| 
                              
                              La vittoria strategica La sconfitta  di Sánchez 
								Mosquera
 (Capitolo 20)
 
 Fidel Castro Ruz
 
								
								Il 20 luglio a mezzogiorno, quando non si era 
								ancora arresa la truppa di Jigüe, scrissi in un 
								messaggio al Che: 
								
								“Dobbiamo solo sopportare i bombardamenti di 
								oggi. 
								
								 Manda nella zona di La Plata, dove c’è 
								l’ospedale, tutti quelli che vogliono armarsi.  
								Penso di raccogliere tutti i fucili  Mendoza; 
								armare di Springfields, Garand e Cristóbals gli 
								uomini; distribuire automatiche tra i più vecchi 
								e tagliare immediatamente la ritirata alle 
								guardie di Santo Domingo e  Vegas”. 
								
								Il mio piano in effetti era proseguire 
								immediatamente dopo la vittoria a Jigüe, quasi  
								senza soluzione di continuità, con azioni 
								destinate a liquidare le minacce tuttavia 
								rappresentate dagli altri due gruppo di nemici 
								all’interno del nostro territorio: le truppe del 
								battaglione 19 del comandante  Sánchez Mosquera 
								a Santo Domingo e le due compagnie  del 
								Battaglione  19 del comandante Suárez Fowler, 
								tuttavia stazionate a Vegas de Jibacoa, manovre 
								che dopo la positiva conclusione della 
								Battaglia  di Jigüe eravamo in condizione  di 
								sviluppare  in maniera simultanea. 
								
								Come ho spiegato nel capitolo precedente, una 
								volta ottenuta la resa del Battaglione 18, nello 
								stesso giorno cominciammo il trasferimento di 
								tutte le forze ribelli che avevano partecipato a 
								Jigüe e a Purialón, verso le nuove posizioni che 
								dovevano occupare per lo sviluppo delle prossime 
								azioni previste.  
								
								Nel caso di Santo Domingo, dallo stesso momento 
								del mio ritorno a La Plata, 
								il 23 luglio, cominciai ad organizzare 
								l’accerchiamento del Battaglione 11 di Sánchez 
								Mosquera, ed a preparare il dispositivo per 
								 respingere e distruggere i rinforzi che 
								sicuramente il comando nemico avrebbe inviato. 
								 
								
								Come si ricorderà, durante lo sviluppo della 
								 Battaglia di Jigüe erano rimaste nella zona di 
								Santo Domingo le piccole forze ribelli di René 
								Ramos Latour, Félix Duque, Geonel Rodríguez, 
								Zenén Meriño, Huber Matos e Dunney Pérez Álamo. 
								Quelle forze erano state   sufficienti, già che 
								dopo il combattimento a El Naranjo, il 9 luglio, 
								il battaglione nemico, stazionato a Santo 
								Domingo, non aveva tentato alcun movimento. 
								
								Tra  le disposizioni più importanti che adottai 
								 dopo Jigüe, ordinai a Guillermo di coprire di 
								nuovo con la sua truppa il settore nord 
								dell’accerchiamento in preparazione, dall’altura 
								di La Manteca e sino a quella di La Ceiba; 
								quest’ultima, già parte del massiccio con la 
								collina   El Brazón. A destra di Guillermo si 
								situò la squadra di Vilo Acuña. Così era formato 
								il cerchio verso nord e nordovest 
								dell’accampamento nemico.  
								
								A sud e a sudest si mantenevano le forze di 
								Dunney Pérez Álamo, Zenén Meriño e Huber Matos, 
								alle quali si sarebbe adesso aggregata la 
								squadra del Vaquerito. 
								
								Finalmente, per gli altri ordini per 
								l’accerchiamento a  Santo Domingo, inviai 
								istruzioni a Félix Duque che occupasse con la 
								sua squadra le posizioni a Leoncito, al disopra 
								del fiume Yara, due chilometri al di sotto, 
								lungo il fiume, dell’accampamento nemico. Quella 
								sarebbe  stata la prima forza contro cui si 
								sarebbe scontrato l’esercito, se avesse tentato 
								di fuggire lungo il cammino del fiume. 
								 
								
								In previsione dello stesso procedimento di 
								concentrare il colpo principale contro i 
								rinforzi che potevano venire in aiuto del 
								battaglione accerchiato, il giorno 23 trasmisi 
								da La Plata un ordine  per Ramón Paz, che dopo 
								le azioni a Purialón si era trasferito con i 
								suoi uomini a Puerto Malanga per occupare il più 
								rapidamente possibile nuove posizioni 
								sull’altura di Casa de Piedra. In quello stesso 
								giorno disposi il trasferimento di Daniel e dei 
								suoi uomini verso Casa de Piedra, dove dovevano 
								sfruttare la forte imboscata  preparata  Paz 
								contro la truppa che tentasse di risalire il 
								fiume Yara in appoggio del Battaglione 11. A 
								quell’imboscata destinai anche la squadra 
								comandata da Hugo del Río, a cui si sommò quella 
								di William Gálvez. 
								
								A quel punto, io non avevo più dubbi che i 
								movimenti successivi del nemico sarebbero stati: 
								uno, inviare un rinforzo alla troppa bloccata  a 
								Santo Domingo per aiutarla ad uscirne; e due, 
								il  tentativo di Sánchez Mosquera di scappare 
								dalla trappola mortale in cui si trovava. 
								L’unico interrogativo era la via che avrebbe 
								utilizzato il capo nemico per fuggire.  La rotta 
								naturale era quella del fiume, ma un capo come 
								Sánchez Mosquera 
								
								sicuramente avrebbe considerato anticipatamente 
								che noi avremmo impedito nel modo migliore 
								quella manovra. 
								
								Ma prima devo raccontare alcuni fatti che ebbero 
								importati conseguenze. 
								
								Ugualmente, la strada del fiume era la più 
								naturale per l’invio dei rinforzi provenienti da 
								Estrada Palma per  il Battaglione di Sánchez 
								Mosquera, a Santo Domingo. In quel caso, Paz e 
								Daniel avevano la missione di fermare il 
								rinforzo all’altezza di Casa de Piedra, mentre 
								Suñol e Pinares dovevano sistemarsi a El Salto, 
								al di sotto del fiume e tagliare la ritirata 
								della truppa di rinforzo che si sarebbe 
								scontrata con l’imboscata a  Casa de Piedra. 
								Questa seconda parte dell’operazione era 
								decisiva, perchè, di nuovo, la mia intenzione 
								non era solamente fermare il rinforzo, ma anche 
								vincerlo e distruggerlo. 
								
								Lo stesso giorno in cui tornai a La Plata dopo
								la Battaglia 
								di Jigüe, diedi istruzioni a Pinares sulla sua 
								missione e lo inviai a coprire le sue nuove 
								posizioni,  e in un messaggio per Suñol, gli 
								indicai che si trasferisse  a El Salto e si 
								unisse alla truppa di Pinares. 
								
