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                              LA VITTORIA STRATEGICA  L’occupazione di Las Mercedes
 (Capitolo 3)
 
                              
                              Il comando nemico scatenò la prima fase della sua 
                              offensiva il 25  maggio. 
                              
                               Quel 
                              giorno cominciò ad avanzare verso  il villaggio di 
                              Las Mercedes, dalla sua base di operazioni nel 
                              Cerro Pelado, il forte Battaglione  17, capitanato 
                              dal comandante Pablo Corzo, rafforzato dalla 
                              Compagnia 81 del Battaglione 20. 
                              
                              Lì, a Las Mercedes, dove cominciò la grande 
                              offensiva nemica con cui si sperava di dare il 
                              colpo  mortale  al nucleo principale della 
                              guerriglia, terminarà anche l’ operazione, 74 
                              giorni  dopo, con un’assoluta vittoria 
                              dell’Esercito Ribelle. Quel primo combattimento a 
                              Las Mercedes  fu il tipo della strategia che 
                              avevamo elaborato per far fronte alla spinta
                              
                              
                              dell’Esercito della tirannia. 
                              
                              Le forze nemiche, con l’appoggio del loro numero e 
                              del loro potere  di fuoco, assoluatamente  
                              superiori, riuscirono in definitiva a realizzare 
                              l’obiettivo immediato che avevano  tracciato di 
                              occupare la posizione, ma solo dopo un forte 
                              scontro per vincere  una resistenza tenace che 
                              rallentò   la loro avanzata, disarticolò i loro  
                              piani, cominciò a disgregare il loro potere  e 
                              dimostrà il morale superiore del combattente 
                              ribelle. 
                              
                              Il 25 maggio, l’accesso a Las Mercedes, nel 
                              settore nordest del nostro territorio centrale, 
                              era protetto  solamente da una squadra ribelle di 
                              poco più di una dozzina  di uomini, al comando del 
                              capitano Ángel Verdecia. Quel gruppo, come si 
                              ricorderà, aveva  occupato le posizioni diverso 
                              tempo prima, sulla collina  di La Herradura, tra 
                              Las Mercedes e Sao Grande, coprendo il cammino che 
                              conduceva al villaggio. Sarà in questo luogo che 
                              il  pugno  di combattenti di Angelito Verdecia 
                              realizzerà una prima resistenza durante tutto il 
                              pomeriggio del 25 maggio.  
                              
                              Dalle  prime ore della mattina, l’aviazione nemica 
                              cominciò a bombardare e mitragliare  intensamente 
                              tutta la zona ai  lati del cammino del Cerro, 
                               concentrando il suo fuoco  sulla  falda esterna e 
                              sulla cima della collina de La Herradura. Fu in 
                              questo giorno che, probabilmente per la prima 
                              volta nella guerra, entrarono in azione contro i 
                              ribelli gli aerei T-33 a retro-propulsione, 
                              consegnati a Batista dagli Stati Uniti poche 
                              settimane  prima, che potevano operare comodamente 
                              e con assoluta sicurezza tra il rilievo poco 
                              accidentato della zona di Las Mercedes. 
                              
                              Un poco prima  di mezzogiorno, le forze del 
                              Battaglione 17 cominciarono ad avanzare dal Cerro, 
                              una parte a piedi ed un’altra in camion. Cinque 
                              carri armati T-17 della Compagnia C del Reggimento 
                              Misto 10 di Marzo accompagnavano quella  avanzata. 
                              Durante tutta la prima parte del tragitto non 
                              avvennero  incidenti importanti. Fiduciosi  che 
                              l’intenso attacco aereo aveva  distrutto le 
                              posizioni difensive dei  ribelli, obbligandoli a 
                              ripiegare, le guardie comunque  avanzarono 
                              lentamente e con estrema precauzione, effettuando 
                              un incessante fuoco di registro. In questo maniera 
                              superarono il Arroyón o fiume Caney, dove 
                              cominciano attualmente i terreni della Città - 
                              Scuola Camilo Cienfuegos e, poco dopo superarono 
                              le case di Sao Grande. Davanti a loro, a poco più 
                              di un chilometro, si alzava la collina de La 
                              Herradura, una larga cima  non molto alta, tesa ad 
                              arco da Est a Ovest, come un geloso guardiano di 
                              Las Mercedes   della stessa Sierra Maestra. 
                              
                              La punta dell’avanguardia nemica prosiguì la sua 
                              avanzata lungo il cammino e ai suoi due lati. Le 
                              guardie  erano già quasi sicure,  data l’assenza 
                              di indizi dei ribelli che solo due o tr eore di 
                              marcia tranquilla e senza incidenti le separava 
                              dal loro obiettivo. 
                              
                              Fu allora, appena a 200 metri dal termine della 
                              cima, che Angelito diede l’ordine d’aprire il 
                              fuoco. 
                              
                              La sorpresa paralizzò l’avanzata nemica durante un 
                              buon periodo. 
                              
                              Amministrando intelligentemente i suoi copli, la 
                              squadra ribelle lottò durante tutto il resto del 
                              pomeriggio. Solo lo spiegamento nemico in un ampio 
                              fronte alle falde della collina – allora come 
                              adesso coperta di pascoli e con alcune  guásimas ( 
                              grandi piante) - obbligò il capitano ribelle ad 
                              ordinare la ritirata, circa alle 5:00 del 
                              pomeriggio. 
                              
                              I combattenti occuparono allora  una seconda 
                              posizione difensiva dietro il cimitero, 
                              aprossimatamente a metà strada tra la cima  de La 
                              Herradura ed il villaggio. Poco prima che facesse 
                              notte,  quando le prime gurdie  cominciarono a 
                              scendere  dalla cima, scoppiò tra le loro fila una 
                              mina da 50 libbre d’esplosivo ( 23 chili circa) 
                              che la squadra di Angelito aveva  collocado sul 
                              percorso . Quell’esplosione, che aggiunse nuovi 
                              caduti  a quelli del combattimento del pomeriggio, 
                              fermò in maniera definitiva l’ avanzata del nemico 
                              in quella giornata. Nella notte le guardie si 
                              accamparono sulla cima  e sulle falde  interne 
                              della collina, a circa 400 metri di distanza 
                              dalla  seconda posizione ribelle. 
                              
                              Durante tutto  il giorno, lo  sviluppo del 
                              combattimento fu osservado dalle forze ribelli che 
                              occupavano posizioni nelle alture di Las Caobas e 
                              di El Moro, sull’altro lato di Las Mercedes, al 
                              comando dei capitani Horacio Rodríguez e Raúl 
                              Castro Mercader, rispettivamente. I due capi  
                              avevano precise istruzioni di non intervenire 
                              nell’azione, a meno che il nemico non 
                              allontanasse  la squadra di Angelito e continuasse 
                              la sua avanzata oltre il villaggio. Quei due  
                              piccoli plotoni avevano la missione di coprire 
                              importanti accessi all’interno del territorio 
                              ribelle, e dovevano entrare in azione  solamente 
                              come un secondo scalino di difesa, nel caso di un 
                              tentativo di penetrazione nemica al di là di Las 
                              Mercedes. 
                              
