La vittoria
strategica
Il combattimento di Meriño
(Capitolo 13)
Fidel Castro
Ruz
Così come avevo previsto, il giorno successivo
all’occupazione di San Lorenzo, mentre le forze
del Battaglione 17 permanevano nel casolare
deserto, le Compagnie 91 e 93 del Battaglione 19
continuavano la loro avanzata verso Meriño.
Salirono a El Tabaco verso la collina di Caraquita
e si imbatterono in un’imboscata ribelle della
squadra del tenente Ciro del Río, della truppa del
Che. Dopo un breve scontro, le guardie
oltrepassarono la cima e scesero sino al villaggio
di Meriño, dove le poche capanne erano deserte.
Il 6
luglio ricevetti la conferma dell’entrata delle
guardie a Meriño, attraverso una nota di Celia che
diceva:
“Il
Che ha chiamato Fajardo per dirgli che a Meriño si
sono accampate 250 guardie, ma non hanno preso il
Roble. Digli se deve ritirare le forze da Vegas
portarle là in difesa. Lui aspetta. Tra 10 minuti
chiama”.
Il
Che stava provando la linea telefonica da poco
stabilita fino a Minas de Frío. In quel momento,
Celia si trovava a La Plata e ricevette questa
chiamata di Piti Fajardo dal negozietto della
Maestra. Io ero andato via da La Plata all’alba e
mi trovavo in cammino, già molto vicino al
negozietto e a Compié, con l’intenzione di
continuare fino a Minas de Frío. Al messaggio di
Celia risposi immediatamente: “Che non ritiri le
forze da Vegas. Io manderò rinforzi per prendere
il Roble. Che portino al Roble la bomba da 50
chili (100 libbre”.
Ricevendo quel messaggio decisi di cambiare la mia
direzione, e invece di continuare fino a Minas de
Frío mi diressi al Roble di Meriño con gli uomini
che mi accompagnavano: il plotone di Andrés Cuevas
ed una squadra della truppa di Camilo, agli ordini
di Felipe Cordumy. All’arrivo al Roble, misi nelle
rispettive posizioni Cuevas e Cordumy. La mia idea
era che se le guardie avessero continuato ad
avanzare dal Meriño al Roble, che era il movimento
più prevedibile, si sarebbero imbattute
nell’imboscata di Cuevas. Mentre Cordumy, che le
avrebbe lasciate passare, avrebbe tagliato loro la
ritirata, appoggiato dalla squadra di Ciro del
Río, che era rimasto sull’altro lato della cima
del Meriño.
All’arrivo al Roble inviai anche un messaggio
urgente a Lalo Sardiñas per mandarlo, senza
perdere tempo, con il suo plotone a Minas de Frío.
La mia intenzione era mandarlo all’altopiano di
Meriño per chiudere completamente la ritirata
delle guardie. In quel momento, Lalo stava nella
zona di Pueblo Nuevo come parte
dell’accerchiamento di contenimento organizzato
contro la truppa di Sánchez Mosquera a Santo
Domingo. La presenza di Lalo avrebbe contribuito
alla realizzazione del piano concepito per
catturare la truppa che aveva avuto l’audacia
d’entrare a Meriño e, nello stesso tempo, avrebbe
impedito l’arrivo di qualsiasi tipo di rinforzo
inviato dal comando nemico, da San Lorenzo.
Cuevas, da parte sua, a cui dopo il suo
posizionamento nel Roble si unì Jaime Vega con
parte dei suoi uomini, avrebbe assicurato che tale
truppa non potesse avanzare più in là del Roble
unendosi al Battaglione 18 che stava salendo dal
sud, nel caso in cui quella fosse l’intenzione del
comando nemico.
A
Camilo, che era rimasto al fronte del dispositivo
di contenimento a Santo Domingo, mandai con lo
stesso messaggero la seguente nota:
“Questa Colonna di guardie è in una vera trappola.
Ci serve qualche truppa in più per impedire
l’arrivo di rinforzi. Ma non voglio indebolire
quella posizione (quella di Santo Domingo); per
questo, dopo averlo pensato molto bene, ho deciso
di muovere da lì l’unica truppa che non è in
posizione difensiva, ma d’attacco, quella di Lalo.