								 
								
								Va ricordato che Pinares aveva assunot il 
								comando del plotobne di cuevas alla morte di 
								questi a  Purialón. 
								
								Erano dei buoni combattenti. 
								
								Con lo stesso messaggio ordinai il trasferimento 
								del plotone di Lalo Sardiñas verso El 
								
								Cacao. 
								
								La mia idea era che nel momento dello scontro 
								del rinforzo a  Casa de Piedra, Lalo doveva 
								appoggiare l’azione di Pinares e Suñol scendendo 
								verso Providencia, con il doppio proposito 
								d’impedire che scappassero le guardie che 
								eludevano il blocco a El Salto, e prevenire 
								l’entrata di un secondo rinforzo in aiuto  del 
								primo. 
								
								L’importanza che io attribuivo a 
								quell’operazione contro il rinforzo, risultava 
								evidente nel messaggio  che inviai  a Pinares 
								nel pomeriggio del giorno 24: 
								
								“La missione tua e di Suñol è quella d’attaccare 
								le guardie sul fianco o per la retroguardia 
								quando si scontreranno con Paz.  Dovete mettervi 
								in una posizione dove non vi possano vedere e da 
								lì avanzare e attaccare il nemico a sorpresa, 
								quando si sarà scontrato con Paz.  Voi avete 
								uomini sufficienti. Non sono un gruppetto che si 
								possa circondare facilmente.  
								
								Lalo è al Cacao per attaccare le guardie anche 
								dalla retroguardia, passando per  Providencia. 
								Non si può lasciar passare questa truppa”. 
								
								Quel pomeriggio ordinai a Daniel il suo 
								trasferimento a Casa de Piedra per rinforzare
								 
								
								Paz. In quel momento, Daniel si trovava nel 
								contrafforte della cima di Gamboa, più o meno 
								dove stava prima la squadra di Duque. Io lo 
								avevo posto di nuovo lì inizialmente, come parte 
								dei preparativi dell’accerchiamento della truppa 
								nemica s Santo Domingo. È eloquente il tono del 
								messaggio che gli inviai: 
								
								“Trasferisciti ben presto con tutta la tua gente 
								a rafforzare la posizione di Paz. Sembra che le 
								guardie verranno domattina e questa potrebbe 
								essere  la grande opportunità, dato che abbiamo 
								forze disposte ad attaccare da distinte 
								direzioni. Un altro forte colpo in questo 
								momenti sarebbe mortale per Batista”. 
								 
								
								Quella stessa notte Daniele partì con i suoi 
								uomini verso  Casa de Piedra. 
								
								Portava il seguente messaggio a Paz: 
								
								“Invio a questa posizione un plotone di rinforzo 
								con gente capace. Controlla bene le cose e non 
								retrocedete di un passo. Avvertite Pinal 
								 [Pinares] e Suñol che si nascondano bene perchè 
								le guardie non li scoprano e che dovranno 
								attaccare dopo l’inizio del combattimento con il 
								nemico, e non dovranno sparare sino a che non 
								saranno molto vicini al nemico”.  
								
								Per occupare quelle posizioni nel contrafforte 
								di  Gamboa che restavano scoperte dopo il 
								movimento di Daniele, scesi io stesso quella 
								notte da La Plata 
								con un piccolo gruppo di combattenti. 
								 
								
								Come si avrà osservato, le mie aspettative erano 
								grandi per l’operazione pianificata contro il 
								rinforzo: se funzionava come doveva la trappola 
								preparata tra  Casa de Piedra e El Salto, 
								un’altra unità nemica sarebbe stata distrutta.
								 
								
								Un buon colpo in quel senso poteva essere 
								sufficiente per provocare, com’era avvenuto a 
								 Jigüe, la resa del battaglione accerchiato, 
								anche se certamente le condizioni non erano le 
								stesse.  
								
								Il giorno 24 indubbiamente divennero evidenti 
								alcuni dubbi tra i ribelli a  El Salto, che 
								ebbero poi un effetto importante all’ora del 
								combattimento. Di quello è testimonio il 
								seguente messaggio inviato  quel giorno da Suñol 
								a Paz: 
								
								“Io ho solamente un fucile mitragliatore e Pinar 
								[Pinares] un altro. Io stanotte volevo andare 
								alla posizione di Paz, a Casa de Pietra, ma è 
								lontano e sta piovendo. La nostra situazione non 
								è bella per niente, perchè non è una sola 
								colonna che si muove verso di noi, ma sono due.
								 
								
								[...]. Non so come ce la vedremo con due truppe. 
								Credo che attaccheremo dalla retroguardia la 
								prima e se viene l’altra ci ritireremo, perchè 
								entri quest’altra , e poi vedremo come 
								attaccarle. Questo è difficile da chiarire, 
								perchè è evidente che possono agire come 
								vogliono, vedremo quello che succederà” 
								
								Preoccupato per il tono pessimista di quel 
								messaggio, Paz me lo fece avere a La Plata, da 
								dove io però mi ero mosso. Per quello mi giunse 
								tardi. Quella che invece ricevetti quel giorno 
								fu una nota di Pinares nella quale m’informava 
								del suo disaccordo con le posizioni disposte da 
								Suñol per i suoi uomini. Leggendola decisi di 
								scendere verso  Casa de Piedra per cercare di  
								sistemare da lì l’accerchiamento  di El Salto. 
								Ma prima mandai questo messaggio a Paz: 
								
								“ Devi dire che non si possono  lasciare vedere 
								dalle guardie prima che si scontrino con te. E 
								soprattutto che non commettano errori e usino la 
								testa. Avverti bene Suñol e Pinal [Pinares] che 
								esigerò responsabilità per qualsiasi errore che 
								si commetta; che la loro missione è attaccare il 
								nemico dal fianco e che devono  eseguirlo  nel 
								mondo migliore e con efficienza”.  
								
								In definitiva, non riuscii a  partire per Casa 
								de Piedra sino alla notte del 25 dopo lo 
								svolgimento del combattimento di Paz e Daniel 
								contro il rinforzo. Di sicuro quella notte per 
								la prima  e unica volta mi persi nella Sierra.
								 
								
								Da un posto di comando nella cima  di Gamboa 
								sentiti il combattimento di Paz contro la 
								Compagnia P della Divisione di Fanteria, al 
								comando del capitano Abón Li, lo stess che alla 
								fine della guerra offerse una tenace resistenza 
								a Camilo nella caserma di Yaguajay. Quella 
								compagnia fu incaricata dall’alto comando 
								d’andare in aiuto del battaglione  accerchiato a 
								Santo Domingo. Portava abbondanti viveri. 
								Ascoltai lo scoppio forte di una mina, gli spari 
								dei mortai e dei bazooka ed il nutrito fuoco 
								 delle mitragliatrici e dei semiautomatici nella 
								lunga valle del fiume. Il combattimento durò 
								circa quattro ore, ma non potevo comunicare con 
								Paz e dovevo aspettare i messaggeri, che 
								sarebbero giunti indubbiamente il giorno dopo.
								 
