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                              LA VITTORIA 
                              STRATEGICAL’entrata a Santo Domingo
 (Capitolo 7º)
 
                              
                              
                              Fidel Castro Ruz 
                              
                              Il 15 giugno, la forza nemica che due giorni prima 
                              aveva raggiunto El Descanso si mosse da quel punto 
                              sino all’entrata di Los Lirios ed entrò in 
                              contatto visivo con Lalo Sardiñas, che m’informò 
                              che si trattava  di 400 guardie.  Il numero, 
                              indubbiamente sembrava alto, ma andava considerata 
                              l’impressione che aveva provocato al guerrigliero 
                              il vedere sfilare a poche centinaia di metri dalla 
                              sua posizione quasi un battaglione completo delle 
                              forze più sperimentate ed il capo più aggressivo e 
                              sanguinario dell’esercito di Batista 
                              
                              A quel punto il grosso delle truppe di Sánchez 
                              Mosquera si era raggruppato. Il giorno 16, il 
                              Battaglione 11, già completamente rinforzato, 
                              continuò la sua marcia parallela alla cima  della 
                              Maestra e si accampò a El Verraco. 
                              
                              Si confermò così la mia valutazione tattica: il 
                              nemico aveva cambiato la direzione del suo attacco 
                              in questo settore. In quel  momento l’obiettivo 
                              immediato che andava protetto  era Santo Domingo. 
                              Ordinai a Paco Cabrera Pupo che si sistemasse  con 
                              la sua squadra nella parte alta di El Cacao per 
                              coprire questa entrata, e a Lalo che si ritirasse 
                              sul cammino tra Rancho Claro e Loma Azul, da dove 
                              poteva agire in distinte direzioni, secondo le  
                              circostanze. 
                              
                              Quello stesso giorno Ramiro m’informò in due 
                              messaggi  separati che il nemico che  faceva 
                              pressione sulle sue forze aveva cambiato rotta 
                              dopo aver raggiunto la zona alta di Quintero, in 
                              quella che sembrava una ritirata da territorio già 
                              conquistato, e che il grosso delle forze del 
                              Battaglione  11 aveva  completato il suo movimento 
                              verso La Estrella. Si confermò pienamente la mia 
                              valutazione, anche se la certezza non l’ebbi sino 
                               al giorno 20,  quando seppi che la truppa che 
                              aveva occupato Santo Domingo era la stessa che 
                              avanzava da Minas de Bueycito. 
                              
                              Disgraziatamente, non era stato possibile 
                              localizzare  gli ordini  delle operazioni inviate 
                               dal posto di comando di Bayamo al Battaglione  
                              11, o i rapporti  delle operazioni di Sánchez 
                              Mosquera. Per quello non era possibile conoscere 
                              la versione ufficiale sul  cambio di direzione 
                               effettuato nell’avanzata del  sanguinario capo 
                              nemico. Non potevamo  sapere se si trattava  di 
                              una manovra preconcepita, di una variante imposta 
                              dalle circostanze o di un cambio di piani sulla  
                              marcia. 
                              
                              Il fatto sicuro era che la manovra non 
                              corrispondeva a quanto era stato pianificato nel 
                              piano primario delle operazioni. Come già è stato 
                              spiegato, il Piano F-F prevedeva lo stabilimento 
                              di una linea dal Nord al Sud che tagliasse  la 
                              cima della Maestra nelle vicinanze delle  altre di 
                              Palma Mocha. Dal punto di vista degli strateghi 
                              della tirannia, questo aspetto del piano  era 
                              quasi compiuto all’altezza del 10 giugno. Il 
                              Battaglione  11 aveva realizzato una certa 
                              penetrazione nel territorio ribelle dal suo punto 
                              di partenza a Minas de Bueycito, mentre il 
                              Battaglione 18 aveva già stabilito con relativa 
                              facilità la sua testa di spiaggia nel Sud, a Las 
                              Cuevas. Quindi, l’ipotesi che il cambio  di 
                              direzione del Battaglione  11 obbediva ad una 
                              manovra preconcepita non sembrava avere molto 
                              sostento. 
                              
                              Si doveva trattare, invece, di una variante sulla  
                              marcia,  come risultato di una nuova 
                              pianificazione  o di fronte all’imperativo delle  
                              circostanze. A favore della prima ipotesi c’era il 
                              fatto che il posto di comando necessitava 
                              concentrare a Estrada Palma i terminali delle 
                              linee di rifornimento dei battaglioni in 
                              operazione nei fronti  nordest e nordovest, e da 
                              lì sarebbe stato molto difficile appoggiare il 
                              Battaglione  11, se questo  si manteneva operando 
                              a est di Los Lirios, senza una base intermedia 
                              avanzata. La base intermedia ideale, ovviamente, 
                              era Santo Domingo. Questa considerazione poteva 
                              aver  contribuito a variare il piano originale nel 
                              senso  di realizzare  l’occupazione di Santo 
                              Domingo e poi ascendere Lungo il fiume  Yara sino 
                              a La Jeringa o in alcun punto precedente da dove 
                              si potesse tentare l’assalto alla cima della 
                              Maestra. 
                              
                              Senza  dubbio non sembrava  probabile che un capo  
                              come Sánchez Mosquera, tanto vicino apparentemente 
                              al suo primo obiettivo, circondare la cima della 
                              Maestra, fosse stato persuaso a variare la sua 
                              direzione d’attacco por questa unica 
                              considerazione. Dovevano influire altri fattori. A 
                              quel punto del ragionamento, la sola cosa che si 
                              poteva interpretare era che la tattica di logorio  
                              applicata dalle forze ribelli aveva dato  il 
                              risultato che si sperava da lei. L’avanzata  da  
                              Minas de Bueycito risultò troppo  ardua e costosa 
                              per il nemico. La tenacia e la mobilità difensiva 
                              dei combattenti ribelli  minarono la disposizione 
                              combattiva del battaglione, ridussero la spinta 
                              della sua offensiva e stancarono le  forze 
                              nemiche. In quelle  circostanze, nell’animo del 
                              capo del Battaglione 11 poteva apparire 
                              consigliabile tentare un aggiramento che 
                              conducesse questa unità ad una zona da dove si 
                              potesse sferrare  un assalto più diretto, nel caso 
                              in cui le  condizioni fossero favorevoli. 
                              
