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                              LA VITTORIA 
                              STRATEGICALa preparazione della difesa del nostro territorio
 
 (Capitolo 2º)
 
 Il fallimento 
                              dello sciopero d’aprile stimolò i comandi militari 
                              della tirannia ad accelerare i piani della grande 
                              offensiva che stavano preparando contro l’Esercito 
                              Ribelle ed, in particolare, contro il territorio 
                              del Primo Fronte, dalla sconfitta della campagna 
                              d’ inverno. Com’è già stato spiegato, l’offensiva, 
                              accuratamente organizzata durante vari mesi, aveva 
                              il proposito d’annichilire il nucleo centrale 
                              delle nostre forze.Il nemico si proponeva di penetrare nella zona di 
                              La Plata, da tre direzioni convergenti, di 
                              altrettanti gruppi nemici organizzati, preparati 
                              ed equipaggiati specialmente per quella campagna, 
                              ed appoggiati con tutti i mezzi disponibili. In 
                              totale furono lanciati contro le montagne 10,000 
                              uomini, artiglieria, aviazione, unità navali, 
                              carri armati ed un abbondante appoggio logistico, 
                              in un’operazione considerata definitiva.
 
 Il fattore determinante fu il fallimento dello 
                              sciopero generale rivoluzionario, con 
                              l’inevitabile valutazione realizzata dagli 
                              strateghi della tirannia che quel rovescio avrebbe 
                              provocato la nostra demoralizzazione.
 
 Nei giorni immediatamente successivi al 9 aprile, 
                              il tema della probabile offensiva cominciò ad 
                              essere la preoccupazione fondamentale.
 
 Era evidente la trascendenza che aveva la tappa 
                              che si avvicinava per lo sviluppo ulteriore della 
                              lotta rivoluzionaria. Eravamo coscienti che la 
                              nuova offensiva nemica sarebbe stata la più forte, 
                              organizzata e ambiziosa di tutte, tra le altre 
                              ragioni, perchè sarebbe stata l’ultima che il 
                              regime di Batista era in condizione di preparare. 
                              Per la tirannia si trattava di una battaglia 
                              decisiva e quindi ci si poteva aspettare che si 
                              sarebbe impegnato in questa con tutte le sue 
                              risorse.
 
 A quelle altezze della guerra, lo stabilimento di 
                              una serie d’installazioni sedentarie,
 d’appoggio all’azione della nostra guerriglia, 
                              rese possibile l’apparizione di un territorio base 
                              nel quale cominciava a funzionare 
                              un’infrastruttura importante per l’attività 
                              militare.
 
 Dovevamo afferrarci al terreno e discutere ogni 
                              metro d’accesso ai punti dove si ubicavano le 
                              installazioni fondamentali già segnalate.
 
 D’altra parte, il grado di maturità delle nostre 
                              forze, evidenziato già nel febbraio del 1958 nell’operazione 
                              di Pino del Agua, ci permetteva di cominciare ad 
                              applicare tattiche e movimenti combinati più 
                              complessi, a differenza di quelli sviluppati 
                              durante tutto il primo anno di guerra, la cui 
                              caratteristica principale era l’azione tipica 
                              della guerriglia.
 
 Non avevamo altra alternativa che sconfiggere 
                              quella forza, che avrebbe cercato di
 compiere la sua missione in accordo con strategie 
                              e tattiche classiche. Nè loro, nè noi eravamo 
                              passati per una simile esperienza. La differenza 
                              delle risorse era enorme. Per un simile avversario, 
                              i nostri combattenti erano civili armati che non 
                              avrebbero mai potuto resistere all’attacco delle 
                              unità regolari.
 
 Se occupavano il territorio non lo avrebbero 
                              sostenuto e noi lo avremmo recuperato di nuovo, ma 
                              quale sarebbe stato l’effetto dell’occupazione di 
                              quegli obiettivi per il popolo, già colpito dal 
                              fallimento dello sciopero? Anche creando tutto di 
                              nuovo, quali sarebbero state le conseguenze per 
                              tutte le case bruciate, le installazioni distrutte, 
                              le piantagioni e il bestiame perduto ed i 
                              contadini senza casa?
 