(...) Con Lalo qui, credo che potremmo fare
qualcosa di buono”.
In
quel momento non ci vedevamo ancora obbligati a
realizzare veri giochi di destrezza per
distribuire e ridistribuire le scarse forze sulle
quali contavamo, in accordo con la maggior
minaccia concreta che affrontavamo in ogni
congiuntura. In quel momento, la presenza nemica a
Santo Domingo, nonostante la sua vicinanza alla
zona de La Plata, aveva smesso d’essere un
pericolo imminente dopo il colpo, più psicologico
che materiale, ricevuto giorni prima nella prima
Battaglia di Santo Domingo. Adesso la priorità era
la possibile cattura della truppa arrivata a
Meriño.
D’accordo con il Che, mandai a cercare, vicino a
Minas de Frío, anche Raúl Castro Mercader ed i
suoi uomini, che, come si ricorderà, si stavano
posizionando a Polo Nord, vicino a Minas. Questo
gruppo si mantenne là come riserva.
Quando arrivò, dopo aver marciato dall’altopiano
di Meriño, Lalo mi informò, a mezzogiorno del 6
luglio, che dopo l’ispezione del luogo previsto
per tendere l’imboscata, considerava che la
posizione non era delle più idonee, anche se poi
avrebbe esplorato anche più in basso.
Come
risposta a quel messaggio, mandai a Lalo un
rinforzo di uomini per coprire un altro probabile
accesso vicino alla sua posizione, con le seguenti
istruzioni:
“Ti
mando gli uomini che sono rimasti. Mettili
nell’altro punto che ti ho indicato, con un capo
coraggioso che controlli quel cammino e che
attacchi anche con la retroguardia qualsiasi
gruppo nemico che cerchi di uscire da Meriño, dal
cammino dove tu ti trovi.
Lalo
situò immediatamente il rinforzo inviato, un
totale di 12 uomini, in un altura del picco
Caraquitas, e coprì l’altro lato del cammino di
Limones. Al fronte di questo gruppo designò Néstor
Labrada.
In
quello stesso giorno arrivò Braulio Curuneaux a
Meriño con la sua mitragliatrice 50, che avevo
fatto ricercare il giorno prima da Naranjo. Senza
perdere tempo Curuneaux occupò una posizione nel
settore est dell’accerchiamento, sul pendio della
collina della Magdalena, assieme al Che e una
parte dei suoi uomini, inclusa la squadra di Hugo
del Río, che controllava l’accesso a Minas de
Frío.
All’alba del 7 ricevetti un messaggio del Che con
un’informazione confusa di Cuevas, nella quale
diceva che le guardie stavano salendo per il
Roble. Questo mi obbligò a ripianificare tutta
l’operazione prevista contro la truppa nemica a
Meriño. La cosa migliore è trascrivere il
messaggio che inviai al Che alle 11:50 di quella
mattina, perché mi sembra che illustri nel modo
più chiaro possibile la straordinaria flessibilità
della nostra pianificazione tattica:
“Se
Cuevas dice che le guardie salivano per il Roble,
può significare che vengono dalla spiaggia verso
l’alto, e che non abbiano nulla a che vedere con i
movimenti a Meriño.
Se è
così, lui deve girare i suoi cannoni verso l’altro
lato, mentre decidiamo qualche altra manovra. Se
questo fosse rigorosamente vero, il nostro piano
potrebbe essere di separare una piccola pattuglia
che si posizionasse in un buon luogo a un
chilometro o due più in basso rispetto a Cuevas,
per vedere se, quando quella fa contatto con il
nemico, quelli di Meriño avanzano verso il basso e
cadono nella trappola.
(...)Cerca di capire cosa voleva dire Cuevas”.
In
definitiva, quel presunto movimento nemico verso
il sud non esisteva. Tuttavia, si vede che nelle
nostre previsioni figurò sempre il contatto tra la
truppa arrivata a Meriño con il Battaglione 18 o
qualche altra forza nemica proveniente dalla
costa. Era il movimento più logico dal punto di
vista del comando nemico, perché con lui, il
nostro territorio nel settore più occidentale,
sarebbe rimasto diviso, e tutte le nostre forze ad
ovest del fiume la Plata, separate e svincolate
dalle altre.