								
								Decisi di partire quasi di notte, impaziente di 
								conoscere i risultati e di sapere se Pinares e 
								Suñol avevano fermato il rinforzo. Avanzai verso 
								sudovest, per il bosco, in cerca della rotta. La 
								notte era scura e nel bosco non si vedeva una 
								persona a due metri. Peggio fu quando cercando 
								di accorciare la distanza, ci ritrovammo in un 
								campo coltivato, una “pelua”, come  i contadini 
								chiamavano quei luoghi, e dopo cominciò un 
								difficile e intransitabile roveto.  
								
								Inoltre cadde un prolungato e torrenziale 
								acquazzone e dovemmo attendere l’alba e cercare 
								un sentiero che conducesse all’incontro con Paz. 
								
								Fu solo alle prime luci del 26 che ci potemmo 
								orientare. Eravamo arrivati alla collina di La 
								Gorra, sempre ad una certa distanza dalle 
								posizioni di Paz e Daniel a Casa de Piedra. 
								
								Grazie ad una delle microonde catturate  Jigüe 
								conoscevamo con anticipo alcuni dati dei 
								movimenti che il nemico pianificava ed in 
								particolare l’invio da Estrada Palma di un 
								rinforzo alla truppa di Mosquera a Santo 
								Domingo. Tra le altre cose ascoltai durante il 
								combattimento l’ordine trasmesso, alla truppa 
								assediata a Santo Domingo, di andare in aiuto al 
								rinforzo comandato da Abón Li, ordine che 
								Sánchez Mosquera, conoscitore del terreno e 
								della presenza delle forze ribelli che 
								chiudevano il passaggio, non obbedì.  
								
								Ascoltai anche l’ordine del capo del rinforzo di 
								recuperare i muli, che erano carichi di 
								materiali e di munizioni di guerra, per non 
								perderli ed evitare che cadessero nelle nostre 
								mani.  
								
								Quel che successe fu che quel giorno, il 25, la 
								compagnia era andata in camion da Estrada Palma 
								e già a  Providencia, aveva iniziato la marcia 
								per il cammino principale, risalendo il fiume, 
								così come avevamo previsto. A mezzogiorno giunse 
								a Casa de Piedra e si scontrò  con la forte 
								imboscata di Paz e Daniel, che era stata 
								rinforzata  il giorno precedente dalle squadre 
								di Hugo del Río e William Gálvez. 
								
								Si scatenò un furioso combattimento che cominciò 
								con lo scoppio d’una mina collocata nel cammino 
								e si sentirono le prime scariche d’una 
								mitragliatrice 30 ubicata tra le pietre del 
								fiume, operata dal combattente  Orlando Avilés. 
								La violenta azione, nella quale morì  il 
								combattente Elinor Teruel, durò quattro ore e i 
								ribelli riuscirono a fermare  tutti i tentativi 
								di rompere la linea frontale e di continuare ad 
								avanzare. Finalmente, il nemico rinunciò e si 
								ritirò al di sotto del fiume, abbandonando tutto 
								quello che possedeva, dopo aver sofferto un gran 
								numero di perdite ed aver constato l’inutilità 
								del suo sforzo.  
								
								Questa parte del piano funzionò alla perfezione. 
								Ancora una volta Paz aveva dimostrato le sue 
								eccezionali condizioni di capo e combattente e 
								contò con il deciso appoggio della sua truppa e 
								degli altri ribelli che parteciparono a quel 
								secondo combattimento a Casa de Pietra. 
								
								Senza dubbio l’altra parte del piano, cioè 
								l’azione delle forze di  Suñol e Pinares da El 
								Salto, per  circuire il rinforzo  e impedire che 
								una parte scappasse, non funzionò. 
								Inspiegabilmente, invece d’avanzare verso Casa 
								de Pietra, quando sentì l’inizio del 
								combattimento, Suñol si ritirò dalle sue 
								posizioni e convinse Pinares a seguirlo. Senza 
								dubbio prevalevano negli animi le considerazioni 
								pessimistiche manifestate nel messaggio per Paz 
								del 24, già citato e l’infondato timore di 
								vedersi bloccati tra la truppa che combatteva a 
								Casa de Pietra e l’latra che doveva arrivare 
								dietro a questa, una presunta truppa che non 
								esisteva.  
								
								Insieme Paz, Suñol e Pinares, disponevano di 
								quasi 150 uomini con i quali avrebbero potuto 
								liquidare anche una battaglione completo in 
								movimento. Va ricordato quello che fecero Lalo e 
								Zenén Meriño  con meno di 30 combattenti durante 
								la prima Battaglie di Santo Domingo, contro una 
								compagnia del Battaglione 22 del comandante 
								Eugenio Menéndez, che fu liquidata. Per quella 
								incertezza non si ottenne il risultato che 
								cercavamo: la distruzione completa del rinforzo 
								o la sua resa e per quello il combattimento si 
								prolungò per tante ore.  
								
								Nonostante  tutto, il risultato di quel  secondo 
								combattimento a Casa de Piedra fu di enorme  
								importanza. Secondo i comunicati mandati da Paz, 
								il nemico sofferse non meno di 11 morti ed un 
								numero indeterminato, ma molto alto, di feriti. 
								
								Si catturarono 24 prigionieri, un bazooka con 14 
								proiettili, 29 fucili Garand, nove carabine San 
								Cristóbal, quattro fucili Springfield, una 
								pistola, quattro granate a mano e 32 granate da 
								Garand. Inoltre prendemmo 13 muli carichi di 
								viveri, 30 zaini da campagna, uniformi, 
								coperte,   e un apparecchio  radio con la chiave 
								che entrava in vigore precisamente quel giorno. 
								Era un bottino per niente disprezzabile. Ma il 
								risultato più significativo fu che s’impedì 
								l’arrivo del rinforzo a Santo Domingo. Suñol y 
								Pinares mi obbligarono ad una delle più amare 
								critiche che avevo mai fatto.   
								