                              Nel  contesto della condotta abituale dei comandi 
                              militari della tirannia, non era affatto raro che 
                              la decisione di cambiare la direzione 
                              dell’avanzata fosse stata presa unilateralmente 
                              dal capo del battaglione, e che  il posto di 
                              comando di Bayamo l’avesse accettata  come un 
                              fatto consumato, e avesse variato, in conseguenza, 
                              il piano delle operazioni del Battaglione  18, per 
                              far sì che   il bramato incontro delle due unità 
                              nella cima  della Maestra  - il primo passo 
                              definitivo verso il compimento del Piano F-F – 
                               avvenisse più a Ovest di dove era stato  
                              pianificato originalmente, e quello sarebbe 
                              avvenuto all’altezza delle modeste alture del 
                              fiume La Plata, al posto di un punto sulla Maestra 
                              situato a est della cima  di Palma Mocha. 
                              
                              Ovviamente tutto ciò che precede è pura 
                              speculazione. Il  fatto certo è che tra il 12 e il 
                              13  giugno, Sánchez Mosquera iniziò un cambio de 
                              direzione e non si può parlare  propriamente di un 
                              ripiego e tanto meno di una ritirata, e il giorno 
                               16 già  il comando ribelle era pienamente al 
                              corrente delle implicazioni di quel  cambio. Oltre 
                              alle  misure prima menzionate, cominciai a 
                              preparar a La Plata una squadra di sette 
                              combattenti al comando di Huber Matos, tutti 
                              armati con fucili  Garand, ai quali pensai di 
                              aggregare altri due uomini della scuola delle 
                              reclute che avevo chiesto al Che.  
                              
                              Huber Matos, sicuramente, era capitano perchè si 
                              era  distinto nella costruzione  delle trincee. 
                              Era giunto sulla Sierra con l’aereo portato da 
                              Miret e da altri compagni,  con due mitragliatrici 
                              50, varie carabine San Cristóbal e 100.000 
                              pallottole di carabina M-1, inviate da un amico 
                              della Rivoluzione Cubana. Era sulla Sierra Maestra 
                              da pochi mesi. Poi si rivelò un ambizioso e 
                              traditore che utilizzava  trucchi anticomunisti 
                              per seminare intrighi. Non per questo però 
                              ignoriamo la sua partecipazione nelle azioni a cui 
                              partecipò. 
                              
                              Questo gruppo lasciò La Plata per rinforzare  Paco 
                              Cabrera Pupo nelle alture di El Cacao all’alba del 
                              giorno 17.  A quel punto io  ero convinto che era 
                              lì dove il nemico avrebbe cercato di penetrare. 
                              
                              Quel giorno giunse il Battaglione  11 a El Cacao. 
                              Dal giorno prima, Paco Cabrera Pupo aveva occupato 
                              la posizione da me indicata sulle alture. 
                              
                              Lì  i suoi uomini  scavarono alcune trincee lungo 
                              il bordo della cima, in un terreno completamente 
                              scoperto. Vicino a loro, a poche centinaia  di 
                              metri a sinistra, c’erano le case dei contadini  
                              Hilde Álvarez ed Elpidio Cedeño, dai quali 
                              dipendevano durante la loro permanenza lì per la 
                              loro magra sussistenza. 
                              
                              Stesi nelle loro trincee  poco profonde, tra 
                              l’erba di guinea, i combattenti potevano appena 
                              vedere  alcune delle  case di El Cacao, di sotto. 
                              Il pendio che scendeva davanti a loro verso la 
                              valle era coperto da una fitta vegetazione, 
                              attraverso la quale serpeggiava nel suo percorso 
                              in salita il cammino che presumibilmente avrebbe 
                              percorso il nemico se voleva  occupare l’altura. 
                               Di fronte, a più di un chilometro in linea retta, 
                              il prolungamento della cima del Providencia verso  
                              Est, chiudeva  quasi tutto  il panorama. 
                              
                              Dietro alla cima e a destra, c’era un’altra 
                              altura, che nella zona chiamavano l’Inferno. 
                              
                              A sinistra, lo Stretto  filo dell’altura di El 
                              Cacao confina con la cima della collina di El 
                              Brazón, la cui  altezza non supera  quella di El 
                              Cacao, mentre a destra comincia  ad elevarsi senza 
                              interruzione la falda imponente della collina del 
                              Gallón. Dietro e sotto, Molto in basso, Santo 
                              Domingo e il Fiume  Yara. Alle sue spalle, il 
                              pugno di uomini comandati da  Paco Cabrera Pupo 
                              che tenevano un pendio scosceso e pelato, che cade 
                              per 200 metri al di sotto nella profonda  
                              coltivazione di canne, da dove si scivola tra la 
                              montagna verso il fiume Yara ed il tranquillo 
                              ruscello Santo Domingo. 
                              
                              Alcuni contadini avevano costruito le loro case 
                              vicino al ruscello, sul fondo del cammino, e 
                              diedero al luogo, chissà  perchè, il nome di La 
                              Manteca. 
                              
                              Il 17, poco prima del  sorgere del sole, apparve 
                              il nemico. Era ancora molto lontano. 
                              
                               Ascese verso El Verraco alla cima del Infierno e 
                              cominciò la discesa verso El Cacao.  
                              
                              In quella stessa ora, approssimativamente, 
                              preparai a La Plata il rinforzo e lo inviai a 
                              Santo Domingo. A mezza  mattina giunse il 
                              messaggio di Paco Cabrera Pupo con il quale 
                              m’informava che il nemico scendeva a El Cacao. 
                              
                              I prossimi  movimenti di questa truppa mi erano 
                              già  completamente chiari. Avevano la missione di 
                              occupare Santo Domingo. Difendere questo punto 
                              divenne così la massima priorità. L’occupazione  
                              di Santo Domingo presentava un doppio pericolo: 
                              primo, la presenza di una truppa nemica ai piedi 
                              stessi  del cuore  ribelle a La Plata; secondo, 
                              l’indebolimento delle  posizioni avanzate ribelli 
                              a Providencia e Casa de Piedra, che avrebbero 
                              mantenuto il nemico al d sopra del  fiume, alle 
                              loro spalle.  Non era per caso che il secondo 
                              pericolo mi preoccupasse di più in quel momento, 
                              anche se il pericolo tattico era immediato. Ma io 
                              sapevo perfettamente che, all’ora della verità, un 
                              pugno di uomini avrebbero saputo difendere sino al 
                              finale la salita al cima della  Maestra da El 
                              Naranjo. 
                              