                              È bene dire che questa strategia non era compresa 
                              esattamente  da tutti i combattenti ribelli e da 
                              molti dei nostri capi  in quell’istante. 
                              Nell’animo di un gran numero di loro  esisteva il 
                              criterio che quello che si doveva  fare era 
                              opporre tutte le risorse umane a disposizione, in 
                              un momento ed in un settore determinati, per 
                              offrire  la maggior resistenza possibile e 
                              contenere con tutti i mezzi  il nemico nel luogo 
                              dove concentrava il suo attacco. D’altra  parte, 
                              va riconosciuto  che non era facile per un soldato 
                              ribelle, ansioso di lottare e pieno di questo 
                              sentimento di solidarietà combattiva che sempre lo 
                              caratterizzò durante tutta la guerra, vedere come 
                              vicino a loro  un gruppo dei loro sus compagni  si 
                              batteva tenacemente e non accorrere in loro aiuto, 
                              avendo, inoltre, i mezzi e le possibilità per 
                              farlo. E questo avvenne a Las Mercedes, dove  
                              molti degli integranti dei plotoni di Horacio e di 
                              Castro Mercader non intendevano  perchè la gente 
                              di Angelito Verdecia combatteva duramente a poche 
                              centinaia di metri dalle loro posizioni,  e 
                              dovevano anche  retrocedere,  mentre loro 
                              rimanevano inattivi. Ci si deve mettere al posto 
                              di quei compagni per comprendere che solo in virtù 
                              di un supremo sforzo di volontà e disciplina 
                              obbedivano all’ordine che avevano ricevuto dai 
                              loro capi. 
                              
                              Il combattimento iniziale a Las Mercedes,  fu 
                              quindi la prima applicazione pratica di questa 
                              nuova tattica. 
                              
                              Attraverso Horacio, che inviò  comunicazioni 
                               costanti a partire dal mezzogiorno del 25, ebbi 
                              notizia  dell’inizio dell’operazione e del suo 
                              sviluppo , ora per ora. 
                              
                              Va ricordato che in quello stesso pomeriggio, 
                              mentre Angelito combatteva tenacemente a La 
                              Herradura,  si stava svolgendo a 15 chilometri da 
                              lì, a  Vegas de Jibacoa, la prima riunione 
                              contadina nella Sierra Maestra dall’inizio della 
                              guerra. Quei messaggi di Horacio mi servirono per 
                              elaborare l’informazione sul combattimento che si 
                              fece conoscere il giorno siguente attraverso Radio 
                              Rebelde, nel primo dei comunicati  di guerra sulla 
                              situazione militare, emessi  sistematicamente 
                              dall’emittente guerrigliera durante tutta 
                              l’offensiva nemica. 
                              
                              Quella  notte, Raúl Castro Mercader inviò tre 
                              combattenti del suo plotone a prendere contatto 
                              con  Angelito nel cimitero. I tre uomini  
                              rimasero  con quelle  truppe tutto il giorno 
                              seguente, e combatterono con loro nel secondo 
                              giorno di azione a Las Mercedes.  Comunque, alcuni 
                              giorni dopo, quando seppi dell’invio di quel 
                              piccolo rinforzo, mi arrabbiai molto sapendo che 
                              quei compagni erano andati a raggiungere Angelito 
                              ed avevano combattuti armati con fucili Mendoza, 
                              abbastanza scarsi di munizioni. Il Che mi chiarì 
                              dopo che era stato lui che aveva stabilito che 
                              portassero quei fucili, perchè,  dato che avevano 
                              l’otturatore, non avrebbero  sprecato tanti 
                              proiettili come con un fucile semiautomatico, 
                              senza accorgersi che nel plotone di Raúl Castro 
                              Mercader c’erano altri fucili con un meccanismo 
                              simile meglio provvisti. 
                              
                              Poco dopo l’aurora del giorno 26 ricominciò il 
                              combattimento. Il nemico continuò  la sua 
                              avanzata,  spiegato in direzione del cimitero, ed 
                              ancora una volta il pugno di uomini  di Angelito 
                              lottò  tenacemente sino a che non restò loro altra 
                              opzione che ripiegare di fonte alla minaccia di 
                               vedere circondata la propria  posizione 
                              dall’enorme superiorità numerica della forza 
                              nemica, aiutata nel suo movimento dallo scarso 
                              rilievo e dalle condizioni aperte del terreno. 
                              
                              Il capitano ribelle ordinò allora di occupare una 
                              terza linea di difesa, e situò il grosso dei suoi 
                              uomini all’entrata del villaggio, all’altro lato 
                              del fiume Jibacoa sul margine sinistro, mentre  un 
                              altro piccolo  gruppo si ubicava sulla più alta 
                              delle  colline che circondavano il  margine 
                              destro, di fronte al villaggio frente e a poche 
                              centinaia di metri dietro il cimitero. 
                              
                              Il comandante Pablo Corzo Izaguirre ordinò un 
                              intenso fuoco dei mortai in direzione delle case, 
                              con la speranza di distruggere  in questa forma la 
                              resistenza ribelle. Un piccolo aereo nel  quale 
                              viaggiava il colonnello Manuel Ugalde Carrillo, 
                              ufficiale esecutivo del posto di comando di 
                              Bayamo, sorvolava costantemente a grande altezza 
                               la zona del combattimento. Da là, sicuro e 
                              prepotente, dava ordini costanti al capo del 
                              Battaglione 17. 
                              
                              Nonostante  tutto il suo potere e i suoi sforzi, 
                              il nemico non era riuscito ancora a superare  il 
                              fiume, alle quattro del  pomeriggio. 
                              
                              Apparve allora di nuovo  l’aviazione e riprese 
                              anche il bombardamento 
                              
                              con i mortai. 
                              
                              Due dei carri armati  andarono ad occupare la 
                              posizione d’avanguardia. 
                              
                              Finalmente, dopo un’ultima resistenza di più di 
                              un’ora, Angelito diede l’ordine di ritirata, ed i 
                              combattenti ribelli  ripiegarono in modo 
                              organizzato di fronte alla spinta  incontenibile 
                              della schiacciante  forza nemica. Alle  18:45 del 
                              pomeriggio del giorno 26, le guardie entrarono a 
                              Las Mercedes. Un battaglione  completo, rafforzato 
                              con mortai ed armi automatiche  ed appoggiato da 
                              piccoli carri armati e aerei, aveva dovuto 
                              combattere  per circa 30 ore contro meno di una 
                              ventina di uomini, armati con semplici  fucili e 
                              munizioni limitate. 
                              
                              La squadra ribelle non sofferse in questa azione 
                              nè morti nè feriti,  anche se inizialmente era 
                              stata data l’informazione  che un uomo era stato 
                              ferito. 
                              
                              Salvo tre o quattro combattenti che andarono a 
                              difendere le posizioni di Horacio Rodríguez, il 
                              grosso dell’aguerrita piccola truppa ribelle si 
                              ritirò verso l’alto di El Moro e si riunì con il 
                              plotone di Raúl Castro Mercader. 
                              
                              Quel giorno scesi assieme a Celia e ad un piccolo  
                              gruppo di compagni da las Vegas de Jibacoa sino 
                              alle  posizioni di Horacio, sopra  Las Mercedes, 
                              per osservare lo sviluppo del combattimento. Lì  
                              ebbi la conferma della straordinaria resistenza 
                              sostenuta dalla dozzina di uomini di Angelito 
                              Verdecia. Il comunicato  diffuso da Radio Rebelde, 
                              il giorno 27, scritto e firmato da me, includeva 
                              una meritata  menzione speciale, "per lo 
                              straordinario valore",  del capitano Ángel 
                              Verdecia e degli uomini che comandava: 
                              
                              Nonostante  la straordinaria superiorità numerica, 
                              la qualità delle  armi  e l’appoggio  aereo su cui 
                              contavano le forze nemiche, i nostri uomini hanno 
                              scritto una pagina di singolare eroismo. 
                              