								Io ritornai a  Santo Domingo. Precedentemente, 
								Sánchez Mosquera aveva diffuso il rumore che  
								s’incontrava nella fabbrica di zucchero Estrada 
								Palma, in contatto con il comando superiore. 
								Solo dopo il combattimento con  Paz ebbi 
								l’assoluta certezza che stava a  Santo Domingo 
								con il battaglione accerchiato. Nel 
								Combattimento di Casa de Piedra ci appropriammo 
								anche della corrispondenza indirizzata a  
								Mosquera e persino di una  bottiglia di cognac 
								per lui. Paz me lo comunicò urgentemente con un 
								messaggero, che  attraverso il cammino più 
								sicuro e tardò  a giungere. In quello stesso 
								giorno il colonnello Sánchez Mosquera ricevette 
								l’ordine d’abbandonare Santo Domingo e dirigersi 
								a Providencia, dove avrebbe fortificato il 
								terreno e occupato posizioni assieme al nuovo 
								Battaglione 22, ricostruito e al comando del 
								comandante Eugenio Menéndez Martínez, perchè il 
								capo precedente aveva sofferto un accidente. 
								
								Dopo il disastro del rinforzo di Abón Li, il 
								colonnello Sánchez Mosquera seppe che il suo 
								alto comando non poteva già più dargli rinforzi 
								e rifornimenti a Santo Domingo. L’ astuto capo 
								del Battaglione 11 non tentò di percorrere il 
								cammino del fiume per giungere a quel punto. 
								Divise le sue forze in tre gruppi e cominciò a 
								salire verso la cima di El Brazón, da tre punti 
								differenti. 
								
								Uno dei gruppi della forza di Mosquera avanzò 
								verso l’altura, per la cima secondaria di La 
								Ceiba. L’attacco sorprese i difensori di una 
								trincea del tenente Amándiz che fu occupata, ma 
								la squadra riuscì a resistere per  un’ora 
								approssimata; lì morì  il combattente Juan 
								
								Vázquez. 
								
								Il nemico non riuscì ad occupare la cima 
								principale di El Brazón, fortificata e difesa 
								dalle sue  forze di Guillermo García. 
								
								Conoscendo la notizia di quel combattimento e 
								della via scelta da Sánchez Mosquera per 
								scappare, ordinai a Lalo Sardiñas di unirsi alle 
								forze di Guillermo, e che tutti e due  
								perseguitassero implacabilmente il nemico che 
								avanzava per tutta la collina di El Brazón per 
								provocare il maggior numero di perdite possibile 
								e frenare la sua ritirata, dando il tempo di 
								organizzare  una linea di contenzione e per 
								respingere il nemico, in vista delle 
								circostanze, che si poteva solo preparare 
								all’altura di Providencia. La rotta scelta da 
								Sánchez Mosquera, in effetti lo avrebbe portato  
								inevitabilmente a Providencia, dove esisteva la 
								possibilità di  chiudere dalle alture, attorno 
								all’insediamento, l’unica uscita naturale 
								possibile: la gola del fiume  Yara, tra la cima 
								di Providencia e quella di 
								
								Pica Pica. 
								
								All’alba del 27, le forze di Guillermo e Lalo 
								continuarono la persecuzione  del Battaglione 11 
								che lottava disperatamente per scappare. Loro 
								non sapevano che il capo dell’unità che 
								perseguivano era stato ferito alla testa, come 
								io seppi attraverso  la microonda catturata il 
								giorno prima alla compagnia P  di Abón Li.
								
								
								Non fu possibile 
								
								informarli della notizia  quello stesso 
								pomeriggio, ma sarebbe stato molto importante 
								per loro, saperlo. 
								
								Il comando superiore nemico modificò  i suoi 
								piani. Abbandonò l’idea di fortificare i 
								Battaglioni  11 e 22 a 
								Providencia, un luogo prossimo al piano ed a 
								Estrada Palma. Con il resto del Battaglione  11 
								c’erano quasi due  compagnie del Battaglione 
								 22.  
								
								Guillermo calcolò che erano circa  600 uomini. 
								Il capo del posto di comando di Bayamo, il 
								generale Eulogio Cantillo, il 26 de luglio del 
								1958 firmò  un documento rivelatore. 
								
								Citerò solo le parti essenziali: 
								
								IL NEMICO: 
								
								Qualità: il nemico dispone di  truppe molto ben 
								addestrate per il tipo di operazioni 
								(Guerriglia) che sviluppa, considerando che 
								quasi tutti sono  naturali della regione, e i 
								capi da molto tempo si trovano nella zona  e 
								sono buoni conoscitori del terreno [...]. 
								
								Quantità: Varia Molto il calcolo, ma si possono 
								considerare tra 1000 e 2000 combattenti di prima 
								classe, abbastanza bene armati. Inoltre quasi  
								tutti gli abitanti della zona alta dominata dai 
								ribelli sono  confidenti, messaggeri e 
								informatori (uomini, donne e bambini).  
								
								Armi: Per questa Operazione il nemico ha chiesto 
								ad ogni Capo della zona di mandare gli uomini 
								migliori, con le armi migliori, facendo una 
								concentrazione dei migliori combattenti e delle 
								attrezzature  [...]. 
								
								A continuazione, in questo documento, Cantillo 
								incolpava di tutto i capi delle truppe e le 
								compagnie che lui stesso aveva inutilmente 
								sacrificato: 
								
								Organizzazione: quella tipica della Guerriglia. 
								Piccoli  gruppi che si nascondano  e 
								s’infiltrano tra le nostre truppe in marcia e a 
								volte al di sopra. 
								
								Ultimamente si nascondono tra gli alberi e gli 
								arbusti, e a volte si lanciano sulle  
								
								Unità sorprendendole e disarmandole. Si 
								riuniscono in quantità per un colpo determinato. 
								
								Salute: Lo stato sanitario è cattivo; sono molto 
								denutriti, ma con molta resistenza fisica. 
								Possono sopportare giorni interi in un luogo 
								senza muoversi, senza mangiare e senza bere 
								acqua. 
								
								Morale: Gli ultimi successi  bloccando e facendo 
								arrendere  le Unità ha sollevato molto il loro 
								morale; hanno catturato una grande quantità di 
								armi, munizioni e  viveri  e sono divenuti più  
								impavidi; hanno catturato anche Mini-packs e 
								PRC-10 dei nostri. 
								
								ESERCITO: 
								
								Qualità: La qualità del Soldato attuale, in 
								quasi tutti i gradi, è per più del 75% di 4ª 
								classe per questo tipo di operazioni, che 
								suppone una grande resistenza fisica allo sforzo 
								[...] e la volontà costante di cercare il nemico 
								e vincerlo. 
								
								[...] 
								
								È consigliabile ritirare le  Unità  su un  
								terreno più favorevole, dove si possa  
								manovrare, diminuendo anche le distanze 
								d’appoggio e rifornimento, e dove si possa, se 
								il nemico ci segue e cade nel nostro gioco, 
								decidire 
								la Campagna. 
								
								Nella parte riferita alle DECISIONI, si 
								enumerano le unità che  vanno  ritirate dalla  
								montagna. 
								