                              Per scongiurare la nuova minaccia chiesi con 
                              urgenza al Che che m’inviasse da  Minas de Frío 
                              una squadra di sei uomini  armati di M-1, 
                              comandati da Geonel Rodríguez, oltre a quelli che 
                              pensava d’inviare  di rinforzo alle alture di El 
                              Cacao. Si trattava del personale di riserva su cui 
                              contava il Che per difendersi da qualsiasi 
                              tentativo di penetrazione del nemico a  Minas da  
                              San Lorenzo, ma ancora una volta s’impose, nella 
                              nostra valutazione tattica, la primordiale 
                              importanza del pericolo  immediato. 
                              
                              Sánchez Mosquera stabilì  l’accampamento a 
                              mezzogiorno  del giorno 17 a El Cacao, e inviò 
                              verso Estrada Palma un fila di muli  in cerca di 
                              rifornimenti. 
                              
                              Quel giorno mi giunsero a La Plata diversi rumori 
                              e informazioni, nel senso che già il nemigo aveva 
                              superato l’incrocio per Santo Domingo. Se era cosi 
                              gli avvenimenti sarebbero precipitati in relazione 
                              con i miei calcoli. Mentre aspettavo di ricevere 
                              conferme di quelle notizie da parte di Paco 
                              Cabrera Pupo, il capo incaricato che avevo  
                              situato nella zona, presi comunque preventivamente 
                              diverse misure. 
                              
                              Ordenai a Félix Duque che, se l’informazione era 
                              vera, doveva avanzare lungo il Yara,  risalendo il 
                              fiume, per situarsi il più vicino possibile al 
                              nemico, con il fine di aprire il fuoco e 
                              contenerlo se tentava di esplorare la zona basa 
                              del fiume; e a Eddy Suñol che  ripiegasse 
                              risalendo lungo il fiume  per organizzare la 
                              difesa dell’entrata del fiume da Providencia. 
                              
                              Queste  disposizioni avevano  un doppio proposito. 
                              Quello  immediato era ovvio, però aveva più 
                              significato quello che lo era meno. Anche se la 
                              notizia  risultava falsa, io ero  convinto che 
                              sarebbe stato molto difficile impedire l’entrata 
                              del nemico a Santo Domingo. E come sempre tentai, 
                              e continuo a tentarlo, di fare per lo meno due o 
                              tre passi avanti sugli avvenimenti, e stavo già  
                              formando nella mia mente l’idea de tendere un 
                              accerchiamento alle truppa se riuscivano ad 
                              entrare a  Santo Domingo. 
                              
                              Il rinforzo intanto era giunto alle alture di El 
                              Cacao. Dopo  aver valutato la situazione sul  
                              terreno, Paco Cabrera Pupo e Huber Matos giunsero 
                              alla conclusione che le posizioni nell’ altura non 
                              erano propizie. Considerarono, in primo luogo, che 
                              la truppa nemica che fosse salita  per la falda di 
                              El Cacao avrebbe avuto  la possibilità di 
                              dispiegarsi e proteggersi nel monte, una volta 
                              che  sentisse sparare dall’alto, e circondare con 
                              relativa facilità le posizioni ribelli.  Queste, 
                              inoltre, restavano scoperte, malamente dissimulate 
                              tra l’erba di Guinea ed esposte  ad un facile 
                              attacco aereo. Infine la ritirata sarebbe stata 
                              possibile solo per lo scosceso lato di La Manteca, 
                              molto pelato e difficile da scendere, con 
                              l’aggravante che già il nemico avrebbe conquistato 
                              l’altura. 
                              
                              Quelle considerazioni, a mio giudizio, potevano 
                              avere una certa validità, ma partivano dalla la 
                              premessa d’abbandonare la posizione dell’altura e, 
                              come principio,  era sempre  preferibile una forza 
                              guerrigliera ben trincerata quando si trattava di 
                              contenere una truppa di fanteria in ascesa. Paco 
                              però decise di trasferire la  sua imboscata più 
                              indietro, al punto dove il cammino che scendeva 
                              dall’altura di El Cacao per Santo Domingo cadeva 
                              per la prima volta nel ruscello. Il luogo, scelto 
                              dopo una rapida esplorazione, aveva   vantaggi 
                               indiscutibili, ed anche  inconvenienti. La forza 
                              ribelle si poteva  occultare tra il monte e 
                              prendere posizioni non solo nel ruscello, ma anche 
                               ai due lati, nei pendii al fondo del cammino. 
                              D’altra parte, tutto faceva supporre che  il 
                              nemico, che in quel momento era al quinto giorno 
                              senza incontrare resistenza, avanzava in ordine di 
                              marcia in fila lungo tutto il  cammino, senza 
                              precauzioni speciali. La natura fitta del monte e 
                              il terreno scabroso avrebbero reso difficoltosa 
                              qualsiasi manovra d’accerchiamento che potessero 
                              tentare le guardie cadute nell’imboscata. Insomma, 
                              si trattava  di un luogo propizio per effettuare 
                              una resistenza momentanea e causare un certo 
                              numero di perdite  al nemico. Ma non sembrava una 
                              posizione difendibile per tempo indefinito, 
                              soprattutto  con così pochi. Il piano di Paco 
                              Cabrera Pupo consisteva nel ripetere piccole  
                              imboscate dello steso tipo lungo la discesa sino 
                              al fiume, ma sapendo anticipatamente che sarebbe 
                              stato  improbabile impedire l’arrivo del nemico 
                              sino a Santo Domingo. 
                              
                              Nella  notte del 17 ricevetti il rapporto di Paco 
                              sulle  disposizioni adottate e quindi la  conferma 
                              che il nemico non si sarebbe  mosso da El Cacao. 
                              In conseguenza, rividi gli ordini inviati a Duque 
                              e a Suñol, perchè aspettassero che le  guardie 
                              giungessero a Santo Domingo prima di realizzare i 
                              movimenti che avevo consigliato precedentemente.
                               