A
quell’altezza, il mio maggior desiderio non era
che si producesse l’arrivo di un rinforzo
proveniente da San Lorenzo, ma che la truppa di
Meriño cercasse di continuare ad avanzare verso il
Roble, nel cui caso l’imboscata preparata tra le
forze di Cuevas e quelle di Lalo sarebbe stata
fatale. Se fosse stato necessario, si sarebbero
anche potute impiegare le forze di Raúl Castro
Mercader e una squadra di sei uomini della truppa
di Camilo, agli ordini di Oreste Guerra, che
mantenevo con me a Minas de Frío, sempre come
riserva.
Ma
non si verificò nessuna delle due cose. Alle 6:10
della mattina del 7 luglio, il Che mi avvisò che
le guardie di Meriño stavano preparando i loro
muli, evidentemente con l’intenzione di muoversi,
però mi avvertì del fatto che “non si sa ancora la
direzione”. Un’ora e mezza più tardi mi comunicò:
“Hanno già preparato tutti i muli e hanno tolto i
posti di controllo dal lato dell’altura di
Meriño.
Apparentemente aspettano qualcosa dall’aviazione.
Ho già avvisato Cuevas. Se si muovono in qualche
direzione lo avviso. Il cammino che sembra più
probabile è quello di Roble, però sono ancora
sparsi nelle case. Bisogna considerare il cammino
che sale a Minas (de Frío). Io avviserò Ciro (del
Río) quando avanzeranno per qualsiasi parte”.
Come
si vede, fino a quella mattina il Che era
d’accordo con la mia valutazione che la direzione
più probabile delle guardie di Meriño sarebbe
stata verso Roble. Però nella mia testa era già
sorta l’alternativa di fissare il quel momento la
truppa di Meriño semplicemente come ritirata, di
ritorno verso San Lorenzo.
La
tiepida condotta del comando nemico per
assicurarsi il contatto di questa truppa con
un’altra proveniente dal Sud, ed il fatto sicuro
che ordinare alle guardie di Meriño d’avanzare
senza appoggio fino a Roble avrebbe significato
farli penetrare ancora di più all’interno del
nostro territorio, con la prospettiva sicura di
cadere in una trappola, mi fecero considerare come
probabile la variante della ritirata.
A
testimonianza di quello ci fu il successivo
messaggio che inviai a Lalo alle 7:25 della
mattina di quello stesso giorno, dal mio posto di
comando a Minas de Frío, dopo aver ricevuto la
prima comunicazione del Che:
“Le
guardie hanno preparato tutti i muli. Hanno già
tolto il posto di controllo dell’Altopiano del
Meriño, sembra che si stiano già muovendo verso il
Roble. Devi stare attento. In qualsiasi direzione
si muovano dobbiamo cercare di distruggerli. Se
cercano di avviarsi verso San Lorenzo, prendeteli
tra te e i 12 (di Néstor Labrada), che da qui
occuperemo l’accampamento e li attaccheremo nella
retroguardia.
Se
avanzano verso il Roble o Las Minas, la tua
missione è di non permettere che ricevano
rinforzi”.
Nel
messaggio al Che, delle 9:15 della mattina, dissi:
“Ho
già avvisato Lalo con le istruzioni per ogni
situazione. Farò esplorare i cammini che vengono
da San Lorenzo e Las Vegas e ho Raúl (Castro
Mercader) e i 6 di Camilo (quelli di Orestes
Guerra) pronti per muoversi dove sia necessario,
se non ce ne fosse bisogno qui. Ho ordinato di
situare sull’Altopiano di Mompié i 7 uomini che
rimanevano di Camilo a la Plata ed anche Guillermo
può essere utilizzato, se le circostanze lo
richiedono”.
La
priorità concessa da me a questa operazione a
Meriño si deduce dal fatto che io ero disposto a
muovere verso quel luogo anche Guillermo García ed
i suoi uomini, che in quel momento erano nella
zona di La Plata.
Alle
5:00 del pomeriggio inviai un altro messaggio a
Lalo, nel quale, per sgombrare ogni dubbio,
ribadii la sua missione e quella della squadra di
Labrada.