 Durante le settimane che precedettero l’inizio 
                              del’offensiva, nella misura in cui si meditavano e 
                              si soppesavano tutte le alternative, si sviluppò 
                              il piano che in definitiva applicammo, per il 
                              quale ci si basava nella intima conoscenza 
                              acquisita del terreno e delle sue possibilità. In 
                              essenza il piano consisteva nel’organizzare una 
                              difesa scalgionata del nostro territorio base, che 
                              permettesse di resistere metro a metro all’avanzata 
                              del nemico frenandolo e attaccandolo sino a 
                              fermarlo, mentre concentravamo le nostre forze in 
                              attesa del momento opportuno per sferrare il 
                              contrattacco. Anche quando il nemico avesse 
                              raggiunto i suoi obiettivi, le nostre forze 
                              avrebbero mantenuto l’assillo costante contro le 
                              sue truppe e le linee di rifornimento, 
                              assolutamente sicuri che non le avrebbero potute 
                              sostenere.
 
 In un messaggio datato 8 maggio, il capitano Ramón 
                              Paz spiegava:
 
 “Per tutte le strade faremo resistenza, ripiegando 
                              lentamente verso la maestra, trattando di 
                              provocare loro il maggior numero di morti e feriti”.
 
 “Se il nemico riuscisse ad invadere tutto il 
                              territorio, ogni plotone deve trasformarsi in 
                              guerriglia e combattere il nemico, intercettandolo 
                              su tutte le strade, per poi farlo uscire di nuovo. 
                              Questo è un momento decisivo. Si debe combattere 
                              come non mai.
 
 Questa seconda variante significava ritornare, 
                              fondamentalmente, alla situazione dei primi mesi 
                              della guerra, ma con molte più armi ed esperienza. 
                              In ogni caso, non avevamo il minor dubbio che in 
                              breve tempo avremmo recuperato il territorio, 
                              perchè non avrebbero sostenuto il terribile 
                              logoramento che avremmo provocato al nemico. Solo 
                              che con la seconda opzione, la guerra si sarebbe 
                              prolongata più tempo ed avremmo sofferto 
                              momentaneamente la perdida di quelle installazioni 
                              che ci proponevamo di difendere. La maggioranza 
                              tra queste erano sorte nei primi mesi del 1958 nei 
                              dintorni del massiccio di La Plata. Questo era un 
                              luogo con ottime condizioni per la sua ubicazione 
                              nel cuore della montagna, in una zona d’accesso 
                              relativamente difficile, quasi nel centro stesso 
                              del territorio ribelle del Primo Fronte, popolato 
                              da poche famiglie contadine con provato spirito di 
                              collaborazione con la nostra lotta. Per queste 
                              stesse ragioni, il luogo era stato utilizzato con 
                              molta frequenza da me, come Comando di transito, 
                              soprattutto nei modesti terreni dei contadini 
                              Julián Pérez, conosciuto con il soprennome di 
                              Santaclarero, e di Osvaldo Medina.
 
 E per questo fu a La Plata che decisi di 
                              trasferire in aprile l’emittente Radio Rebelde, 
                              attorno alla quale si concretò la creazione nei 
                              mesi successivi del Quartiere Generale.
 
 Il 13 aprile partii dalla zona di La Plata per il 
                              Comando del Che a La Mesa. La dura camminata, che 
                              feci a marce forzate, perchè non mi sentivo molto 
                              bene in quei giorni, era necessaria per varie 
                              ragioni. In primo luogo, mi pareva imprescindible 
                              utilizzare le
 possibilità dell’emittente Radio Rebelde, che 
                              funzionava dalla fine di febbraio in quella zona, 
                              per comunicare con il popolo e infondere coraggio 
                              dopo il rovescio dello sciopero.
 Dovevamo annunciare che la nostra lotta non solo 
                              proseguiva, ma che era sempre più efficace ed 
                              organizzata.
 Inoltre, il giornalista argentino Jorge Ricardo 
                              Masetti voleva intervistarmi.
 Io, soprattutto, desideravo approfittare della 
                              visita a La Mesa per conversare con il Che sulla 
                              nuova situazione creata con il fallimento del 9 
                              aprile e sull’offensiva nemica, che consideravamo 
                              già sicura.
 