                              Il giorno prima,  informando sulla  prima giornata 
                              di combattimento, avevamo affermato  in modo 
                              premonitore  che la resistenza offerta a Las 
                              Mercedes era "simbolo di quello che sarebbe 
                              accaduto ai  soldati mercenari della tirannia 
                              sulla Sierra Maestra". 
                              
                              E avevamo aggiunto: 
                              
                              “L’alto comando Remick appare sconcertato di 
                              fronte alla possibile tattica delle 
                              
                              nostre forze”. 
                              
                              Ignorano se difenderemo pollice a pollice il 
                              terreno o se li lasceremo penetrare verso i  punti 
                              più strategici delle nostre difese.  Ieri è stato 
                              il primo giorno di combattimento importante, si 
                              osservava,  in tutti gli uomini  di questo fronte 
                              rivoluzionario e nel popolo che lotta assieme  a 
                              noi, un entusiasmo febbrile ed eccitato. Solo un 
                              minimo delle nostre forze era  entrato in azione. 
                              Costa fatica  contenere l’impeto di chi, dai  suoi 
                              punti di reserva o di possibile manovra ascolta il 
                              fuoco dei suoi compagni  che sono in prima linea. 
                              Va spiegato  costantemente che la guerra non è 
                              solo questione di valore, ma anche  questione di 
                              tecnica, di psicologia e d’intelligenza. 
                              
                              Questi uomini  sono quelli che la dittatura sta 
                              invitando con ridicoli bandi a presentarsi nelle  
                              caserme per  sottomettersi al giogo indegno 
                              dell’oppressione. La nostra  risposta la stiamo  
                              già dando. 
                              
                              Ci sono cose che nè  i tiranni nè i loro sbirri 
                               possono comprendere. Non è lo stesso lottare  
                               per un salario, affittare  la persona ad un 
                              miserabile tirannello, caricarsi un fucile per una 
                              paga come un vile mercenario, che essere soldato 
                              di un ideale patriottico. Al mercenario si può 
                              parlare della vita, porchè gli importa piùla vita 
                              della  sua causa; combatte per il suo salario e se 
                              muore, l’incentivo materiale sparisce con la sua 
                              vita. All’uomo degli ideali, la vita non importa, 
                              porchè quello che gli importa è l’ideale: non 
                              chiede denaro, sopporta con passione tutti i 
                              sacrifici che gli impone una causa che ha 
                              abbracciato  disinteressatamente. Morire non lo 
                              preoccupa, perchè più della vita  gli importa 
                              l’onore, gli  importa la gloria, gli importa il 
                              trionfo della sua causa. 
                              
                              Qui i nostri uomini  sanno che dando la vita 
                              servono laloro causa, hanno visto morire molti 
                              altri compagni e  conoscono il rispetto, 
                              l’affetto, la lealtà e  l’ammirazione con cui si 
                               ricordano gli eroi caduti; si sono fatti l’idea 
                              che l’individuo può morire ma non la causa che 
                              difendono. Nell’ideale della Rivoluzione 
                              continuano a vivere  coloro che sono morti  e 
                              continueranno  a vivere tuti quelli che moriranno. 
                               L’ideale è una forma superiore di vida in cui la 
                              morte individuale non conta. 
                              
                              Io so che quello che più  preoccupa il comando 
                              della dittatura è la tenacia del soldato ribelle. 
                              Fatica  a  comprendere. Forse il precedente può 
                              spiegare  alle  loro  menti confise perchè 
                              nonostante i loro aerei,  i loro carri armati, i 
                              loro mortai, le loro enormi risorse economiche, le 
                              loro riserve infinite  di munizioni e le loro 
                              migliaia  e migliaia di salariati, non possono 
                              prendere una trincea ribelle se i ribelli non 
                              vogliamo che prendano  la trincea. 
                              
                              Senza dubbio, la resistenza offerta dalla suqadra 
                              ribelle di Ángel Verdecia a Las Mercedes fu un 
                              simbolo che coperse  di gloria e prestigio 
                              l’agguerrito capitano guerrigliero, che poche 
                              settimane dopo avrebbe incontrato la morte in un 
                              combattimento disiguale, ed un annuncio chiaro di 
                              quello che sarebbe avvenuto  più tardi. Dopo quel  
                              combattimento a Las Mercedes, il Che ebbe la 
                              possibilità d’informarmi compiaciuto: "Angelito 
                              senza novità, si è salvato  tutto". Il piano 
                              elaborato era stato eseguito perfettamente. 
                              
                              Per il nemico, quella prima resistenza a Las 
                              Mercedes fu un colpo psicologico importante. Là 
                              sofferse i primi morti e feriti  della sua 
                              offensiva. La cifra non si riuscì a determinare, 
                              ma i caduti dovevano essere stati numerosi. Lo 
                              stesso  Angelito Verdecia riportava, dopo il 
                              primo  giorno di  scontro, d’aver  provocato la 
                              morte di sette uomini. 
                              
                              Ma per  il comando nemico, fu ancora più grave 
                              constatare che le forze ribelli erano capaci di 
                              sostenere con esito  una lotta di posizioni, 
                              sviluppare una tattica difensiva di logorio 
                              progressivo, che per la prima volta erano 
                              obbligati ad affrontare. 
                              
                              La maniera in cui il nemico maneggiò  
                              l’informazione relazionata al combattimento fu 
                              significativa. Il 28  maggio, lo Stato Maggiore 
                              dell’Esercito della tirannia pubblicò un 
                              comunicato ufficiale nel quale, tra le altre cose, 
                              si diceva quanto segue: 
                              
                              Alcune forze del l’Esercito che operavano a Cerro 
                              Pelado e a  Las Mercedes, hanno sostenuto uno 
                              scontro  con un altro gruppo di “banditi” 
                              provocando 18 morti e impadronendosi di 18 fucili 
                              e munizioni. 
                              
                              Si continua la persecuzione del nemico in fuga, 
                              che si dedica a terrorizzare i contadini, rubando 
                              loro il bestiame, bruciando i loro raccolti, 
                              distruggendo le loro case e gli strumenti  del 
                              lavoro nei campi. 
                              
                              Le nostre forze non hanno subito perdite. 
                              
                              La menzogna era sfacciata, come sempre, . Non 
                              avevano provocato perdite ai ribelli, non avevano 
                              sottratto  armi, non si continuava alcuna 
                              "persecuzione", nè i ribelli commettevano alcuno 
                              dei crimini  che denunciavano, e non era vero  che 
                              l’Esercito non aveva subito perdite.   
                              
                              D’altra parte va osservato il ridicolo tentativo 
                              di denigrare i  combattenti Rivoluzionarii 
                              chiamandoli   "banditi", ed insistere nel fatto 
                              che combattevano  con fucili da caccia, per dare 
                              ad intendere che si trattava di una banda 
                              disorganizzata di banditi e malfattori   che le 
                              forze della legge  e dell’ordine  potevano 
                              facilmente battere. Al rispetto, in un comunicato 
                              che preparai per Radio Rebelde il 29  maggio, 
                              dicevo quanto segue: 
                              
                              “Vero che è sbalorditivo, signori ascoltatori, 
                               sentire un comunicato dello Stato Maggiore che 
                              afferma d’aver provocato 18 morti tra i ribelli a  
                              Las Mercedes e che l’esercito continuava la 
                              persecuzione dei banditi? 
                              
                              Cosa penseranno gli stessi  soldati della 
                              dittadura che hanno partecipato ai fatti e sanno 
                              che tutto questo è una menzogna?   Può avere  
                              morale  un comando militare che mente tanto 
                              sfacciatamente ai suoi stessi soldati?  
                              