“Tutto va bene. Io mi aspetto che da un momento a
un altro le guardie si muoveranno. Se vengano da
quella parte, fai in modo di bloccare
l’avanguardia e di respingerli. Gli altri 12
devono quindi prendere il cammino di Meriño e
imboscarsi lì nel caso in cui quelli che vi stanno
dentro cerchino di attaccarti. Quei 12 devono
avere un capo valoroso e che sappia quello che
deve fare se restano isolati dall’altro lato;
salire a Caracas e scendere verso Roble, fino a
raggiungere gli altri di nuovo.
All’imbrunire, ordinai di inviare un mortaio alla
posizione di Cuevas, per rinforzare la via più
probabile d’avanzata del nemico in direzione del
Roble.
Il
caso è che la mattina dell’8 luglio, le guardie di
Meriño intrapresero la loro ritirata verso il
Tabaco e San Lorenzo. In realtà, il capo del
gruppo stazionato a Meriño, il capitano Martínez
Torres, aveva ricevuto dal suo superiore la
missione d’avanzare fino a Roble e poi salire a
Cahuara per unirsi al Battaglione 18 a Jigüe,
cioè, la manovra che avevamo previsto. Tuttavia,
con il pretesto che alle sue due compagnie, la 91
e la 93 del Battaglione 19, erano finite le
provviste - avevano cercato di comunicare con
l’aereo di connessione, ma non c’erano riusciti -
decise di tornare a San Lorenzo per rifornirsi.
Sembrava che questo capo nemico fosse
preoccupato, a ragione, della prospettiva di
cadere in una trappola se seguiva le istruzioni
del suo comando superiore.
Dopo
una faticosa ascesa fino alla cima, alle 8:45
della mattina, l’avanguardia nemica si scontrò con
l’imboscata tesa dal plotone di Lalo Sardiñas ed
iniziò il combattimento. Alcuni minuti dopo, i 12
uomini della squadra agli ordini di Néstor
Labrada, situata in una cima dall’altro lato del
cammino, cominciarono a sparare sul fianco
sinistro del nemico. Di fronte al nutrito fuoco
incrociato che ricevettero, i soldati cercarono
solo di proteggersi nei buchi che l’erosione aveva
formato nello stesso terreno. Nonostante
l’appoggio dell’aviazione, che dalle 9:30 della
mattina mitragliava i dintorni, la truppa nemica
si vide obbligata a retrocedere verso le trincee
aperte intorno al villaggio di Meriño.
A
mezzogiorno, Curuneaux, dalla posizione che
occupava sul pendio della collina della Magdalena,
mi chiese istruzioni. In quel momento non gli
potevo dare ordini precisi, senza conoscere con
certezza la traiettoria che seguiva il nemico, né
il piano del Che con i suoi uomini. Come
conseguenza, lo orientai:
“(...) Se tu vedi che le guardie cercano di
forzare l’incrocio verso San Lorenzo, attaccando
Lalo, e tu le avvisti dalla cima, spara su di loro
a discrezione per intimidirle o disperderle”.
Di
fronte alla loro incapacità di superare le
posizioni ribelli, il capitano Martínez Torres
chiese un nuovo appoggio dall’aviazione per
tentare una volta in più l’avanzata verso il
cammino di San Lorenzo. Attorno alle 12:20, due
B-26 e un caccia F-47 cominciarono a mitragliare
nei dintorni per due ore e mezzo. Dopo l’attacco
aereo, le compagnie nemiche tentarono una nuova
avanzata sulle posizioni ribelli, ma furono di
nuovo respinte dagli uomini di Lalo e di Labrada.
La squadra di Ciro del Río, appoggiata dalla
mitragliatrice 50 di Curuneaux, cominciò ad
avanzare per collocarsi in posizione di
combattimento contro le guardie, sul fianco
destro.
Alle
12:50 del pomeriggio, il Che mi inviò un messaggio
nel quale mi informava:
“Ho
l’impressione che tutte le guardie si siano
sparpagliate per l’altro lato della montagna. Ho
cercato di stabilire un contatto con Lalo, ma il
mio messaggero non è tornato. Ciro del Río sta
avanzando verso la vetta”.