								IL PIANO: 
								
								Attrarre il nemico verso un’area che ci 
								favorisce e che sarà  formata da punti  forti 
								vincolati tra di loro  e con capacità di 
								manovra  e facilità di rifornimento. Inoltre una 
								massa di manovre nel fianco OVEST nostro e una 
								riserva ed un Punto di Rifornimento  principale 
								a 
								
								ESTRADA PALMA. 
								
								Riorganizzare le nostre forze, accorciare le 
								nostre linee, allungare quelle del nemico e 
								metterlo in una situazione di svantaggio. 
								
								[...] 
								
								"PER LA LIBERTÀ DI CUBA". 
								
								(Firmato.) E. A. Cantillo, MMN e P 
								
								Mag. Gen. Capo  Zone. 
								
								Mi sono reso conto del movimento di Mosquera per 
								l’intensa sparatoria  avvenuta nel lato opposto 
								al punto dove ci trovavamo. Lì stava la linea 
								della forza dei 40 uomini che, diretti da 
								Guillermo, erano arrivati dalla zona provenienti 
								dal Terzo Fronte Orientale, all’inizio 
								dell’offensiva nemica. Guillermo aveva già  
								un’esperienza di combattimento contro Mosquera, 
								assieme alla colonna comandata da Ramiro Valdés, 
								al nordest del nostro fronte. Poi aveva 
								partecipato alla Battaglia di Jigüe. La sua 
								truppa raddoppiò,  dopo quella battaglia ed era 
								bene armata. Non lontano da lì s’incontrava la 
								gente di Lalo Sardiñas, più a Ovest,  pronta, 
								sia per partecipare al combattimento contro i 
								rinforzi che per stringere l’accerchiamento. 
								
								Inviai immediatamente un messaggero per 
								localizzare Guillermo, dato che non esisteva 
								 altra forma di comunicazione con i capi 
								ribelli. A volte accendevo la radio presa al 
								nemico con il fine d’intercettare le 
								comunicazioni tra l’aereo del comando delle 
								operazioni e le unità di terra, ma solo il tempo 
								indispensabile per timore di esaurire le 
								batterie.  
								
								Aspettando che giungessero le notizie,  che con 
								sicurezza avrebbero tardato,  sapevo solo che si 
								stava svolgendo  un forte combattimento per via 
								degli spari che si sentivano da diversi punti, 
								in un’area dov’era  impossibile l’ osservazione 
								visuale. Quelli dell’Esercito  erano circa 600, 
								tra il Battaglione di Mosquera e quello che  
								restava del Battaglione 22.  
								
								I nostri, tra Guillermo e Lalo, erano circa 
								 130. Non passava di lì, in assoluto, la 
								probabile rotta di qualsiasi  rinforzo. 
								
								Dal lato al di qua della cima  di El Brazón, 
								dove aveva iniziato la sua ritirata Mosquera, 
								c’erano i mortai, il bazooka, la squadra di 
								 Curuneaux con la 50 e le mine. 
								
								Cominciammo a muoverci in direzione  di 
								Providencia. Correvamo il rischio d’imbatterci 
								in una qualsiasi unità di Mosquera sperduta, ed 
								anche con la sua forza principale, in marcia 
								verso  Providencia, se la resistenza l’avesse 
								obbligata a percorrere un cammino più diretto.
								 
								
								La nostra avanguardia doveva avanzare con tutte 
								le precauzioni necessarie nella stessa 
								direzione.  
								
								Nel pomeriggio di quello stesso giorno sentii  
								una comuncazione tra il Battaglione 11 e l’aereo 
								del comando superiore delle operazioni: 
								 
								
								Colonnello ferito alla testa! Colonnello ferito 
								alla testa! Mandate zunzún! Mandate zunzún! 
								
								Zunzún no può scendere! Zunzún non può 
								 scendere! 
								
								Era la sola risposta, molto logica inoltre, dato 
								che avevamo occupato l’ultima chiave della 
								truppa di  Abón Li, non era possibile. Zunzún 
								era l’elicottero. Guillermo e Lalo attaccavano 
								con le mitragliatrici a tripode  calibro 30 mm, 
								un fucile mitragliatore e molti fucili  semi 
								automatici. 
								
								Scendere con l’elicottero in quel terreno 
								irregolare era impossibile! Ma non avevamo altre 
								informazioni su quello che stava succedendo. Si 
								avvicinava la notte quando giunsero notizie che 
								il nemico in ritirata avanzava per un sentiero a 
								mezzo pendio dalla casa di Ricardo Ríos, in 
								direzione di  Providencia. 
								
								Duque, che marciava con noi, aveva ricevuto la 
								missione di esplorare e cercare d’intercettare 
								la truppa in qualche punto del pendio di El 
								Brazón. 
								
								Per compiere l’ordine, Duque, come sempre, 
								inquieto e temerario partì rapido per una 
								rientro  naturale del terreno seguito dalla sua 
								truppa, perchè ubicare il nemico era di somma 
								importanza per noi. 
								
								Decidemmo d’aspettare il risultato delle sue 
								esplorazioni. Passarono 30, 40, forse 50 minuti; 
								con quella tensione era impossibile calcolare il 
								tempo. 
								
								Improvvisamente  
								
								Si sentirono vari spari e le pallottole  
								passarono su di noi a  15 o 20 metri d’altezza. 
								Di nuovo, il silenzio. Tutto il mondo restava in 
								guardia. Ritornarono alcuni del plotone di 
								Duque, ma nessuno aveva notizie su quello che 
								era accaduto. Caminando, senza guardare 
								indietro,  aveva perduto il contatto con i suoi 
								uomini. Nessuno sapeva di lui.. Da dove  erano 
								partiti quegli spari? Duque era vivo o morto? 
								
								Nella notte oscura come quella precedente, senza 
								luna, se facevamo qualsiasi movimento correvamo 
								il rischio di scontrarci con una forza amica o 
								nemica. Non potevamo muoverci. Duque non dava 
								segnali di vita. Era necessario aspettare di 
								nuovo l’alba. 
								
								Con le prime luci, qualcuno annunciò 
								l’apparizione di Duque; era vivo, ma quasi 
								irriconoscibile. Senza rendersi conta per poco 
								non si era scontrato con l’accampamento  della 
								disperata truppa in ritirata. Aveva osservato la 
								sua scoperta ed iniziò il ritorno. Camminò una 
								decina di metri e incontrò alcuni uomini armati 
								di fucili, e cominciò a parlare con loro, 
								pensando che erano quelli della sue truppa che 
								lo seguivano.   Quando si rese conto che non 
								erano i suoi compagni, ma che stava conversando 
								con soldati nemici che montavano la guardia 
								attorno all’accampamento, cercò di posizionare 
								la sua mitragliatrice, ma le guardie si 
								gettarono su di lui, che si  attaccò con forza 
								ad uno e lo colpì con violenza, mentre gli altri 
								nel buio cercavano di colpirlo con la culatta 
								sulla testa,  sino a che Duque si liberò e 
								cominciò a correre verso il basso. I traccianti 
								che avevamo visto erano i colpi sparati dai 
								soldati che lui aveva incontrato. Era 
								irriconoscibile per i colpi che aveva ricevuto 
								in testa, sulla fronte, sul viso e sul collo. In 
								qualche luogo era svenuto esausto, dove lo 
								svegliarono le prime luci dell’alba.  Era 
								importantissima la sua scoperta! Noi avevamo le 
								armi più potenti. Il nemico era molto vicino.  
								Lo potevamo colpire 8 o 10 ore prima e non 
								lasciarlo riposare quella notte, accerchiandolo 
								prima dell’ alba.  
								