                              Non ci sarebbe  niente di strano se in qualche 
                              giorno  18 infelici contadini  saranno 
                               vigliaccamente assassinati per giustificare il 
                              comunicato dello Stato Maggiore, com’è   accaduto 
                              molte altre volte. 
                              
                              Non si riesce mai a sapere  se mentono per 
                              assassinare, o assassinano per mentire; se sono 
                              più ipocriti che assassini o più assassini che 
                              ipocriti. 
                              
                              Per segnalare ulteriormente  la differenza tra la 
                              verità dei nostri comunicati e  le menzogne e le 
                              informazioni manipolate dei comunicati  nemici, 
                              dall’inizio stesso delle azioni  d’istruzione dei 
                              presentatori di Radio Rebelde, concludevano 
                              ognuna delle trasmissioni con la lettura di un 
                              paragrafo che avevo preparato loro con questo  
                              proposito, che diceva così: 
                              
                              Radio Rebelde aggiusta le sue notizie alla più 
                              stretta verità. Trasmettiamo  le notizie mentre le 
                              riceviamo ufficialmente o da fonti degne di fede. 
                              Non nascondiamo le nostre perdite perchè sono  
                              gloriose. I morti e feriti del nemico  non li 
                              esageriamo  perchè con le menzogne non si difende 
                              la causa della libertà, nè si distruggono  le 
                              forze nemiche. 
                              
                              E perchè, inoltre, gli uomini che muoiono di 
                              fronte ai nostri sono anche loro cubani che un 
                              regime tirannico ed odioso sta sacrificando in 
                              nome di  una ignobile e vergognosa causa. 
                              
                              Oltre a chiarire, sin dal primo momento dei 
                              combattimenti, la nostra trasparente posizione in 
                              quanto all’uso della verità, era anche importante 
                              chiarire quale sarebbe stata in seguito la nostra 
                              condotta in relazione al soldato nemico. 
                               
                              
                              Dopo l’occupazione di Las Mercedes nel pomeriggio 
                              del 26 maggio, il nemico si dedicò a consolidare 
                              le sue difese nel luogo ed alle sue attività 
                              preferite: l’assassinio dei contadini indefesi, il 
                              rogo e la distruzione delle loro case, il 
                              saccheggio indiscriminato dei loro beni. 
                              
                              Anche lì a  Las Mercedes, in realtà avvenne che i  
                              crimini e gli abusi di cui ci accusavano  furono 
                              commessi da loro stessi. 
                              
                              Siguendo una norma di condotta criminale alla 
                              quale eravamo abituati, e cercando forse di 
                              giustificare le loro cifre favolose di morti e 
                              feriti tra i ribelli colpiti in combattimento, le 
                              guardie nemiche si dedicarono al compito di 
                              calmare la loro frustrazione e la sete di sangue 
                              cominciando una catena di assassinii tra la 
                              popolazione della zona. Un caso serve da esempio, 
                              denunciato anche da Radio Rebelde sulla  base di 
                              informazioni fornite da  Horacio Rodríguez, che in 
                              tutto quel tempo continuò ad inviare costanti 
                              notizie: 
                              
                              Al ragazzo che hanno ucciso a Calambrosio hanno 
                              tagliato i genitali, poi gli hanno sparato  4 
                              colpi nel petto, lo hanno portato  al ponte di 
                              Jibacoa, lo hanno messo attraverso il ponte e gli 
                              hanno posto addosso  tre pietre. Si chiamava 
                               Telmo Rodríguez. Lo accusavano di collaborare con 
                              i ribelli. 
                              
                              La vittima di questo  crimine, il cui nome 
                              completo reale era Telmo Márquez González, era 
                              stato  un tempo con la truppa di Angelito 
                              Verdecia. 
                              
                              Stava a casa sua a Calambrosio, in permesso, 
                              quando fu sorpreso dalle guardie. 
                              
                              Fu portato ferito, ma vivo tuttavia, a Jibacoa, 
                              dove lo torturarono, effettivamente, nella forma 
                               indicata nel comunicato di Radio Rebelde,  e poi 
                               lo assassinarono. Ma questo  non fu l’unico 
                              crimine commesso in quei giorni, nè l’unico 
                              momento in cui l’Esercito si comportò in maniera 
                              bestiale in quella zona, e non fu nemmeno l’unico 
                              luogo della Sierra in cui le  guardie commisero 
                               tali azioni ad barbari. 
                              
                              Salvo quelle azioni  criminali, l’unico incidente 
                              notevole che avvenne nei giorni immediatamente 
                              successivi all’entrata delle guardie a Las 
                              Mercedes, fu la distruzione di una jeep nemica, 
                              vicino al Cerro, la  mattina del giorno 27, per 
                              una mina collocata da personale ribelle, che 
                              provocò almeno cinque vittime, tra le quali forse 
                              anche quattro morti, includendo un ufficiale. 
                              
                              La risposta delle  guardie fu  continuare ad 
                              assassinare i contadini e bruciare le loro case. 
                              Quasi tutte le case Lungo la strada tra il Cerro e 
                              Las Mercedes furono ridotte in cenere, così  come 
                              tutte  quelle a La Herradura, ed alcune dentro lo 
                              stesso villaggio  di Las Mercedes. 
                              
                              Dallo stesso giorno dell’occupazione di Las 
                              Mercedes, dedicai buona parte della  mia 
                              attenzione ad istruire i capi che erano nelle 
                              posizioni  in seconda linea di difesa, dietro il 
                              villaggio,  sulle misure che dovevano prendere  
                              per proteggere le due direzioni  principali dalla 
                               possibile avanzata nemica dalla loro base 
                              avanzata verso l’interno del territorio 
                              
                              ribelle.  Quelle 
                              due  direzioni erano  da Vegas de Jibacoa e San 
                              Lorenzo, cioè, il cammino che andava da Las 
                              Mercedes verso Las Caobas, La Güira, Los Isleños, 
                              El Mango e las Vegas, e quello che prendeva la 
                              direzione per Gabiro, La Esmajagua e San Lorenzo. 
                              La prima di queste  direzioni, com’è già stato 
                              detto, era  custodita da  20 combattenti in 
                              totale, comandati  da Horacio Rodríguez, 
                              distribuiti dall’alto di Las Caobas sino a quello 
                              di Los Isleños, includendo  una squadra diretta da 
                              Marcos Borrero che proteggeva il cammino di 
                              Arroyón nella zona  alta di La Güira. Per 
                              rafforzare di più questa  linea, nella notte del 
                              28, inviai là  Andrés Cuevas con il suo piccolo, 
                              ma disciplinato ed agguerrito gruppo di 
                              combattenti, che  si sistemarono anche loro nella 
                              zona  alta di Las Caobas. La seconda direzione era 
                              quella vigilata dall’alto di El Moro dal 
                              plotoncino comandato da Raúl Castro Mercader, 
                              rafforzato già con alcuni degli uomini di Angelito 
                              Verdecia. 
                              
                              Tra queste  due posizioni, mi preoccupava di più 
                              quella del cammino per Vegas, anche se in quel 
                              momento non era la via che io pensavo avesse più 
                              probabilità d’essere presa dal nemico nella sua 
                              ulteriore penetrazione nel territorio ribelle da 
                               questa direzione. Senza dubbio, era quella che 
                              meglio si prestava, per le sue condizioni 
                              topografiche, alla possibilità di un’avanzata 
                              allargata,  e quindi della necessità di una 
                              maggiore dispersione delle scarsissime forze su 
                              cui contavamo  in questo fronte. D’altra parte, 
                              anche se non avevo sino a quel momento  alcuna 
                              racione per  dubitare della capacità di combattere 
                              di Horacio Rodríguez, era sicuro che  Horacio non 
                              contav su una grande esperienza.  
                              