Alle
13.55, nel primo pomeriggio, il Che mi inviò un
altro rapporto sempre con dati poco precisi
sull’azione:
“Le
guardie stanno sulla punta del vetta, ma sembra
che Lalo si sia ritirato e si sono già avviate
verso l’imboccatura del cammino per San Lorenzo.
Queste sono congetture; di preciso non so niente.
I messaggeri non hanno raggiunto Lalo. Da qui (500
metri ) si vedono passare una dopo l’altra verso
San Lorenzo”.
Non
fu che alle 14:00 del pomeriggio che ricevetti,
grazie ad un messaggio di Lalo, la prima
informazione concreta sullo sviluppo delle azioni:
“Abbiamo avuto un o scontro con quelli del Meriño.
Abbiamo visto 2 morti loro, ma io credo che siano
stati otto; questa imboscata, da questo lato è
molto corta, ma ho lanciato 12 granate e otto
“petardi” a un gruppo che stava in una fossa, da
dove gridavano: “Non lasciate i feriti, scappate,
ci stanno circondando”, e uno diceva: “Avanza per
il sentiero” e l’altro diceva “Avanza tu”.
È
durato circa un’ora e mezza, è cominciato alle
9:30, l’aviazione non ha fatto nulla. Stanno
cercando d’avanzare di nuovo, e l’imboscata di San
Lorenzo non l’ho mossa per niente”.
Il
dato apportato da Lalo in quel messaggio circa la
sua imboscata “che è molto corta” è risultato
chiave in quello che avvenne in definitiva. Già in
quel momento, io avevo preso alcune disposizioni
urgenti per rinforzare la posizione di Lalo e
frustrare il proposito delle guardie di andare
verso San Lorenzo. Alle 14.15 del pomeriggio,
informai il Che in un messaggio:
“Ho
mandato Raúl Castro (Mercader) con 8 uomini per
rinforzare Lalo. I 7 uomini che restavano a Camilo
della sua colonna a la Plata stanno per arrivare
qui. Guillermo è situato sull’altopiano del Mompié
con il suo plotone, per portarlo qui se le
circostanze lo richiederanno.
Se
le guardie non sono andate via, questa notte
manderò 40 uomini a scavare trincee nella collina
dove si trova Lalo e lo manderò come rinforzi
quelli di Camilo che stanno arrivando (tutti con
automatiche e un fucile mitragliatore). Manderò
anche la bomba da 50 chili (100 libbre) che è
qui”.
Nel
frattempo, il plotone di Andrés Cuevas, rafforzato
con gli uomini di Jaime Vega, e il Che con parte
della sua truppa, avanzavano per attaccare la
retroguardia delle compagnie nemiche.
Poco
dopo, alle 15.20 del pomeriggio, inviai un
messaggio a Lalo Sardiñas nel quale lo informavo:
“Tra pochi minuti verranno lì con un fucile
mitragliatore e altri sei uomini con armi
automatiche. Nella notte manderò una bomba da 50
chili (cento libbre), per metterla sul cammino di
San Lorenzo. Manderò anche altri uomini per
scavare trincee. Se si resiste bene lì, li
sbaragliamo e li facciamo arrendere.
(...)Cuevas, Vega, Che, Ciro e una squadra di
Camilo stanno avanzando per Meriño. Mi congratulo
con voi tutti.
P.S.
Ho mandato a Fonso (Alfonso Zayas) che sparerà
contro di loro dal cammino di Minas a San
Lorenzo”.
In
effetti, la squadra agli ordini di Alfonso Zaya,
con un Garand e 10 fucili, era partita per il
cammino di Minas de Frío fino alle vicinanze
dell’accampamento nemico a San Lorenzo, e aveva
sparato alcuni colpi con il proposito di provocare
l’uscita della truppa lì stazionata per
perseguitare la pattuglia ribelle, o per aiutare
le compagnie accerchiate a Meriño.
Rapidamente, Zayas prese di nuovo la vetta e si
diresse velocemente alla ricerca di un’altura
propizia, vicino il cammino di Meriño per
preparare un’imboscata. Me lo fece sapere in un
messaggio che m’inviò alle 14.10 del pomeriggio.