								Che giorno quel 27  luglio, a cinque anni e un 
								giorno dall’attacco alla Moncada, ma sempre con 
								la speranza di distruggere il Battaglione 11! 
								
								Guillermo, con più di 80 uomini e Lalo Sardiñas, 
								con più di 50, erano  ubicati  sull’altura 
								dominante; forse il nemico non sarebbe giunto  a 
								Providencia, dove Paz montava la guardia con 
								l’appoggio di quasi 200 combattenti. 
								
								Inoltre quel giorno, Vilo Acuña avanzò sulla 
								cima con la sua squadra e cercò di formare una 
								linea di contenzione nell’ultima altura della 
								collina di El Brazón, prima del pendio che 
								 scendeva verso il villaggio di Providencia. Ma 
								Vilo non contava con forze sufficienti e, dopo 
								un breve  combattimento nel quale morì il 
								combattente Giraldo Aponte, El Marinero, il 
								nemico riuscì a fiancheggiare la posizione di 
								Vilo e proseguire la  sua fuga precipitata. 
								Senza  dubbio, Guillermo, che aveva continuato 
								la sua persecuzione,  attaccò la retroguardia e 
								provocò altre due perdite, due morti e catturò 
								tre fucili Springfield, zaini e una cassa di 
								munizioni. 
								
								La notte, i resti del Battaglione  11 
								accamparono negli ultimi contrafforti della 
								collina di El Brazón, già in vista  del 
								villaggio di Providencia. 
								
								La mattina dopo, il giorno 28, il nemico bruciò 
								tutto quello che trasportava ed anche una parte 
								delle munizioni. Dalla cima di El Brazón, i 
								combattenti di Guillermo e Lalo, già  riuniti 
								durante la notte, contemplarono lo spettacolo 
								dell’enorme falò e le incessanti esplosioni.
								 
								
								Evidentemente, l’intenzione del capo ferito e 
								dei suoi luogotenenti era alleggerire, nel modo 
								possibile, il carico dei suoi uomini per 
								affrettare il passo nella fuga anche a costo di 
								ridurre la potenza del fuoco.  
								
								Gli uomini di  Lalo e Guillermo continuarono a 
								perseguire e tormentare i nemici  con  sparando 
								dalla cima, in una rotta parallela a quella 
								delle guardie, e continuarono a provocare 
								perdite alla truppa in fuga. 
								
								Durante tutto quel giorno, dalla mattina presto, 
								la Forza Aerea dell’Esercito si mantenne attiva: 
								per appoggiare la truppa in ritirata, 
								realizzarono sei missioni di bombardamento e 
								mitragliamento che durarono sino a pomeriggio 
								inoltrato, alle quali parteciparono  due 
								bombardieri B-26 e due caccia  F-47. Nel teatro 
								del combattimento apparve inoltre un caccia a 
								reazione T-33. Gli obiettivi  dell’attacco 
								furono indicati quel giorno da un aereo da 
								trasporto DC-3, che operò come posto di comando. 
								
								L’apparecchio ricevette in un’ala l’impatto 
								delle pallottole  ribelli. 
								
								Quel pomeriggio ordinai a  Duque di lasciare la 
								sua posizione a Casa de Piedra, dove lo avevo 
								spostato il giorno precedente, e di  dividere le 
								sue forze in due. Una parte dei suoi uomini, al 
								comando di Raúl Barandela, doveva rafforzare 
								ulteriormente  le posizioni di Paz a 
								Providencia.  
								
								Con Barandela inviai il seguente messaggio a 
								Paz, lo stesso giorno 27, ed in uno dei suoi
								
								
								paragrafi  risultò premonitore: 
								
								“Pensando che dobbiamo creare lì  [a 
								Providencia] una linea invulnerabile e che, data 
								la mancanza di conoscenza esatta della posizione 
								delle guardie, questi uomini di Duque possono 
								restare fuori dall’azione, e siccome, inoltre, 
								dalla retroguardia avanza un forte contingente 
								nostro, ho deciso di mandarti questi 43 uomini 
								per rinforzare la linea.  Credo che così non ci 
								sarà chi potrà muoverti da lì. 
								
								Ricorda che è molto importante sistemare due 
								imboscate nei cammini che vengono da  Estrada 
								Palma perchè vi guardino le spalle. Queste 
								imboscate non devono abbandonare le loro 
								posizioni per nessun motivo, e se tu vedi che 
								attaccano forte in qualcuna  di queste 
								imboscate, le rinforzi. 
								
								Mosqueda [Mosquera] viene con una pallottola 
								nella testa. Se questa truppa si scontra con 
								voi, sarà liquidata. 
								
								Paz non colloca "le due forti imboscate nei 
								cammini che vengono da Estrada Palma, perchè 
								custodiscano la vostra retroguardia". 
								
								Con l’altra parte della sua truppa, Duque doveva 
								cercare d’intercettare le guardie in qualche 
								punto dei pendii  di El Brazón, dato che si 
								eleva notizia che il nemico in fuga avanzava per 
								un sentiero a mezza collina, che andava dalla 
								casa del contadino  Ricardo Ríos in direzione di 
								Providencia. 
								
								Mentre tutto quello accadeva a El Brazón diedi 
								le  disposizioni necessarie per creare una linea 
								il più solida possibile a Providencia e impedire 
								la fuga della malconcia truppa allo sbando . 
								
								Quello stesso pomeriggio ordinai a Paz e a 
								Daniel che si muovessero con tutte le forze 
								verso il villaggio e dopo un rapido studio del 
								terreno occupassero le posizioni più adeguate. 
								Paz decise di collocarsi in una parte elevata 
								della cima di Providencia, di fronte al 
								villaggio e  dominando il letto del fiume, alla 
								destra, dal lato in cui considerò correttamente 
								che dovevano giungere le guardie  Non chiuse del 
								tutto l’imboscata collocando i ribelli nel 
								pendio dell’altura di Pica Pica, dall’altro lato 
								del fiume, perchè aveva ricevuto  l’informazione 
								da Aguilerita, che era stato inviato a  
								esplorare, che il nemico aveva già preso 
								quell’altura. La notizia però non era esatta, le 
								guardie non occuparono mai l’altura di  Pica 
								Pica. Alla fine, El Vaquerito si ubicò 
								nell’estremo del pendio di Pica Pica, all’altro 
								lato del fiume  e del villaggio di Providencia. 
								
