie saltarono a terra e 
								cercarono protezione. Il carro armato continuò 
								ad avanzare, mentre  i suoi occupanti restavano 
								fiduciosi dentro il blindato.  Ma dall’altra 
								parte del fiume, dalle posizioni occupate sulla 
								collina  El Desayuno dalla squadra di César 
								Suárez, delle  truppa del Che, giunse il sordo 
								suono  caratteristico di uno sparo di bazooka. 
								Con sorpresa di tutti, indubbiamente il carro 
								leggero non fece marcia indietro. In cambio, 
								dopo alcuni secondi nei quali sembrò che il 
								blindato avrebbe fatto una retromarcia, il carro 
								 accelerò la marcia, scese fino al fiume, lo 
								attraversò e   cominciò a risalire il cammino si 
								El Desayuno. 
								
								Due o tre altri colpi di bazooka non lo 
								colpirono e rapidamente il la T-17 
								superò la fucileria ribelle e riuscì a penetrare 
								a  Vegas con una gran chiasso dell’avanzata 
								dell’accampamento nemico. 
								
								Gli uomini di  Camilo si erano lanciati sul 
								resto del  convoglio  paralizzato. Alcune 
								guardie optarono per disperdersi verso il fiume 
								e riuscirono a scappare. In definitiva, il 
								grosso del rinforzo fu detenuto e catturato, 
								come i rifornimenti. Le guardie soffersero 16 
								morti e numerosi, tra i quali lo stesso  tenente 
								colonnello Ferrer da Silva.  
								
								Dopo la ritirata del nemico, i  ribelli diedero 
								fuoco ad un fuoristrada, a un trattore e ad un 
								camion del comando; inoltre presero fucili, 
								casse di razioni da campagna,  granate di fucili 
								e pallottole.  
								
								A proposito del carro armato che riuscì a 
								infiltrarsi sino a  Vegas de Jibacoa c’è un 
								aneddoto che vale la pena registrare in queste 
								pagine. 
								
								Il capitano Gómez Oquendo fu ricevuto dai suoi 
								compagni d’armi con affettuose  espressioni di 
								riconoscimento per il suo coraggio e la sua 
								decisione. 
								
								Oquendo, uomo di campagna e modesto, che dopo la 
								sua cattura chiese di restare nelle nostre fila, 
								tagliò corto con i complimenti e spiegò quanto 
								segue, come mi raccontarono dopo e mi confermò 
								lo stesso Gómez Oquendo: 
								
								“No, no, aspettate, non è stato coraggio!  È 
								successo che, sentendo il primo colpo di 
								bazooka, dato che non potevamo ubicare la 
								provenienza dello sparo per rispondere con il 
								nostro cannone, io avevo dato l’ordine di 
								retrocedere, ma marcia indietro si era bloccata 
								e  non ci fu modo di riuscire a muoverla. In 
								quelle circostanze eravamo un bersaglio facile 
								per un altro colpo di bazooka e così diedi 
								l’ordine d’avanzare a tutta macchina, ed abbiamo 
								avuto la fortuna di riuscire a passare. 
								 
								
								In pratica è stata una fuga in avanti!” 
								
								Il giorno dopo il combattimento sulla collina di 
								El Mango e il blocco imposto alle truppe di 
								rinforzo per la truppa assediata a Vegas, il Che 
								ricevette due ufficiali della Compagnia 92 
								inviati a parlare col capitano Durán. La 
								risposta che trasmisero  fu che il capo della 
								truppa ringraziava la proposta del Che, ma non 
								la accettava, perchè l’onore militare non gli 
								permetteva di consegnare le sue armi senza 
								combattere. In  vista di questo, il Che dichiarò 
								riaperte le ostilità. 
								
								Quello stesso pomeriggio, dopo aver bruciato 
								tutte le loro provviste e parte delle munizioni,
								
								
								la Compagnia 
								92 cominciò il suo tentativo di fuga; 
								immediatamente il Che ordinò a tutte le sue 
								squadre d’iniziare la persecuzione e 
								l’inseguimento delle truppe in fuga, mentre le 
								forze ribelli sulla collina di El Desayuno 
								tentavano di chiudere la via di fuga del nemico 
								con l’appoggio delle forze di Camilo da El 
								Mango.  
								
								Alla persecuzione delle guardie parteciparono, 
								tra le altre, le squadre dei capitani Joel 
								Iglesias, José Ramón Silva e Luis Crespo; da El 
								Desayuno e El Mango chiusero l’uscita le squadre 
								dei capitani César Suárez, Orestes Guerra e 
								Lázaro Soltura. Camilo e il resto dei suoi 
								uomini  fermarono e respinsero i tentativi del 
								Battaglione 23 da Arroyón, che voleva aiutare le 
								truppe di Vegas. 
								
								Il combattimento si  prolungò con intensità sino 
								alla notte. Un bilancio preliminare realizzato 
								quella stessa notte dal Che, e il  rapporto  che 
								m’inviarono, riferiva che 40 guardie erano 
								prigioniere, otto erano morte e cinque ferite. 
								In definitiva, il totale dei prigionieri fu 98, 
								praticamente la compagnia completa. Fu catturato 
								il carro armato T-17 quasi intatto, con un 
								cannone da 57 millimetri, un mortaio con 80 
								obici, due Mitragliatrici a tripode calibro 30, 
								vari fucili automatici Browning, 20 carabine San 
								Cristóbal, 40 fucili Springfield e 20.000 
								pallottole, tra le varie munizioni. Nell’azione 
								fu  fatto prigioniero il capitano Gómez Oquendo, 
								e tra le nostre fila fu ferito un solo 
								Combattente, Angelito Frías. 
								
								All’ora di redigere il rapporto, il capitano 
								Durán non era stato catturato, ma avevamo 
								l’informazione che era ferito. Lo catturammo la 
								mattina dopo.  Quel coraggioso e 
								cavalleresco ufficiale decise a sua volta di 
								restare con noi sulla Sierra e sia lui che Gómez 
								Oquendo,  assieme al  comandante Quevedo, 
								prestarono importanti servizi durante i mesi 
								finali della guerra, nei contatti e nei 
								negoziati con i capi nemici.  
								
								Con questa azione,  Vegas de Jibacoa era 
								definitivamente liberata, e una nuova unità 
								nemica, in questo caso, 
								
								la Compagnia 
								92, fu distrutta e annullata  come entità 
								combattente. Era un’altra chiara e assoluta  
								vittoria. 
								
								Ora restavano solamente nelle vicinanze della 
								montagna le forze nemiche del Battaglione 23 del 
								comandante  Finalé, accampato ad Arroyón, e del 
								17, del comandante Corzo, stazionato dall’inizio 
								dell’offensiva a Las Mercedes.  
								
								Fu in quest’ordine che decidemmo d’agire 
								immediatamente, con la vittoria definitiva già 
								davanti a noi. 
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