Ma all’arrivo ad un sentiero che andava in linea
retta da San Lorenzo al luogo nel quale si
trovavano appostate le forze di Lalo Sardiñas,
Zayas decise prima di tutto di stabilire un
contatto con i suoi compagni. Allora Raúl Castro
Mercader, che era arrivato con la squadra di
rinforzo, gli indicò che doveva rimanere a
controllare quel sentiero ancora spoglio, per
coprire la retroguardia ribelle in quel punto.
Le
guardie di Meriño cercarono quel pomeriggio di
forzare per la terza volta l’uscita verso il
cammino di San Lorenzo, e furono di nuove
respinte. Ancora una volta furono obbligate a
retrocedere sotto l’attacco continuo dalla
retroguardia delle forze del Che, Cuevas e Jaime
Vega, appoggiate dalla mitragliatrice 50 di
Curuneaux. In questa ultima fase, i soldati
abbandonarono alcuni dei loro muli.
Alle
16.05 del pomeriggio, il Che mi informò: “Sono a
300 metri dalle guardie, sotto di loro. Ho 7 muli
che non abbiamo lasciato andare via, ma avremmo
bisogno di un piccolo aiuto da qualsiasi
direzione, preferibilmente dalla retroguardia, per
prenderli”.
Stando così le cose, si dovevano prevedere tre
possibilità: la prima, che continuassero ad
insistere ancora una volta nel forzare il cammino
verso San Lorenzo; l’altra, che cercassero di
prendere il cammino di El Tabaco e la terza, che
il nemico inviasse rinforzi da San Lorenzo. Con
queste varianti in mente, alle 17.00 trasmisi il
seguente messaggio a Lalo Sardiñas:
“Vado a prendere contatto con il Che e Cuevas e a
vedere se posso rafforzare il cammino d El Tabaco.
Preparate una buona difesa di trincee nel cammino
che viene da San Lorenzo e mettete due bombe.
Puoi
mettere venti uomini e il tripode verso San
Lorenzo e il resto verso Meriño. Controlla anche
la tua retroguardia sulla cima dove ti trovi, con
qualche posto di controllo.
Fonso prese possesso di una vetta vicino al
cammino che sale a Meriño, per sparare su
qualsiasi rinforzo che venisse da San Lorenzo.
Se
non sono ancora scappati da qualche parte, si deve
impedire domani, in ogni modo, che arrivino dei
rinforzi.
Riempi tutto di buchi”.
E a
Celia, che si trovava a Mompié, indicai:
“Vado a mettermi in contatto con il Che e Cuevas.
Che Laferté s’incarichi di mandare prima di notte
gli uomini per scavare le trincee. Guillermo deve
rimanere lì”.
L’indicazione era che l’ex tenente dell’Esercito
della tirannia Evelio Laferté, che era rimasto con
noi dopo la sua cattura in febbraio, nel secondo
Combattimento di Pino del Agua e che ora era
responsabile della scuola delle reclute a Minas
de Frío, ne inviasse un gruppo per scavare le
trincee per estendere la linea di Lalo.
Le guardie tentarono per la quarta volta di
forzare il cammino di San Lorenzo, e furono
respinte ancora una volta dalle forze ribelli. Il
combattimento si prolungò sino alle 18.30 e il
nemico fu obbligato nuovamente a retrocedere.
Durante lo sviluppo di quel quarto combattimento
andai da Minas de Frío a contattare il Che e
Cuevas. Ma nel cammino incontrai alcune squadre
ribelli in ritirata, apparentemente por un
malinteso di qualche ordine.
Diedi nuove istruzioni e scambiai impressioni con
Lalo, poi inviai un messaggio al Che alle 19.45:
“Giungo qui dal cammino da la Mina a Meriño e
incontro una grande confusione. C’è qui la squadra
di Ciro che andava in retirata, dicendo
che c’erano guardie a Meriño, che secondo me
erano Cuevas e compagnia.
La 30 andava ugualmente in ritirata a quanto mi
dicono, per ordine tuo. Mi stupisce un poco che tu
abbia dato questo ordine, restando lì.
Ho appena parlato con Lalo, una mezzora fa. La
cosa lì va molto bene, ma temo che i 12 che
stavano proteggendo il cammino di
Limones e che stamattina avevano sparato contro
le guardie, vedendosi
tutto il giorno senza contatto, si ritirino verso
Caracas.