								Nella sua fretta  per occupare nel minor tempo 
								possibile le migliori posizioni per respingere 
								il nemico in fuga, Paz non prese nemmeno la 
								precauzione  di coprire la sua retroguardia, 
								lasciando alcuni uomini sull’altro lato della 
								cima di Providencia, dove il terreno discendeva 
								verso il piano. 
								
								Qusta mancanza di previsione fu fatale. 
								
								Alla sinistra di Paz, Daniel spiegò tutte le sue 
								forze lungo le alture laterali della cima. Più a 
								sinistra cominciarono a chiudere l’imboscata e 
								il tenente William Gálvez si ubicò con una 
								piccola squadra nell’altura dove si trovava il 
								cimitero del villaggio. 
								
								Poco dopo l’aurora del 28 luglio, le guardie 
								cominciarono a scendere i pendii della collina  
								El Brazón verso il fiume e il villaggio di 
								Providencia. Quando stavano a tiro delle 
								posizioni ribelli, iniziò il combattimento. 
								 Nuove perdite si sommarono a quelle già 
								sofferte dal 
								
								Battaglione  11 nella sua fuga. L’azione si 
								prolungò per diverse ore, durante le quali si 
								riuscì a contenere l’avanzata del nemico. 
								
								Ma mentre questa azione si sviluppava le forze 
								del ricostruito Battaglione 22, stazionate a 
								Estrada Palma, si erano spostate verso 
								Providencia per appoggiare il movimento dei  
								resti del Battaglione 11. 
								
								Senza incontrare resistenza riuscirono a salire 
								dal piano alla cima di Providencia e ad occupare 
								l’estremo opposto del  pendio dell’altura di 
								Pica Pica. Con quel movimento  si collocarono, 
								di fatto, alle spalle e al fianco destro della 
								posizione di Paz. Come risultato del  fuoco a 
								sorpresa, mentre combattevano contro le guardie 
								che avanzavano frontalmente, morirono il 
								comandante Paz, il tenente Fernando Chávez e il 
								combattente FedericoHadfeg. 
								
								Sottoposti a quella pressione dalla 
								retroguardia, gli uomini di Paz ripiegarono 
								verso le  posizioni del plotone di Daniel, che, 
								a sua volta, aveva dato l’opportuno ordine di 
								ritirare la forza ribelle dal luogo. Tutti gli 
								uomini dell’imboscata si mossero in direzione 
								del cimitero e verso  Palma Criolla,al disopra 
								del fiume  Providencia. 
								
								Intanto, i resti del Battaglione  11 cercavano 
								di risalire lungo il fiume Yara. Ma non fu che 
								dopo il ripiegamento degli uomini di Paz  che 
								riuscirono finalmente ad avanzare senza il 
								pericolo d’essere colti dal fuoco guerrigliero.
								 
								
								Il gruppo con la barella di Sánchez Mosquera si 
								fermò all’altro lato del villaggio e quando il 
								cammino restò libero continuò in direzione del 
								fiume,  attraversò dall’altra parte la cima di 
								Providencia e continuò per poco più di un 
								chilometro sino a El Guineal, già nel piano dove 
								si posò l’elicottero inviato dal posto di 
								comando di Bayamo, per raccogliere il ferito e 
								trasportarlo a Santiago di Cuba, per le prime 
								attenzioni. 
								
								Come sapemmo, Sánchez Mosquera restò paraplegico 
								come conseguenza delle sue ferite, ma  con il 
								tempo riuscì a recuperare alcuni movimenti. Il 
								1º gennaio del 1959 fuggì a  Miami, dove i  
								criminali di Cuba hanno sempre trovato un 
								rifugio sicuro. 
								
								La morte di Paz, con quella di  Cuevas, di 
								appena 10 giorni prima, ci aveva  privato di due 
								dei capi  più efficaci, combattivi e 
								intelligenti su cui contava la nostra colonna. 
								Fu, indubbiamente  un duro colpo che si sommava 
								alla perdita di Angelito Verdecia, che, 
								aggiungendo due giorni dopo anche la morte di 
								Daniel,  fu la perdita più sensibile che 
								soffrimmo durante tutta l’offensiva nemica. 
								
								La morte in combattimento di quattro capitani 
								ribelli dice molto del valore e della qualità 
								morale dei nostri capi, che non esitavano dal 
								rimanere in prima linea con i loro uomini.
								 
								
								Da Palma Criolla, i combattenti di Paz, 
								comandati da Daniel, fecero un giro ed 
								iniziarono la persecuzione e l’attacco costante 
								del nemico, che si ritirò precipitosamente in 
								direzione di Cerro Pelado. Questa persecuzione  
								continuò sino a  Peladero, vicino a Naguas, a 
								pochi chilometri da Estrada Palma, nel piano. 
								Già non era possibile fare di più. 
								
								Nel rapporto già citato che avevo inviato a 
								Celia, nella notte del 28 luglio, le avevo 
								scritto: 
								
								“È stato titanico lo sforzo per fermare e 
								distruggere il battaglione completo di Mosquera 
								che ha lottato  disperatamente por salvarsi, 
								lasciando morti  per tutto il  cammino. Oggi 
								contavano con l’appoggio di un battaglione di 
								rinforzo sul lato  esterno ed hanno 
								 attraversato il nostro accerchiamento a 
								Providencia, in piena fuga per tutte le 
								direzioni. Mosquera lo hanno trasportato  poco 
								prima in elicottero. La 50 non era giunta, e 
								nemmeno  il mortaio 81. Abbiamo continuato a 
								lottare per  tutto il giorno. 
								
								[...] 
								
								Abbiamo conquistato armi, munizioni, obici di 
								mortaio, etc. La gente di Mosquera ha bruciato i 
								fucili dei suoi morti, quasi tutte le munizioni 
								 del mortaio e il mortaio, per non farlo cadere 
								nelle nostre mani. Hanno lottato come egli 
								indemoniati. Ancora non posso dare dei risultati 
								 completi.  Ho seguito tutti i loro movimenti 
								con il minipak e il P.R.C-10”. 
								
								In un messaggio al Che, il giorno 29,  potevo 
								dare più dettagli: 
								
								“Nella  battaglia di Santo Domingo abbiamo perso 
								in totale 7 uomini, tra i quali Paz. 
								Nell’insieme tutta l’operazione ha dato un saldo 
								di più di cinquanta 
								
								armi. 
								