                              
                              La flessibilità tattica che caratterizzava la 
                              nostra attuazione ci avrebbe permesso d’elaborare 
                              un nuovo piano di  accordi con la situazione che 
                              cambiava. All’alba  del 18  comunicai al Che il 
                              mio criterio che  il nemico sarebbe riuscito a 
                              penetrare a Santo Domingo: 
                              
                              [… ] In questo caso cercheremo d’imbottigliare il 
                              nemico  nella casa di Lucas [Castillo], 
                              approfittando i vantaggi  del terreno, di non 
                              lasciarlo nè salire nè scendere lungo il fiume, nè 
                              entrare da qui [dalle alture di El Naranjo e La 
                              Plata], menter Suñol resterebbe ad impedire 
                              l’avanzata da  Providencia. 
                              
                              Per quello io contavo di chiudere il fiume al di 
                              sotto con Duque, e al di sopra con Lalo Sardiñas, 
                              al quale pensavo di ordinare che in quel  caso si 
                              doveva muovere verso Pueblo Nuevo, e chiudere la 
                              salita per El Naranjo con le stesse  forze di Paco 
                              Cabrera Pupo, rinforzate dalle squadre di Huber 
                              Matos e Geonel Rodríguez. Come si vedrà più 
                              avanti, questo fu, in essenza, il piano che si 
                              applicò  nella prima Battaglia  di Santo Domingo. 
                              
                              A quell’altezza  eravamo coscienti che l’entrata 
                              del nemico a Santo Domingo era il segnale per  
                              scatenare l’offensiva con intensità. In quello 
                              stesso  messaggio al Che gli scrissi: "Se avviene 
                              uno scontro  a Santo Domingo avviene poi da tutte 
                              le parti!”  
                              
                              Il mio piano era scendere il giorno il più vicino 
                              possibile a Santo Domingo per osservare da vicino 
                               la situazione. Senza dubbio gli avvenimenti  del 
                              giorno 19 negli altri due settori della  battaglia 
                              m’impedirono di muovermi da La Plata. 
                              
                              A Santo Domingo e a El Naranjo, gli abitanti non 
                              avevano lasciato le loro case. Erano passati vari 
                              giorni d’incertezza e inquietudine. I rumori 
                              sull’accerchiamento dell’Esercito erano 
                              contraddittori ed allarmanti. La piccola scuola 
                              tenuta da Rolando Torres Sosa,  noto tra i ribelli 
                              come El Barberito, era sempre  aperta, nonostante 
                              le  frequenti mitragliate ed i bombardamenti nella 
                              zona. L’armeria di Luis Crespo, installata nella 
                              casa di Clemente Verdecia a El Naranjo, continuava 
                              a funzionare, anche  se avevano preso tutte le 
                              misure per garantire un’evacuazione  rapida in 
                              caso necessario. 
                              
                              I combattenti  comandati da Paco Cabrera Pupo da 
                              due notti erano nascosti nel folto del ruscello, 
                              500 metri  al di sopra delle case di La Manteca. 
                              Non erano nemmeno 15 uomini in totale. Non fecero 
                              l’accampamento,  non tesero le loro amache nè 
                              prepararono la cucina. Erano giunti al tramonto 
                              del giorno 17, sicuri che a mattina seguente 
                              avrebbero combattuto già. Quella prima notte la 
                              passarono tutti in  tensione. Sapevano che il 
                              nemico, dall’altro lato dell’altura, era forte. 
                              Non si scontrarono con una pattuglia, nè con  
                              plotone, e nemmeno  con una compagnia. 
                              
                              Giunse l’alba del 18. Dal fondo del cammino  
                              percepivano che era giunto il giorno perchè 
                              l’oscuro viola del cielo si dissolveva in una 
                              bruma grigia attraverso lo spessore che li 
                              avvolgeva. Passarono le prime ore della mattina,  
                              mentre il sole, nella sua ascesa, diluiva le ombre 
                              del fondo valle. 
                              
                              Il giorno trascorse senza che il combattente di 
                              guardia sull’altura  desse l’allarme che tutto 
                              aspettavano  ansiosi. C’era un poco di sconcerto. 
                              E se tutta l’ansia risultava inutile? E se le 
                              guardie avevano proseguito per  Providencia 
                              invece  di prendere  il cammino di Santo Domingo? 
                              
                              Però l’osservatore, dall’alto, informò che il 
                              nemico non si muoveva. 
                              
                              Gli uomini non potevano nemmeno cucinare, perchè 
                              il fumo li poteva tradire. 
                              
                              Inoltre, che cosa potevano cucinare?  Da quando 
                              erano scesi dall’altura non avevano 
                              
                              Mangiato. Non c’era niente da mangiare. 
                               
                              
                              Dopo l’arrampicata  del pendio  di El Cacao, il 
                              cammino che porta  a Santo Domingo irrompe nel 
                              monte e giunge alla cima tra l’erba di guinea; 
                              passa a fianco delle case  come  volesse dare 
                              l’opportunità al camminante di recuperare il fiato 
                              prima d’iniziare la ripida discesa. Tagliando una 
                              S dopo l’altra nel rado pascolo, il sentiero si 
                              precipitava allora verso il fondo dei campi di 
                              canne. 
                              
                              Era una brutta discesa  molesta. Com’era allora la 
                              salita! 
                              
                              Quello che si muoveva doveva collocare con cautela 
                              il tallone a fianco dell’altro, prima di tentare 
                              un nuovo passo.  Il cavaliere  vacilla, smonta, o 
                              meglio decide d’avere fiducia nell’istinto  cieco 
                              dell’animale. Qualsiasi precipitazione o 
                              distrazione  poteva provocare una caduta, e 
                              nessuno sapeva sin dove uno sarebbe arrivato 
                              rotolando verso il basso. Se aveva  piovuto il 
                              suolo era doppiamente traditore: pendente, ed 
                              inoltre scivoloso. Ma era quasi peggio se c’era il 
                              sole. 
                              
                              Alcune ‘guasime’ ritorte  o palme sottili, alberi 
                               senza ombra macchiano a tratti l’interminabile 
                              serpeggiare del sentiero. Al di sotto, lontano, il 
                              monte invitava con il fresco e l’acqua. Al di 
                              sotto, lontano,  la morte aspettava il nemico. 
                              