Tutto questo va sistemato.
A me sembra che noi due ci dobbiamo vedere, perchè
le migliori posizioni sono e possono stare in
nostro potere. Il rinforzo può solamente
venire da San Lorenzo e io ti assicuro che non
giungerà.
Io lascerei alcuni uomini qui in basso e
concentrerei le forze lungo il cammino che viene
da
Limones, perchè questo punto e la posizione di
Lalo, sono in questi momenti, l’essenziale, dato
che le guardie non andranno in basso in nessuna
maniera.
I muli solamente possono camminare per questi
sentieri”.
In realtà la squadra di 12 uomini che proteggeva
il cammino di Limones, al comando di Néstor
Labrada, si era ritirata sulla cima di Caracas,
assieme ai sette uomini della colonna di Camilo.
Il rinforzo aspettato dalla truppa nemica
stazionata a San Lorenzo non uscì in nessun
momento in aiuto dei compagni accerchiati .
In vista della difficile situazione in cui
s’incontravano le compagnie nemiche accerchiate
a Meriño, la guida di questa truppa, un contadino
della
zona chiamato Armando Rabí, disse al capitano
Martínez Torres, che come
unica possibilità di rompere l’accerchiamento,
dovevano scendere verso la vallata di El
Tabaco dai faraglioni, dall’altro lato della
parte più meridionale della
cima. Approfittando dell’oscurità della notte e
del fatto che la linea
ribelle di Lalo non giungeva in questa parte della
cima, la truppa nemica intraprese accuratamente
la fuga in quella direzione, lasciando indietro il
resto
del gruppo dei muli.
Fu solamente a mezzanotte, dopo l’arrivo di
Cuevas nell’accampamento nemico già deserto che
ricevetti la conferma della fuga della truppa.
Alle 23.45 inviai un messaggio a Lalo:
“Le guardie si sono disperse per tutto El Tabaco
apparentemente. Hanno abbandonato sette muli con
alcuna mercanzie, pentole e zaini.
Non si sa dove hanno portato gli altri.
I tuoi 12 ( uomini) secondo le notizie, si sono
uniti ai sette di Camilo che sono andati sulla
cima di Caracas e stavano lungo il cammino di
Limones.
La mattina, verso le 4. 30, fai alzare la gente e
con la prima luce manda ad esplorare la cima sino
al cammino di Limones, prendi la cima con gli
uomini, e stai attento a qualche guardia sperduta
rimasta lì e registrate bene tutto, cercando armi,
munizioni, zaini e altro.
In un’ora potete terminare. Lascia appostati sei
uomini, che guardino il cammino sino alle 12 del
giorno, e tu trasferisciti presto a la Mina con
gli altri uomini a riposare .
I muli che prendemmo non portavano munizioni:
investigai per vedere cos’era successo agli altri
Portai le mine.
Anche se il combattimento di Meriño non
rappresentò un apporto importante da un punto di
vista materiale in armi, munizioni e cose varie,
significò a sua volta un’altra vittoria delle
nostre forze in quel settore, che contenne per un
tempo i piani dell’offensiva nemica.
I vari tentativi delle guardie di forzare le linee
ribelli furono tutti respinti.
Il nemico perse almeno otto uomini ed ebbe un
numero indeterminato di feriti, mentre le truppe
ribelli non soffersero una sola perdita. Anche se
il grosso delle due compagnie del Battaglione 19
riuscì a scappare dall’accerchiamento teso loro,
i nemici persero tutte le loro appartenenze e si
trovarono in condizioni tanto difficili che
furono poi appena utilizzati con efficacia di
nuovo durante il resto della campagna.
Ma la cosa più importante fu che il tentativo di
penetrazione del nemico nella profondità del
nostro territorio fu respinto. Le guardie furono
scacciate da Meriño, e impedimmo loro, per il
momento, di realizzare il piano di vincolare
queste truppe a quelle del Battaglione 18, che
avanzava dal sud.
Ora era il momento di liquidare esattamente
un’altra minaccia. Il giorno dopo mi trasferii a
Mompié e da lì a Jigüe. Non c’era la possibilità
di un minuto di riposo.
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