								Tutte le pallottole usate nella persecuzione di 
								Mosquera, le abbiamo recuperate. I loro morti 
								durante la persecuzione sono stati circa 30, ma 
								è un vero peccato che per una serie di errori 
								degli uomini, derivati dall’eccesso di fiducia, 
								non abbiamo distrutto l’intero battaglione”. 
								
								Il 29 luglio, il giorno dopo la conclusione 
								della la battaglia, Radio Rebelde trasmise  un 
								esteso comunicato, scritto da me, sulla 
								situazione militare, della quale citerò alcuni 
								frammenti: 
								
								“Terminata la battaglia del Jigüe, è cominciata 
								immediatamente un’altra battaglia di grande 
								importanza contro due battaglioni della tirannia 
								che operavano da Providencia verso Santo 
								Domingo, agli ordini del tenente colonnello S. 
								Mosquera. 
								
								Per quattro giorni  si è  prolungata  la lotta 
								cominciata i giorno 25 alle  12.00, 
								mezzogiorno,  contro le truppe nemiche che 
								venivano a rinforzare il battaglione 12 [11] 
								accampato a Santo Domingo e si è concluso ieri 
								alle 2 del pomeriggio  nel luogo conosciuto come 
								Peladero, vicino a  Nagua, a vari chilometri 
								dalla fabbrica di zucchero Estrada Palma. La 
								persecuzione contro il battaglione 12 [11] è 
								durata 42 ore consecutive. Sánchez Mosquera, 
								ferito gravemente alla testa, è stato evacuato  
								con un elicottero ieri  28, alle 7. 
								
								30 di mattina. 
								
								Il battaglione 12 [11] ha lasciato per tutto il 
								cammino  una scia di morti ed ha portato con sè 
								 una lunga carovana di feriti. Nel cammino ha 
								bruciato le sue munizioni dei mortai e dei 
								bazooka [...], per evitare che cadessero nelle 
								nostre mani. 
								
								Riuniti al di là di  Providencia i resti del 
								battaglione 12 [11] con l’altro Battaglione che 
								era venuto in  suo aiuto, hanno intrapreso  la 
								fuga verso Estrada Palma, sotto il fuoco delle  
								nostre truppe che lottavano con  straordinaria 
								aggressività. 
								
								Quando tutte le unità ribelli, distribuite sul 
								largo fronte, non avevano ancora riportato i 
								risultati totali di questa battaglia, sino al 
								giorno prima, il nemico aveva sofferto 46 morti 
								e 24 prigionieri; avevamo catturato 29 fucili  
								Garands, 16 mitragliatrici Cristóbal, 8 fucili 
								Springfield, migliaia di pallottole, 1 bazooka 
								con 20 proiettili, due casse  di obici di 
								mortaio calibro 60, 15 obici di mortaio calibro 
								81, più di  cento zaini ed  altri strumenti. Le 
								zone di Santo Domingo, il Salto e Providencia 
								sono state  totalmente liberate dalle truppe  
								nemiche. 
								
								Le nostre forze hanno avuto  in questa 
								sanguinosa  battaglia  7 morti e 4 feriti. [...] 
								L’Esercito Ribelle ha aumentato 
								straordinariamente i suoi strumenti di 
								 combattimento e prosegue la lotta contro i 
								resti delle  forze nemiche, che avevano 
								iniziato  la più grande offensiva militare mai 
								immaginata nella nostra Repubblica, con 14 
								battaglioni di fanteria e sette compagnie 
								 addizionali, appoggiate da una flotta aerea  da 
								unità blindate armate; ora con i bazooka prese 
								al nemico, le nostre colonne potevano battersi 
								contro i carri armati  della tirannia. 
								
								L’offensiva è divenuta una fuga disperata”. 
								
								Como diceva il comunicato  letto per Radio 
								Rebelde, in tutte quelle azioni, senza contare 
								il combattimento contro il rinforzo a Casa de 
								Piedra, il nemico aveva sofferto nientemeno  che 
								100 perdite, tra le quali 46 morti e 24 
								prigionieri. 
								
								Su catturarono più di 50 armi e migliaia di 
								pallottole. Anche se non si riuscì a realizzare 
								l’obiettivo di distruggere completamente il 
								Battaglione 11, questa  unità fu decimata e 
								disarticolata, e smise d’esistere come entità 
								combattente. Ma  la cosa più importante era che 
								il nemico si vide obbligato ad abbandonare la 
								montagna ed il settore nordest del nostro 
								territorio di base restò libero in forma 
								definitiva. Per quello, consideriamo che il 
								risultato di questa  seconda Battaglia  di Santo 
								Domingo, che più propriamente si doveva chiamare 
								 Battaglia  del fiume Yara, perchè si sviluppò 
								lungo tutto questo fiume, da  Santo Domingo e 
								sino a Providencia, costituì un’altra risonante 
								vittoria ribelle. 
								
								Non negherò che allora mi restò un gusto amaro 
								per non aver realizzato la distruzione completa 
								del  Battaglione 11. Gli errori commessi  da 
								diversi dei nostri capitani contribuirono a far 
								sì che non si ottenesse un risultato ancora più 
								assoluto, che avremmo potuto realizzare  per le 
								nostre condizioni,. 
								
								Il caso più  chiaro furono gli errori di Pinares 
								e Suñol, che si lasciarono confondere  dal 
								rumore che c’era una forza nemica alla loro 
								retroguardia e non fermarono il grosso del 
								 Battaglione di Abón Li, che si scontrò con Paz 
								a Casa de Piedra, e quello motivò una delle 
								critiche più severe  che io formulai durante 
								tutta la guerra, anche prima che le due 
								compagnie che lasciarono scappare attaccassero 
								Paz dalle alture dietro alla cima di 
								Providencia, quando preparava la linea di 
								combattimento per impedire la fuga 
								
								del Battaglione  11. 
								
								Ascoltai che da un aereo  DC-7 davano l’ordine 
								di sparare sulle alture che io avevo indicato 
								d’occupare con sufficiente anticipo, perchè la 
								posizione di Paz non fosse vulnerabile. 
								 
								
								Provai una grande amarezza  perchè udivo gli 
								ordini del nemico, ma non potevo comunicare via 
								radio con i capi dei nostri combattenti. 
								 
								
								Un altro caso fu l’arrancare irriflessivo di  
								Duque, dato che la sua squadra avrebbe potuto  
								ritardare la fuga delle guardie o anche 
								contenerla.   
								
								Ma non è il caso di fermarsi oggi su questi 
								errori che in un momento ci servirono come 
								esperienze. Quello che importava era che a 
								quell’altezza la grave minaccia  pianificata  
								per due dei tre settori dell’offensiva nemica, i 
								due più critici per il pericolo immediato che 
								rappresentavano per il nucleo centrale del 
								nostro territorio attorno a La Plata, era stata 
								completamente liquidata.  
								
								Ora dovevamo liquidare la terza, e per quello 
								eravamo in ottime condizioni. 
 |