                              Sánchez Mosquera non si mosse in tutto il giorno 
                              18. Evidentemente il punto  di comando di Bayamo 
                              voleva sincronizzare l’entrata del Battaglione 11 
                              a  Santo Domingo con attacchi simultanei negli 
                              altri due settori principali. Il 19 giugno era il 
                              "Giorno-D" scelto dal nemico per l’inizio della 
                              seconda fase dell’offensiva. Da vari giorni prima, 
                              le truppe del Battaglione 19, del comandante 
                              Suárez Fowler, erano giunte ad Arroyón, dove si 
                              limitarono a realizzare finte esplorative nel 
                              cammino verso  las Vegas. Il 19 giugno sferrarono  
                              l’ attacco a fondo in combinazione con il 
                              Battaglione 17 del comandante Corzo, che avanzava 
                              da  Las Mercedes.  Anche il giorno prima, il 
                              Battaglione  18 del comandante Quevedo aveva 
                              iniziato il movimento  dalla costa che doveva 
                              portarlo il giorno dopo ad entrare in contatto con 
                              le forze ribelli che proteggevano l’entrata dal  
                              Sud. 
                              
                              Il pomeriggio del 18 giugno avvisai Paco Cabrera 
                              Pupo che il giorno seguente  gli avrei inviato 
                              quel rinforzo. Nel mio breve messaggio lo 
                              avvertii: 
                              
                              "Non lasciate  entrare le guardie per nessun 
                              cammino". 
                              
                              Inoltre raccomandavo  che utilizzassero le mine. A 
                              quel punto io ero ansioso di provare il risultato 
                              degli ordigni  esplosivi che, per mia iniziativa e 
                              insistenza, erano stati  preparati nel laboratorio 
                               delle armi di Luis Crespo a El Naranjo. Di fatto  
                              il tema era martellante in tutte le comunicazioni 
                              che inviai  in quei  giorni ai capi. Al Che 
                              scrissi il giorno  18: "Ho voglia di veder 
                              scoppiare  una mina nell’vanguardia di una truppa. 
                              Questa che viene da El Cacao sta passeggiando. È 
                              perfetta per sorprenderla!". 
                              
                              Di notte giunse a La Plata la squadra di M-1 
                              comandata dal Che, da  Minas de Frío, al comando 
                              di Geonel Rodríguez. 
                              
                              "Vedrai che oggi avremo una funzione  amplia", 
                               annunciai al  Che in un messaggio  inviato alle  
                              6:00 di mattina  del giorno 19, che iniziò chiaro 
                              e soleggiato. Già  in quel  momento si ascoltavano 
                              a La Plata le cannonate  sparate dalla  fregata 
                              Máximo Gómez. Poco dopo aver scritto il messaggio 
                              al Che, mi disposi a partire verso Santo Domingo 
                              assieme agli uomini di Geonel Rodríguez. 
                              
                              Più o meno alla stessa ora, il Battaglione  11 
                              iniziò il suo movimento.  All’avanguardia  c’era 
                              la Compagnia 96. Il capo del  battaglione occupò 
                              la posizione al centro della colonna in marcia, 
                              assieme alla Compagnia A. Copriva la retroguardia 
                              la Compagnia 97. Il movimento fu notato dall’alto 
                              di El Cacao dall’osservatore di guardia con quel 
                              fine, un ragazzo contadino, figlio di un vicino di 
                              El Cacao di cognome  Castellanos. Dopo aver 
                              controllato la rotta presa dalla truppa, il 
                              ragazzo si gettò per il pascolo, scendendo di gran 
                              carriera  per avvisare Paco Cabrera Pupo che già 
                              si avvicinava  il nemico. 
                              
                              Dopo il suo serpeggiare per il ripido pendio,  il 
                              sentiero che scende verso La Manteca penetra di 
                              nuovo nel monte. Il terreno si livella nella 
                              misura in cui il cammino si fa meno scosceso verso 
                              il ruscello.  Circa 200 metri dopo l’entrata nel 
                              folto, il cammino ricade per la prima volta sul 
                              margine destri del ruscello cristallino che scende 
                              dalla falda di El Gallón. Immediatamente prima si 
                              raddrizza dopo un’ultima curva scavata  abbastanza 
                              dall’erosione delle acque e  centinaia di migliaia 
                              di passi. Saltando sulle  pietre, il cammino 
                              incrocia il ruscello e una piccola  pozza nella 
                              roccia dove si accumula il gelido filo dell’acqua. 
                              Ai due  lati, i margini ascendono tra il fitto 
                              della montagna monte. 
                              
                              Paco Cabrera Pupo calcolò che, in quel punto, 
                              l’avanguardia della colonna nemica, obbligata a 
                              marciare in fila  per lo stretto sentiero, se 
                              sarebbe fermata per bere. Lungo il cammino che 
                              avevano percorso, non avevano visto acqua da  
                              quando avevano iniziato la lunga  ascesa del 
                              pendio di El Cacao. La sua idea era tendere la 
                              stretta dell’imboscata attorno alla pozza del 
                              ruscello per sorprendere inavvertita l’avanguardia 
                              quando si sarebbe  fermata per rinfrescarsi. Sul 
                              margine sinistro, dall’altro lato, in una 
                              posizione da  dove si dominavano circa 30 metri di 
                              cammino nella  sua caduta verso l’acqua dopo la 
                              sua ultima curva, si situarono lui, Huber Matos, 
                              Evelio Rodríguez Curbelo e un combattente 
                              chiamato  Raulito, che era incaricato di far 
                              scoppiare una mina. Il monte schiariva un poco 
                              nella posizione scelta. Sul margine destro, 
                              dominando un tratto di sentiero prima dell’ultima 
                              curva, si sistemò la maggior parte degli uomini 
                              del plotone di Paco. Al centro, nel ruscello, Paco 
                              Cabrera González e Miguel Ángel Espinosa - il 
                              primo dietro  una pietra grande, dentro l’acqua e 
                              l’altro tra le radici di un corpulento tronco di 
                              jagüey – avevano forse la posizione più 
                              pericolosa, perchè stavano a meno di 30 metri 
                              dall’incrocio del ruscello e la pozza. Questi  
                              combattenti erano incaricati d’aprire il fuoco 
                              quando la punta dell’avanguardia si fosse fermata 
                              vicino all’acqua. 
                              