 Il 16 aprile parlai da Radio Rebelde per la prima 
                              volta. Nel mio discorso analizzai le ragioni del 
                              fallimento dello sciopero rivoluzionario del 9 
                              aprile, denunciai alcuni dei crimini più recenti 
                              della tirannia, come il selvaggio bombardamento 
                              sul paese di Cayo Espino e la morte del bambino 
                              Orestes Gutiérrez, e proclamai la mia fiducia 
                              assoluta nella vittoria.
 
 Ignoravo quante persone in Cuba ascoltavano la 
                              recentemente creata Radio Rebelde, ma vedevo in 
                              lei uno strumento essenziale come veicolo 
                              d’informazione e divulgazione, ed anche come mezzo 
                              di comunicazione con l’estero.
 Spiegai al Che la necesita di disporre il 
                              trasferimento dell’emittente, creata da lui, nella 
                              zona di La Plata, più strategica e con sufficienti 
                              forze per difenderla. Gli abnegati e competenti 
                              tecnici di Radio Rebelde, con Eduardo Fernández in 
                              testa, realizzarono
 in meno di 10 giorni la prodezza di smontare gli 
                              strumenti, trasferirli sui muli per mezza Sierra 
                              Maestra ed installarli nuovamente. Già alla fine 
                              di aprile avevamo la comunicazione diretta con 
                              l’estero, ed il 1º maggio, Radio Rebelde 
                              trasmetteva di nuovo, stavolta dalla sua 
                              definitiva sistemazione a La Plata. Sarebbe 
                              servita, inoltre, per comunicare con il Secondo 
                              Fronte Orientale e con quello di Juan Almeida a 
                              Santiago di Cuba.
 
 Un’altra decisione chiave presa in quel viaggio fu 
                              il trasferimento del Che al territorio ubicato a 
                              ovest del Turquino, con una missione immediata: 
                              organizzare la nostra nascente scuola di reclute, 
                              progetto al quale si doveva dare un nuovo impulso 
                              in previsione dell’offensiva nemica e dei nostri 
                              piani ulteriori, dopo la sua sconfitta. Di fatto, 
                              già dalla fine di marzo aveva cominciato a 
                              funzionare a Minas de Frío un rudimentale centro 
                              d’istruzione per i combattenti appena giunti, per 
                              il quale avevamo ottenuto la collaborazione piena 
                              d’entusiasmo di Evelio Laferté, tenente dell’Esercito 
                              nemico, fatto prigioniero nel Combattimento di 
                              Pino del Agua, che aveva espreso la sua 
                              disposizione d’integrarsi alle fila dei ribelli. 
                              Sino alla metà di aprile, il pugno di reclute 
                              destinate a questa scuola d’instruzione avevano 
                              realizzato pratiche elementari di marcia, tattica 
                              e arma e disarma. La nostra proverbiale carenza di 
                              risorse c’impediva di realizzare esercitazioni con 
                              tiri reali, non avevamo le condizioni per questo.
 
 In realtà, l’idea era che il Che s’incaricasse 
                              dell’instruzione delle reclute, come compito 
                              immediato per dare un impulso all’istruzione che 
                              necessitavamo. Lì sarebbe stato disponibile per 
                              qualsiasi altra missione più importante.
 
 Non dico nulla di nuovo se ripeto qui che io nel 
                              Che avevo un compagno che stimavo molto, tanto dal 
                              punto di vista della sua capacità quanto dal suo 
                              provato disinteresse e coraggio personali. A Minas 
                              de Frío, lui si poteva occupare dell’attenzione 
                              diretta ai preparativi per la difesa del settore 
                              occidentale del nostro territorio centrale. Giunto 
                              il momento del combattimento, gli si poteva 
                              affidare, se fosse stato necessario, la conduzione 
                              della difesa di tutto quel settore, come di fatto 
                              avvenne.
 Il Che comprese i miei argomenti e si dispose 
                              volentieri a cumpiere le sue nuove funzioni. Il 
                              comando della Colonna 4 restò, dalla sua partenza 
                              da La Mesa nelle mani del comandante Ramiro 
                              Valdés, che sino ad allora era stato il secondo 
                              capo della colonna.
 