                              Nonostante, avevo deciso di lasciarlo lì per non 
                              dover realizzare movimienti di personale in una 
                              situazione tanto impegnativa  come quella, in cui 
                              il nemico  poteva lanciare un 
                              
                              attacco  in qualsiasi momento. 
                              
                              Nel  caso di Horacio poi, posi un particolare 
                              impegno nell’istruirlo dettagliatamente.  Nello 
                              stesso giorno dell’occupazione definitiva di Las 
                              Mercedes da parte del  nemico, con  un detonatore 
                              e un poco del filo che gli mandai per fare una 
                              mina, gli trasmisi  indicazioni precise perchè 
                              facesse in modo che i suoi uomini  costruissero 
                              trincee  profonde e ben disposte nei tre punti più 
                              strategici della linea difensiva di quella zona, 
                              cioè, la parte alta di Las Caobas, l’uscita del 
                              cammino di Arroyón e l’alto di Los Isleños, nella 
                              retroguardia delle posizioni ribelli. In quello 
                              stesso  messaggio gli raccomendavo di organizzare 
                              la cucina in una casa di contadini  dietro le sue 
                              linee, perchè era importante per lui garantire  
                              che i suoi uomini potessero mangiare cibi caldi 
                              nei giorni in cui sarebbero rimasti là. 
                               
                              
                              Un’altra delle mie costanti raccomandazioni a 
                              tutti i capi di plotone e delle squadre era il 
                              risparmio delle munizioni. Già il giorno in cui 
                              scesi verso Las Mercedes, Molto vicino allo 
                              scenario del  primo combattimento dell’offensiva 
                              nemica, mi resi conto che alcuni dei nostri 
                              compagni  non avevano un chiaro senso 
                              dell’imperiosa necessità di non usare le 
                              pallottole in modo non necessario.  Lo spreco 
                              delle munizioni, quelle pallottole che si 
                              conseguivano con tanto sforzo e sacrificio, era 
                              una delle  cose che più mi indignava e che ho 
                              combattutto più duramente per tutta la guerra. Al 
                              povero  Horacio, che realmente non aveva 
                              dimostrato  d’essere tra i principali responsabili 
                               dello spreco,  toccò ricevere in quei girni la 
                              seguente risposta mia ad una richista di 
                              orientamento: 
                              
                              L’ordine più importante che devo darti è di 
                              risparmiare le pallottole ad ogni costo. 
                              
                              Il peggior numico che ha l’esercito, oggi come 
                              oggi,  sono gli stupidi che sparano per gusto. 
                              
                              In quanto all’altra direzione, quella di San 
                              Lorenzo, nella notte del 27 maggio, ossia, il 
                              giorno  seguente quello dell’occupazione 
                              definitiva di Las Mercedes da parte del  nemico, 
                              decisi di trasferire più indietro la posizione di 
                              Raúl Castro Mercader nell’alto di El Moro. La 
                              presenza delle guardie nel villaggio di Las 
                              Mercedes ed  il suo dominio del cammino verso Bajo 
                              Largo e La Montería, creavano una forte minaccia 
                              per le forze nella parta alta  di El Moro che 
                              potevano essere fiancheggiate. D’altra parte, la 
                              posizione era denunciata,  per la sua prossimità 
                              alle linee nemiche a Las Mercedes, e si poteva 
                              supporre che le guardie avrebbero cercato di 
                              sloggiarle  o liquidarle con fuoco d’artiglieria o 
                              mortai. Era preferibile, quindi, ritirare la 
                              posizione per un punto conveniente sullo stesso 
                               cammino di San Lorenzo, e preparare là una buona 
                              linea difensiva. Quel punto fu la falda della 
                              collina El Gurugú, ad alcuni chilometri da Las 
                              Mercedes, e da là disposi la ritirata del plotone 
                              di Castro Mercader. 
                              
                              Nel pomeriggio del giorno  28, in effetti, le 
                              guardie iniziarono il bombardamento con i mortai 
                              della parte alta di El Moro, e poco dopo  
                              avanzarono sino ad occupare 
                              il luogo. 
                              
                              Presa  la posizione senza incontrare resistenza 
                              ribelle, la prima misura del comando del 
                              battaglione nemico fu bruciare le tre case che 
                              esistevano nell’alto. 
                              
                              Giunto con quegli ordini vicino alle due direzioni 
                              principali della possibile avanzata  nemica, il 
                              giorno 28 decisi anche di rafforzare un terzo 
                              cammino che andava da  Las Mercedes per Purgatorio 
                              verso Minas de Frío. 
                              
                              Quella  posizione era d’importanza relativamente 
                              secondaria, perchè alle guardie non sarebbe stato 
                              facile  prendere quel sentiero sino a che  si 
                              mantenevano le posizioni ribelli  sul  cammino di 
                              San Lorenzo, ed anche nel caso in cui si fossero 
                              ritirate,  l’avanzata nella direzione di 
                              quell’ultimo punto avrebbe avuto più razionalità. 
                              Nonostante tutto, il nemico poteva tentare 
                              un’infiltrazione a sorpresa per questa via, od una 
                              manovra di diversione o di fiancheggiamento di una 
                              delle nostre posizioni principali. Per questo  
                              scrissi  al tenente Laferté, nel messaggio  che 
                              gli inviai in quello stesso giorno per indicargli 
                              che scegliesse  tra il personale della scuola 
                              delle reclute vari uomini ed  un capo per questo 
                              grupo, che non doveva tralasciare  una minima 
                              precauzione ". 
                              
                              Perchè si abbia  un’idea approssimata della scarsa 
                              capacità delle nostre riserve in uomini e armi in 
                              quel momento, basta dire che  a quella  posizione 
                              assegnai la somma totale di quattro uomini: due 
                              tolti alla squadra di Cuevas, con i loro fucili, e 
                              altri due dalla scuola delle reclute, che arami 
                              con un fucile 30.06 con la canna tagliata, che era 
                              rimasto  in uno dei nostri accampamenti nella 
                              Maestra, un fuzile che si armò con i pezzi  di un 
                              Springfield difettoso ed una  altro fucile tirato 
                              lì. Su una così magra e picola truppa  informai il 
                              Che con caratteristico ottimismo: "Così per lo 
                              meno potanno resistere là  con buone trincee
                              
                              
                              mentre mandiamo rinforzi". 
                              
                              Un’altro  vantaggio che dava il dominio  di quella 
                               terza via era la possibilità di utilizzarla 
                              offensivamente per penetrare da lì nella 
                              retroguardia del nemico, una volta iniziata 
                               l’avanzata verso San Lorenzo. Convinto com’ero  
                              che quella sarebbe stata una delle rotte probabili 
                              delle  guardie, insistetti durante tutti quei 
                              giorni  sulla necessità di fortificarla 
                              debitamente, per cui, inoltre, proposi al Che 
                              d’inviare 40 o 50 reclute di Minas de Frío a 
                              lavorare al miglioramento delle  fortificazioni in 
                              quella direzione. 
                              
                              Insistetti anche con  Horacio, reiteradamente, 
                              sullo stesso durante tutti quei giorni. Il 1º. 
                              gugno, per esempio, gli scrissi  in uno dei miei 
                              messaggi: "Non tralasciare di fare buchi ogni 
                              cinquanta metri, più o meno, sulla rotta di 
                              ritirata per proteggersi dagli aerei. 
                              