                              Quando giunse senza fiato l’osservatore ribelle 
                              che stava sull’altura, i combattenti occuparono 
                              rapidamente le posizioni rispettive. Trascorsero 
                              gli interminabili minuti che sempre precedono un 
                              combattimento. 
                              
                              La visibilità era nulla; il nemico l’avrebbero 
                              avvistato solo all’ultimo momento. 
                              
                              Poco prima delle 7:00 di mattina, il plotone 
                              d’avanzata della Compagnia 96 raggiunse l’altura. 
                              Lì aspettarono alcuni  minuti per permettere al 
                              personale della loro compagnia, che stava salendo 
                              faticosamente il pendio, di riunirsi. Gli animi 
                              erano  esaltati. Speravano 
                              
                              D’incontrare resistenza prima di raggiungere la 
                              cima. Esplorarono il filo dell’altura e scopersero 
                              le trincee scavate  quattro giorni prima dai 
                              combattenti del gruppo di Paco Cabrera Pupo. 
                              Passarono il rapporto al capo  del battaglione, 
                              che si trovava più in basso. Questi ordinò di 
                              continuare la marcia, ed era già sicuro che 
                              sarebbe entrato a  Santo Domingo senza sparare un 
                              solo colpo. 
                              
                              Nel cammino, l’ avanguardia nemica obbligò un 
                              haitiano, residente a El Cacao, a camminare 
                              davanti come guida. L’uomo,  spaventato, segnalò 
                              con il dito la biforcazione del cammino: a  destra 
                              verso  El Brazón, a sinistra  La Manteca e Santo 
                              Domingo. Il capo della Compagnia, il capitano 
                              Orlando Enrizo, gli ordinò di proseguire nella 
                              seconda direzione. 
                              
                              Cominciarono la laboriosa discesa; camminavano  
                              conversando e scherzando, di quando in quando si 
                              sentiva qualche parolaccia, se qualcuno scivolava 
                               o perdeva l’equilibrio e doveva aggrapparsi 
                              agilmente al primo cespuglio d’erba a portata  di 
                              mano. Poco a poco giunsero ai bordi del monte. Si 
                              approssimavano  senza precauzioni. 
                              
                              Dalle loro posizioni, i ribelli imboscati 
                              ascoltavano l’avanzata  dei primi soldati; 
                              sentirono le loro conversazioni e le loro grida. 
                              
                              Sperimentarono la strana e mista sensazione  di 
                              sapere che si avvicinava un nemico tuttavia 
                              invisibile, al quale gli occhi non avevano ancora 
                              dato una tranquillizzante dimensione umana. I 
                              primi a intravedere il nemico furono i combattenti 
                              appostati sul  margine destro. Immediatamente  
                              federo il segnale che, impazienti, aspettavano 
                              quelli dall’altro lato e i due uomini che stavano 
                              nel ruscello. Paco mi raccontò dopo che in quel 
                              momento tutti stavano con le armi pronte. Era una 
                              sensazione conosciuta da tutti noi, quella degli 
                              ultimi momenti prima del combattimento. 
                              
                              Secondo il rapporto che ascoltai, il primo soldato 
                              che apparve ai combattenti di quell’imboscata, 
                              nella visuale limitata  dei due ribelli nel 
                              ruscello, era un uomo negro e corpulento.  Portava 
                              il suo fucile, un Garand, sulla spalla. Si fermò  
                              un instante. Cercò la continuazione del sentiero 
                              dall’altra parte del ruscello. Entrò nell’acqua e 
                              fece alcuni passi in direzione della pietra dietro 
                              alla quale era celato Paco Cabrera González. 
                              Dietro a lui apparvero altre quattro o cinque 
                              guardie.  Arrivò anche l’haitiano.  
                              
                              Di repente, il soldado che veniva avanti si fermò, 
                              repentinamente pietrificato. Dietro la pietra era 
                              comparsa  surgido una figura barbuta, con un 
                              cappello texano e un fucile nelle mani. Gli occhi 
                              del  soldato si apersero smisurati, e solamente 
                              cercò di proferire un grido. Il combattente 
                              ribelle sparò da soli 10 metri di distanza. 
                              
                              In un secondo il cammino rimbombò per il fuoco 
                              Ribelles.. Paco Cabrera Pupo Cominciò a sparare 
                              con la sua Beretta. Un istante dopo, il 
                              combattente incaricato  della mina unì i due fili 
                              e l’ordigno scoppiò  nel gomito del cammino, dove 
                              erano giunti anche altri membri dell’avanguardia 
                              nemica. Quelli che avevano raggiunto l’acqua  si 
                              strinsero terrorizzati alla riva sinistra della 
                              pozza, dove la pietra formava una piccola 
                              sporgenza. Dal cammino, altri si tirarono nel 
                              ruscello.  Quasi nessuno fece il tentativo di 
                              difendersi.  L’haitiano, sentito il primo sparo, 
                              saltò sulle pietre  e rapido come una freccia, 
                              passò dietro a Paco Cabrera González. Questi, 
                              occupato a sparare e caricare rapidamente  due e 
                              tre pallottole ogni volta nel deposito del suo 
                               Springfield, con il quale sparava, lo guardò 
                              apprensivo:"No ammazzare! No ammazzare!", gridava 
                              senza smettere l’haitiano. E restò lì alle spalle 
                              del combattente  ribelle, sommerso nell’acqua sino 
                              al naso e gridando spaventato durante il 
                              combattimento.  
                              
                              Nei primi minuti il fuoco nemico fu 
                              disorganizzato. Tutti  sparavano, quelli che 
                              stavano sul cammino dietro il gomito della mina, e 
                              quelli che venivano dietro, includendo anche gli 
                              altri che si trovavano tuttavia nell’altura. Ma 
                              sparavano sconcertati, da tutte le parti e in 
                              nessuna. Dall’alto, un uomo  al mortaio piazzò la 
                              sua arma e lanciò due o tre proiettili senza mira. 
                              