                              Molti buchi e molte fortificazioni!". 
                              
                              Già Horacio mi aveva confermato due giorni prima  
                              che stava prendendo le misure  necessarie nel 
                              cammino verso  Vegas, per impedire il passaggio 
                              dei carri armati e dei camion nemici.  
                              
                              Va considerato inoltre che io stavo aspettando  
                              l’arrivo inminente di un lotto di armi che doveva 
                              giungere sulla pista aerea di Manacas, il nostro 
                              punto Alfa, secondo le chiavi usate nelle  
                              comunicazioni con l’estero  attraverso  Radio 
                              Rebelde. Quel volo giunse  effettivamente, il 29 
                              maggio, proveniente da Miami. Fu l’unica - altra – 
                              occasione che avemmo   per utilizzare la pista di 
                              Manacas. Pilotava il piccolo aereo  Pedro Luis 
                              Díaz Lanz, e al fronte della spedizione veniva il 
                              giornalista  Carlos Franqui, che rimase con  noi 
                              quando l’apparecchio ripartì per la Giamaica. 
                              
                              Nel giorno 29, così, il settore nordovest  del 
                              fronte ribelle era coperto dalle forze di Horacio 
                              Rodríguez e Raúl Castro Mercader nei  due accessi  
                              principali verso la Maestra da Las Mercedes, con i 
                              loro rispettivi rinforzi, e da una piccola squadra 
                              nell’accesso secondario del cammino da Purgatorio. 
                              Più  a ovest, il Che aveva ridistribuito le forze 
                              disponibili, appartenenti  quasi tutte alla 
                              Colonna 7 di Crescencio Pérez, nel modo seguente: 
                              un plotone di 29 uomini con nove armi, al comando 
                              di César Suárez, diviso tra Cienaguilla e 
                              Aguacate, in una direzione che  potesse essere 
                              utilizzata dal nemico per cercare di raggiungere  
                              La Habanita per la via di Los Ranchos de Guá; un 
                              altro gruppo di 27 combattenti, con 8 o 10 armi, 
                              al comando di Mongo Marrero e Angelito Frías, a El 
                              Porvenir, coprendo una via alternativa d’accesso 
                              alla propria La Habanita, attraverso  Aguacate e 
                              Pozo Azul. Questo gruppo avrebbe avuto anche la 
                              missione di resistire lungo il cammino di Pozo 
                              Azul per difendere le installazioni dell’ospedale 
                              ribelle, ubicato là dal dottor René Vallejo. 
                              Nella  zona di Cupeyal e Puercas Gordas c’erano 
                              altre squadre che dovevano, in caso necessario, 
                              ritirarsi verso La Habanita per la via di Tío 
                              Luque, mentre l’accesso per El Jíbaro verso La 
                              Montería era cuoperto dalla piccola truppa,  il 
                              cui comando era stato affidato ad Alfonso Zayas. 
                              Un poco al di sotto, in direzione di Purial di 
                              Jibacoa, occupava posizioni la squadra di Ramón 
                              Fiallo. 
                              
                              Nella  notte del 29  maggio, una mina collocata 
                              vicino alla strada Palma dal personale della 
                              squadra di Eddy Suñol, che, come si ricorderà, era 
                              in quel  momento posizionato all’entrata di 
                              Providencia, nel settore nordest del fronte, 
                              scoppiò nel luogo conosciuto come La Cantera, e 
                              fece saltare  un camion pieno di guardie. Suñol 
                              informò che l’esplosione aveva provocato  otto 
                              morti, tra i quali  un ufficiale, e 10 feriti.
                              
                              
                              Anche 
                              
                              se queste cifre erano state esagerate, l’effetto 
                              di quelle  mine ribelli  cominciava a farsi  
                              sentire i maniera significativa tra le fila 
                              nemiche. 
                              
                              A parte la mina di La Cantera, nei giorni  finali 
                              di maggio non accaddero  incidenti importanti in 
                              tutto quel settore. Piovve  forte in quei giorni. 
                              Il nemico rafforzava le sue posizioni a Las 
                              Mercedes e eni dintorni più vicini al villaggio e, 
                              offensivamente, si limitava a sparare con i  
                              mortai verso dove presumeva erano situate le  
                                posizioni ribelli, e realizzava alcune 
                              esplorazioni vicino al perimetro del suo 
                              accampamento. In una di quelle, una pattuglia di 
                              guardie a cavallo passò a pochi metri dalle 
                              posizioni della squadra di Marcos Borrero, 
                              nell’alto di La Güira, e il capo ribelle, 
                              inesplicabilmente, ordinò ai suoi uomini di non 
                              sparare e lasciò sfuggire l’opportunità di 
                              provocare perdite al nemico. 
                              
                              Informato del fatto, ordinai il 1º  giugno la 
                              sostituzione di Marcos Borrero nel comando di quel 
                              gruppo e designai prima il capitano Fernando 
                              Basante, e poi il combattente Aeropagito Montero, 
                              che fu promosso  tenente. Approfittai  per 
                              ratificare esplicitamente l’ordine già dato: "Se 
                              [le guardie] si avvicinano  sufficientemente  per 
                              provocare con sicurezza delle perdite, si deve 
                              sparare su di loro e cercare di raccogliere le 
                              loro armi". 
                              
                              Fu anche in quei giorni  ultimi di maggio che 
                              l’Esercito nemico situò forze importanti a Cayo 
                              Espino, Purial de Jibacoa e Cienaguilla. Dopo 
                              sapemmo che  si trattava  di compagnie 
                               appartenenti  ai  Battaglioni  12 e 13, al 
                              comando, rispettivamente, dei capitani Pedraja 
                              Padrón e José Triana Tarrau. Il rafforzamento 
                              della linea Cayo Espino-Purial, soprattutto, fu 
                              interpretat allora da noi, come il passo 
                              precedente  all’inizio di un secondo attacco 
                              nemico verso  La Habanita, cnhe se eravamo 
                              convinti che il colpo principale in quel  settore 
                              del fronte nordest sarebbe  stato sferrato da Las 
                              Mercedes, in direzione  San Lorenzo. In quel 
                              momento tuttavia non era  giunto  il Battaglione 
                              19 nella zona di Arroyón, che, come si vedrà 
                              opportunamente, fece variare i nostri 
                              apprezzamenti. 
                              
                              Prevedendo quella variante, ad una domanda  del 
                              Che del 1º  giugno su qual’era la miglior 
                              decisione con le forze della Colonna 7, nel caso 
                              in cui le guardie occupassero La Habanita, indicai 
                              che si doveva ordinare a Crescencio di raggruppare 
                              di nuovo i suoi uomini all’altro lato delle  linee 
                              nemiche e mantenere un attacco permanente dei suoi 
                              rifornimenti  e della sus retroguardia, in tutto 
                              il settore occidentale. L’estremo ovest del nostro 
                              fronte non presentava  le stesse condizioni per 
                              sostenere una difesa positiva del territorio 
                              ribelle, come invece era la parte centrale, dove 
                              avevamo concentrato le nostre forze più 
                               agguerrite e meglio  armate. Anche così io ero 
                              convinto che, giunto il momento, quegli uomini 
                              avrebbero combattuto  con la stessa determinazione 
                              che aveva dimostrato, diciamo, la squadra di 
                              Angelito Verdecia a Las Mercedes,  e che per il 
                              nemico sarebbe stato  tremendamente difficile 
                              raggiungere la Maestra in quella zona. Senza  
                              dubbio, dovevamo prevedere tutte le contingenze 
                              possibili, e nel caso in cui la resistenza ribelle 
                              i quel settore fosse stata vinta, allora  le forze 
                              della Colonna 7, sarebbero passate, di fatto, ad 
                              attuare contro la retroguardia del nemico in 
                              condizioni molto difficili per i nostri  compagni, 
                              ma con alcune possibilità, già che una parte di 
                              loro erano contadini della zona. Se attuavano con 
                              decisione e intelligenza, avrebbero provocato un 
                              sufficiente  disturbo  al nemico, per far sì che 
                              dovesse spostare varie forze dal suo obiettivo  
                              principale, che era la distruzione del nucleo 
                              centrale ribelle, ed inoltre gli darebbero colpi 
                              concreti d’una certa considerazione.     
                               
                              
                              In quei giorni la stampa  nordamericana aveva 
                              pubblicato un’intervista concessa dal dittatore 
                              Fulgencio Batista, nella quale, tra le altre 
                              menzogne e dichiarazioni senza fundamenta ne senso 
                              alcuni, affermava, significativamente, che negli 
                              ultimi  combattimenti l’Esercito aveva conquistato 
                              ai  ribelli "una bandiera della Cina comunista ed 
                              elmetti  di fabbricazione russa". Per via di 
                              queste dichiarazioni, Radio Rebelde commentava: 
                              
                              “Tra poco tempo, secondo Batista,  Chou En Lai e 
                              Mao Tse Tung staranno dirigendo le manovre del 
                              nostro esercito. Povero dittatorello, ogni giorno 
                              più miserabile, più ridicolo, più mentecatto”! 
                              
                              Sempre in quei giorni, ricordando il primo 
                              anniversario del Combattimento di Uvero, Radio 
                              Rebelde trasmise  un commento che terminava con 
                              queste 
                              
                              parole: 
                              
                              Se la differenza come gruppo militare e delle 
                              risorse è molto grande, persino gli avversari più 
                              accaniti devono riconoscere la superiore qualità 
                              umana dei nostri uomini, che per non avere  
                              distinto sangue, nè distinta nazionalità di coloro 
                              che lottano assieme alla dittatura, dimostrano 
                              indiscutibilmente che la morale, la giustizia di 
                              una causa e l’ideale sono i fattori decisivi d’una 
                              guerra. 
                              
                              I soldati della dittatura lottano bene quando sono 
                              circondati ed attaccati, perchè  hanno fatto 
                              credere loro che se cadranno prigionieri, 
                              soffriranno le stesse  torture e gli stessi  
                              orrori ch ehanno visto applicare nelle caserme 
                              agli avversari della tirannia; ma quando il 
                              soldato della tirannia attacca è di una 
                              straordinaria inefficacia, perchè non combatte per 
                              salvare la vita ma perchè lo pagano, e lo ordinano 
                              coloro che lo hanno pagato, come si paga una 
                              bestia o si compra un gregge per portarlo al 
                              mattatoio, dove fanno fortuna gli usufruttuari 
                              dell’affare. 
                              
                              Il militare cubano, che come uomo  è coraggioso, 
                              come soldato della tirannia che ha trasformato gli 
                              Istituti Armati in bande al servizio della 
                              peggiore causa, sta facendo uno dei ruoli più 
                              tristi  che si possa fare in una guerra. 
                              
                              Commemorando  oggi il primo anniversario del 
                              glorioso ed eroico combattimento di Uvero, il 
                              nostro ricordo ed il nostro affetto  per gli Eroi 
                              che sono morti in quel giorno; il nostro 
                              giuramento è che così sapremo morire tutti prima 
                              di abbassare le nostre bandiere auroleolate da più 
                              di 70 combattimenti vittoriosi, ed il nostro 
                              messaggio va al popolo,  ricordandogli che ci sono 
                              stati giorni più duri di questi, quando avevamo 
                              meno pallottole, meno armi e meno esperienza, 
                              senza che il nostro animo s’indebolisse o il 
                              minimo dubbio oscurasse  la nostra sicurezza  
                              assoluta nel trionfo finale. 
                              
                              Durante quei giorni mi muovevo soprattutto tra La 
                              Plata – dove c’era l’emittente e la possibilità di 
                              comunicazione con l’estero-  e Mompié, luogo 
                              convenientemente centrale,  dove mi informavo su 
                              tutto quello che accadeva nei tre settori del 
                              fronte del combattimento. Al principio di giugno 
                              era stato installato  il telefono tra questi due 
                              punti, con un vincolo  intermedio nella parte alto 
                              di Jiménez, nel luogo conosciuto dai  ribelli  
                              come il negozietto in la Maestra. 
                              
                              I nostri tecnici di Radio Rebelde avevano 
                              preparato anche una specie d’amplificatore, che 
                              permetteva di dare  sufficiente volume alla voce 
                              del telefono perchè fosse captata dal microfono 
                              dell’emittente. In questo modo potevo tentare di  
                              comunicare con l’ estero da  Mompié o dal  
                              negozietto. 
                              
                              Senza  dubbio  l’installazione non aveva raggiunto 
                               Minas de Frío, un punto d’importanza strategica 
                              decisiva ed una specie di posto di comando del Che 
                              per l’attenzione al settore nordoccidentale.  La 
                              mia comunicazione  con lui e con i nostri compagni 
                              nella scuola delle reclute, per tanto, doveva 
                              avvenire con un messaggero  o mediante una visita 
                              mia al luogo. Il 3 di giugno andai sino a las 
                              Minas per controllare  la situazione là, e  rimasi 
                              sino alla mattina seguente, quando intrapresi il 
                              ritorno a Mompié. 
                              
                              Poco dopo la mia partenza da quel luogo, 
                              l’aviazione nemica sferrò uno dei bombardamenti e 
                              mitragliamenti più feroci sofferto da Minas de 
                              Frío in tutta la guerra. In particolare, la casa 
                              di Mario Sariol, il nostro vecchio ed  efficace 
                               collaboratore contadino nel luogo, fu bersaglio 
                              di una pioggia di  mitragliate e le spararono 
                              contro persino diversi razzi di fabbricazione  
                              nordamericana. 
                              
                              L’indignazione che mi provocò il brutale 
                              
                              bombardamento,  quando conobbi i maggiori  
                              dettagli del fatto e la conferma dell’uso 
                              dell’aviazione batistiana di razzi  ricevuti 
                               dagli  Stati Uniti dalla tirannia, nonostante  
                              l’annunciato embargo del rifornimento di armi, fu 
                              quello che mi motivò il giorno dopo a  scrivere a 
                              Celia, alla  fine di un lungo messaggio, il 
                              paragrafo che poi  è stato tanto citato (documento 
                              p. 431): 
                              
                              Al vedere i razzi  che hanno tirato sulla casa  di 
                              Mario, mi sono giurato che i [nord] americani  
                              pagheranno ben caro quello che stanno facendo. 
                              Quando questa guerra finirà, comincerà per me una 
                              guerra molto più lunga e grande: la guerra che 
                              voglio fare contro di loro. Mi rendo conto [del 
                              fatto] che questo sarà il mio vero destino. 
                              