                              Trascorsero circa 20 minuti di combattimento. Il 
                              capo della compagnia riuscì a dare gli ordini 
                              necessari ed inviò gli altri suoi due  plotoni a 
                              fiancheggiare a due lati l’imboscata ribelle. 
                              
                              Con molto lavoro e un gran spiegamento di 
                              fucileria, il plotone che avanzava sil pendio a 
                              destra raggiunse la stessa  linea delle posizioni 
                              ribelli, in lato, sulla collina. Paco Cabrera Pupo 
                              si accorse della manovra e ordinò la ritirata. Il 
                              primo combattimento aveva dato il risultato 
                              desiderato.  Il nemico  contava almeno 12 perdite 
                              nell’avanguardia. I combattenti ribelli 
                              ripiegarono illesi, nonostante l’intenso fuoco 
                              nemico  la prossimità con cui si sviluppò  il 
                              combattimento. L’azione era durata poco più  di 
                              mezz’ora. Il fuoco si calmò momentaneamente, 
                              mentre le guardie si raggruppavano e raccoglievano 
                              i loro feriti  e i loro morti. Erano circa le 7.45 
                              della  mattina. 
                              
                              A Santo Domingo e El Naranjo, gli abitanti 
                              cominciarono ad abbandonare precipitosamente le 
                              loro case quando sentirono l’inizio del 
                              combattimento. 
                              
                              Nascosero sulla  montagna i pochi mobili, i 
                              vestiti, tutto quello che non potevano portare con 
                              sè. Lasciarono le loro case vuote. Mentre il padre 
                              e i figli maggiori si  occupavano di questi 
                              incarichi, la madre sgranava il suo rosario di 
                              bambini piccoli e con  il neonato tra le  braccia, 
                              iniziava alla salita verso la cima di El Naranjo, 
                              o verso Gamboa, o seguendo il fiume   a Pueblo 
                              Nuevo, verso dove avrebbe potuto trovare rifugio 
                              per lei e la sua famiglia. Anche le case a La 
                              Manteca furono abbandonate, ma lì non ebbero il 
                              tempo di portare via niente. 
                              
                              Un centinaio di metri al di sotto, Paco Cabrera 
                              Pupo preparò una seconda imboscata, similare alla 
                              prima, in accordo con le istruzioni  ricevute. Al 
                              disopra, nell’altura, Sánchez Mosquera ordinò di 
                              continuare l’avanzata Lungo il ruscello ed i 
                              pendii  laterali. Non voleva correre il rischio di 
                              cadere in una seconda trappola e continuare  a 
                              perdere uomini, perchè così si danneggiava il suo 
                              prestigio  di abile  tattico  antiguerrigliero. 
                              
                              Nello stesso tempo ordinò d’avanzare in 
                              spiegamento di combattimento, pettinando senza 
                              smettere la montagna  con un continuo fuoco di 
                              registro nel quale intervenivano, non solo la 
                              fucileria, ma anche i bazooka ed i mortai. 
                              
                              Sánchez Mosquera aveva deciso anche di far pagare 
                              crudelmente ai contadini l’appoggio che, lui 
                              presumeva, avevano offerto ai combattenti  
                              guerriglieri. Le case di La Manteca dove  passò la 
                              sua truppa, infiammata per la sconfitta subita, 
                              per la marihuana e per gli altri stimolanti che 
                              portavano nei loro zaini  quasi tutti i soldati 
                              del Battaglione 11, furono ridotte in cenere. 
                              Così, tra le altre, le povere case di Plácido 
                              Vaillant, di Lucrecia Santana, di Eduardo e Ismael 
                              Tamayo, bruciarono con tutto quello che quelle 
                               famiglie possedevano al mondo. La truppa si prese 
                              al suo passaggio gli animali che incontrava, 
                              galline, anatre, tacchini, maiali, e si prese 
                              anche il caffè, il cacao, il riso, i tuberi, tutto 
                              quello che serviva come bottino. In mezzora  le 
                              famiglie a La Manteca furono rovinate. 
                              
                              Dopo lo scontro, Paco Cabrera Pupo m’inviò un 
                              messaggio  urgente. Io avevo sentito il 
                              combattimento che si svolse poco dopo le sette di 
                              mattina, mentre scendevo per il pendio della cima 
                              di El Naranjo con la squadra di Geonel. Chiesi al 
                              Che l’invio urgente degli  ultimi sette uomini  di 
                              riserva dei queli si poteva disporre a Minas de 
                              Frío. Un altro messaggero ribelle era andato a 
                              cercare Lalo Sardiñas con l’ordine che si 
                              trasferisse anche lui immediatamente  dalla zona. 
                              
                              Le guardie poco dopo  avanzavano sparse. Paco 
                              Cabrera Pupo comprese che non poteva  fare nulla 
                              per fermarli, con la dozzina  di uomini di cui 
                              disponeva. Di conseguenza, ordinò la ritirata. I 
                              combattenti  scesero sino alla casa di Lucas 
                              Castillo, attraversarono il fiume  Yara verso il 
                              margine sinistro ed occuparono posizione nel 
                              contrafforte  terminale della cima di Gamboa, di 
                              fronte alla casa di Lucas. A  destra avevano il 
                              ruscello di El Naranjo e un poco più in basso, 
                              l’armeria di Crespo e le altre case di El Naranjo. 
                              In quella  posizione pensavano di resistere a 
                              qualsiasi di tentativo di avanzata  ulteriore del 
                              nemico verso la  cima della Maestra,  se 
                              pretendevano poi d’occupare  Santo Domingo. 
                              
                              Alle 10.20 della mattina i primi soldati 
                              terminarono la discesa del ruscello e raggiunsero 
                              il fiume  Yara. Cominciarono ad esplorare  i 
                              dintorni della casa di Lucas Castillo, nel margine 
                              destro, e a fare preparativi d’accampamento. 
                              Apparentemente  non avevano l’ intenzione di 
                              seguire avanzando, anche se mantennero un fuoco 
                              indiscriminato con ogni tipo d’arma. Dal 
                              contrafforte di Gamboa, dall’altra parte del 
                              fiume, lo osservavano gli uomini che quella 
                              stessa  mattina avevano fatto pagare loro un alto 
                              prezzo di sangue per il loro tentativo  di 
                              penetrazione nel cuore del territorio ribelle. 
                              
                              La squadra di Geonel si unì al gruppo di Paco 
                              Cabrera Pupo quando già i combattenti stavano 
                              giungendo, nella loro ritirata a El Naranjo. Nel 
                              Quartiere Generale restava solo un fucile, il mio, 
                              ed un gran numero di mine, i cavi e i  fulminanti 
                              pertinenti, che  si potevano far saltare 
                              simultaneamente, con i quali mi avvicinavo alla 
                              zona di Lucas Castillo, se le guardie avessero 
                              superato rapidamente la resistenza di Paco Cabrera 
                              Pupo. Pensavo di creare rapidamente un campo di 
                              mine che potevano  attivarsi all’unisono.  Dovetti 
                              ritornare con tutte prima di raggiungere il punto. 
                              
                              Poco dopo il suo arrivo alla casa abbandonata di 
                              Lucas Castillo, che immediatamente occupò come 
                              punto del comando, Sánchez Mosquera ordinò 
                              l’uscita di due plotoni lungo il fiume, a 
                              scendere, con la missione di prendere i feriti del 
                              combattimento. Dal suo punto d’ osservazione, i 
                              combattenti ribelli  contarono sette lettighe. Era 
                              una pena non aver disposto in quel momento di un 
                              numero sufficiente di uomini  per aver coperto 
                              anche quella prevedibile rotta nemica di rinforzo 
                               o d’evacuazione, dato che  un secondo colpo in 
                              quello stesso giorno  - e il secondo poteva essere 
                              più efficace – sarebbe stato fortemente 
                              demoralizzante per il prepotente  Sánchez 
                              Mosquera. 
                              
                              I morti furono raccolti e sepolti al fondo della 
                              casa di Lucas. 
                              
                              Con quel gruppo  il capo del battaglione  iniziò 
                              un cimitero  privato dove seppellì  tutti i morti 
                              della sua truppa  durante i 40 giorni in cui 
                              sarebbe rimasto a Santo Domingo, molti dei quali 
                              non furono nemmeno segnalati ai suoi ufficiali 
                              superiori. 
                              
                              Alla fine, i ribelli 
                              scopersero circa de 100 tombe, in alcune delle 
                              quali  c’era più di una persona seppellita. Quel  
                              cimitero accolse anche i cadaveri  delle vittime 
                              contadine della crudeltà di quel sanguinario capo 
                              nemico, tra le quali lo stesso  Lucas Castillo e 
                              varii membri della sua famiglia, che furono 
                              assassinati perfidamente  pochi giorni dopo. 
                              
                              La truppa che il capo del Battaglione 11 mosse con 
                              i sette feriti, scese senza inciampi per tutto il 
                              fiume e quella notte si accampò a Casa de Piedra. 
                              
                              Duque aveva osservato il movimento dalla cima di 
                              Gamboa, mentre si dirigeva a mezzogiorno ad 
                              occupare posizioni nella zona di Leoncito, luogo 
                               immediatamente contiguo a Santo Domingo, al di 
                              sotto delle acque del fiume. Tornò  per cercare 
                              d’intercettarla nel caso in cui la missione di 
                               quella truppa fosse risalire il ruscello di El 
                              Cristo verso El Toro o Gamboa e la Maestra. In 
                              quel momento, le forze di Duque sommavano un 
                              totale di nove uomini. 
                              
                              Il giorno  seguente, quella  forza nemica passò 
                              per Providencia e continuò la marcia senza 
                              inciampi  verso Estrada Palma, dove consegnò i 
                              feriti. L’ubicazione successiva  di quel  plotone 
                              corrispondeva  al terreno della congettura. Non fu 
                              possibile  determinare se restò  separato dal 
                              resto del battaglione e non partecipò, quindi, 
                              alla prima Battaglia di Santo Domingo, o se, al 
                              contrario, era ritornato alla sua base 
                              d’operazioni. In  questo secondo caso, ritornò per 
                              il fiume o entrò  a El Cacao da  Providencia? Se 
                              lo fece lungo il fiume, perchè non fu 
                              intercettata? Sono interrogativi che a più di 30 
                              anni di distanza, vanno ancora chiariti con gli 
                              storiografi. 
                              
                              Tutto sembrava indicare che il cammino del fiume 
                              non fu coperto dalle truppe ribelli  sino al 29 
                              giugno. Le due forze principali che operavano 
                              nella zona, furono ubicate da me nelle principali 
                              cime d’accesso alla Maestra: quella di Duque al 
                              contrafforte  di Gamboa, di fronte  a Santo 
                              Domingo, e quella di Suñol a El Toro. Non erano 
                              quindi in posizione per chiudere la via  del fiume 
                              stesso, che apparentemente restò libera per i 
                              movimenti delle guardie durante i giorni 
                              immediatamente successivi  all’entrata del 
                              Battaglione  11 a Santo Domingo. 
                              
                              Compiendo le mie istruzioni, Suñol si ritirò dalle 
                              sue posizioni a Providencia dopo l’entrata di 
                              Mosquera in quel punto. Tra le carte c’è un 
                              documento del 20  giugno, il giorno dopo il 
                              combattimento de La Manteca, nel quale informavo 
                              il Che che "Suñol si è ritirato perfettamente 
                              bene, senza perdere assolutamente nulla. Sta 
                              guardando  
                              
                              già l’entrata della Maestra [cioè per la cima ] 
                              dal Cristo e El Toro". 
                              
                              Il mantenimento della posizione avanzata a 
                              Providencia non aveva più senso  dopo 
                              l’occupazione sia di Santo Domingo che di  Vegas 
                              de Jibacoa. Per qualsiasi delle due direzioni il 
                              nemico poteva  giungere alla  retroguardia delle 
                              posizioni ribelli  a Providencia. 
                              
                              Durante le settimane  successive quella  zona 
                              restò pattugliata unicamente dal gruppo con coi 
                              fucili da caccia comandati  da Urbano Garcés, 
                              figlio del collaboratore contadino Polo Garcés, e 
                              noto col soprannome di Viejo. Questa squadra 
                              avrebbe avuto la missione di vigilare i movimenti 
                              nemici e, nella misura delle sue possibilità, 
                              perseguirlo.
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