                              La doppia faccia della politica  nordamericana 
                              verso il regime di Batista  e verso la Rivoluzione 
                              era in evidenza. Nel  marzo, il governo degli  
                              Stati Uniti aveva  annunciato la sospensione di 
                              tutti gli invii di armi alla dittatura, in quello 
                              che era  un primo passo nella  manovra destinata a 
                              distanziarsi ufficialmente dalla tirannia, la cui 
                              permanenza al potere già  cominciava  a risultare 
                              incomoda per alcuni  settori in quel paese; 
                              mentre  si stimolava  la promozione di un’uscita  
                              alternativa alla crisi cubana che, di fatto, 
                              impedisse la presa del potere della Rivoluzione. 
                              Senza dubbio  le consegne di armi continuarono  
                              per altri canali, ed anche attraverso  la base 
                              navale nordamericana di Guantánamo, sulla quale 
                              avevamo ricevuto  informazioni dai compagni del 
                              Movimento negli Stati Uniti. 
                              
                              L’uso di razzi nordamericani nell’attacco  a Minas 
                              de Frío non faceva altro che confermare il mio 
                              criterio, basato, in definitiva, nella stessa 
                              storia di Cuba e delle  aspirazioni secolari degli 
                              Stati Uniti d’eserciatre il loro dominio sil 
                              nostro paese, e che una rivoluzione vera in Cuba 
                              era incompatible con gli  interessi nordamericani.
                              
                              
                              La 
                              
                              nota a Celia non era quindi l’ espressione di una 
                              volontà pre- concepita di scontro della futura 
                              rivoluzione al potere contro gli Stati Uniti, ma 
                              la chiramente spiegabile  reazione di fronte ad  
                              una politica tanto ipocrita ed astuta, e la 
                              manifestazione di una chiara coscienza 
                              sull’inevitabilità di quello scontro,  a partire 
                              dal fatto che era evidente che per il nostro 
                              vicino del Nord sarebbe stata inaccettabile la 
                              presenza in Cuba di un potere rivoluzionario con 
                              un programma di assoluta liberazione nazionale.
                               
                              
                              Quello era lo stesso messaggio, sicuramente,  con 
                              il quale invitavo Celia ad andare da Vegas de 
                              Jibacoa sino a Mompié per stabilire  lì il  suo 
                              posto di comando. Devo dedicare in questo libro un 
                              capitolo al lavoro della retroguardia  sviluppata 
                              in questa tappa nel Primo Fronte ribelle. 
                              
                              Molto prima dell’inizio dell’offensiva nemica, lei 
                              aveva  installato il suo  posto di comando nella 
                              casa di Bismark Galán Reina, a Vegas, e da li, con 
                              l’ aiuto di un piccolo gruppo di collaboratori - 
                              tra  i quali  Roberto Rodríguez,  che tutti 
                              chiamavamo  El Vaquerito, e Arturo Aguilera, 
                              conosciuto come  Aguilerita, per la sua delicata 
                              figura - si dedicava al compito di garantire le 
                              migliaia tra le grandi  e le piccole   necessità 
                              delle forze  ribelli per resistire efficacemente 
                              al forte impatto che ci si aspettava dall’Esercito 
                              della tirannia. Ma già al principio di giugno la 
                              situazione di Vegas di Jibacoa risultava precaria, 
                              in vista della presenza del forte contingente 
                              nemico a Las Mercedes. 
                              
                              Senza  dubbio, lo stesso sviluppo successivo agli 
                              avvenimenti  diede nuovamente più importanza   a 
                              La Plata, e alla fine prevalsero i vantaggi di 
                              questo punto nel  momento di decidere 
                              l’installazione di un quartier generale 
                              permanente. 
                              
                              In quel preciso momento, la mia preoccupazione 
                               principale non era la valanga di guardie  che ci 
                              arrivavano addosso. Come dicevo a Celia nella 
                              lettera già citata: 
                              
                              Credo che i  piani di difesa siano abbastanza 
                               anticipati. Il problema che mi preoccupa 
                              maggiormente oggi com’è oggi è che la gente non 
                              termina di rendersi conto che in un piano di 
                              resistenza continuata e scaglionata, non si 
                              possono tirare  in due ore le pallottole che 
                              devono durare un mese. La sola cosa che mi resta 
                              da fare è mettere da parte le pallottole che mi 
                              restano e non darne più nemmeno una, a nessuno, 
                              sino a che non sia questione di vita o di morte 
                              perchè realmente non resta neanche una 
                              pallottola... 
                              
                              [...] 
                              
                              Io non mi stanco d’insistere su questo problema 
                              che è realmente il nostro tallone d’Achille. 
                              
                              La mattina di sabato 7  giugno, dopo vari giorni 
                              di relativa calma in tutto il settore, la gente di 
                              Angelito Verdecia fece scoppiare  una mina 
                              collocata vicino all’accampamento nemico a Cerro 
                              Pelado, nella sua rotta verso la Sierra, con il 
                              possibile risultato di sei o sette  morti e feriti 
                              tra le guardie. 
                              
                              Due giorni dopo,  lunedì 9, da un’altra direzione, 
                              le guardie tentarono un’esplorazione lungo il 
                              fiume  Jibacoa con l’appoggio di un piccolo carro 
                              armato e si scontrarono  con gli uomini  di 
                              Cuevas, che avevano rilevato quella stessa  
                              mattina il personale del plotone di Horacio 
                              nell’imboscata stabilita  sul cammino da La 
                              Herradura per Las Mercedes, in direzione di Vegas, 
                              e non avevano avuto ancora il tempo di migliorare  
                              le posizioni ricevute. Avvenne una scaramuccia 
                              nella quale i ribelli usarono varie decine di 
                              pallottole e fecero saltare una mina, senza altro 
                              risultato concreto che fermare l’avanzata della  
                              pattuglia nemica, quasi simultaneamente con la 
                              propria ritirata dalla posizione, che risultava, 
                              di fatto assai poco difendibile. 
                              
                              Era di nuovo il tipo di comportamento, a mio 
                              criterio inaccettabile, se volevamo avere successo 
                              battaglia che si avvicinava, anche se in realtà 
                              non potevo atrribuire responsabilità di sorta  a 
                              Cuevas, che aveva  dimostrato d’essere un capo 
                              coraggioso e capace.  Da lì la mia reazione 
                              relativamente violenta nel messaggio che inviai ad 
                              Horacio il giorno dopo: 
                              
                              Considero che la nostra gente ieri ha svolto un 
                              ruolo molto povero e vergognoso. 
                              
                              Voi non volete capire che dovete fare delle vere 
                              trincee e non dei buchetti che non servono  a 
                              niente. 
                              
                              Forse pagherete ben cara l’esperienza, ma i colpi 
                              v’insegneranno. 
                              
                              Mi dà pena solo pensare che non sono stati  capaci 
                              di sostenere la posizione neanche per  15 minuti. 
                              
                              Raccomando d’ora in avanti il massimo di 
                              disciplina e fermezza. Sembra che la battaglia 
                              dura comincerà da un momento all’ altro. 
                              
                              Quest’ultimo lo si doveva alle notizie ricevute 
                              nel pomeriggio del 10 giugno,  su uno sbarco 
                              nemico sulla costa sud, indizio evidente che 
                              l’Esercito nemico creava già le condizioni per 
                              dare inizio alla seconda fase della sua offensiva: 
                              la penetrazione a fondo, da varie direzioni nel 
                              cuore del territorio ribelle. Per quel che 
                              riguardava il settore nordoccidentale, quegli 
                              indizi furono confermati appena tre giorni dopo, 
                              con l’arrivo nel teatro delle operazioni di una 
                              seconda unità di  combattimento, il Battaglione 
                              19, comandato dal comandante Antonio Suárez 
                              Fowler, con il quale si disponeva  lo scenario per 
                              la ripresa dei combattimenti in questo settore. 
                              
                              (Continuerà / Traduzione Gioia Minuti) |