 Vicino a La Plata, nella fattoria del 
                              collaboratore contadino Clemente Verdecia, nel 
                              quartiere El Naranjo, funzionava da un certo tempo 
                              un’armeria ribelle di cui era responsabile il 
                              capitano Luis Crespo. Nel rustico laboratorio si 
                              riparavano le armi difettose e si fabbricavano 
                              vari tipi di mezzi utilizzati dai nostri uomini 
                              nei combattimenti: granate, bombe a mano, 
                              proiettili conosciuti come M-26, con le armi 
                              adattate per lanciarli.
 
 Una delle responsabilità dell’armeria era la 
                              confezione della maggior quantità possibile di 
                              mine che le nostre forze potevano utilizzare nelle 
                              imboscate fatte al nemico in movimento. La tattica 
                              di far scoppiare una mina sulla strada dell 
                              avanguardia di una truppa in marcia ci aveva dato 
                              buoni risultati, per il doppio effetto dei morti e 
                              feriti che provocava e la confusione che creava. 
                              Da molto tempo avevamo imparato che una truppa in 
                              movimento è valida tanto quanto la sua avanguardia 
                              e quindi sconcertare, inutilizzare e, nel migliore 
                              dei casi, liquidare l’avanguardia, era una delle 
                              nostre tattiche principali.
 
 In quel lavoro di fabbricazione delle mine, 
                              Crespo, che aveva partecipato alla spedizione del 
                              Granma come i suoi collaboratori, si era impegnato 
                              con molto successo. Quando giunse l’offensiva, 
                              quasi tutte le nostre squadre e plotoni 
                              disponevano di manufatti di questo tipo utilizzati 
                              molte volte con abbastanza efficacia.
 
 Per garantire quel lavoro si doveva effettuare la 
                              raccolta , per tutte le vie, degli elementi 
                              necessari per costruire le mine, dal metallo ai 
                              detonatori ed ai fili. Non ci mancò mai 
                              l’esplosivo d’alta qualità, perchè alcune delle 
                              bombe che l’aviazione lanciava contro di noi quasi 
                              tutti giorni, non esplodevano permettendoci 
                              d’estrarre la carica. A volte, ne facevamo 
                              scoppiare una completa ai piedi di un’avanguardia.
 
 A partire da aprile il compito di raccogliere il 
                              materiale si accelerò con tutti i nostri vincoli. 
                              Anche gli anelli delle cinte delle mitragliatrici 
                              e i bossoli delle pallottole sparate dagli aerei 
                              nemici erano utili nell’armeria come materia 
                              prima, ed i nostri uomini avevano l’istruzione di 
                              raccogliere tutto quello che incontravano e di 
                              inviarlo all’armeria di Crespo a El Naranjo.
 
 Alla metà d’aprile, un piccolo gruppo di donne, 
                              incaricate della confezione delle uniformi, 
                              s’installò a sua volta nell’armeria di El Naranjo, 
                              dove c’erano migliori condizioni per lavorare e 
                              ricevere le merci necessarie. In questa stessa 
                              epoca cominciammo a fare i passi per montare un 
                              primo laboratorio che pensavamo di far funzionare 
                              per la concia delle pelli, che potevano servire 
                              come materiali per fabbricare stivali e scarpe. 
                              Quel lavoro aveva l’obiettivo di sostituire in 
                              parte il rifornimento esterno, cioè l’acquisto di 
                              vestiti e calzature.
 
 I nostri primi ospedali e e scuole cominciarono a 
                              sorgere nella zona di La Plata. Dalla fine di 
                              marzo era cominciata la costruzione di un ospedale 
                              a Camaroncito, vicino al fiume La Plata, a carico 
                              del dottor Julio Martínez Páez. Questa 
                              installazione non si terminò mai totalmente, anche 
                              se prestò servizio medico sin dal primo momento, 
                              ed in piena offensiva fu molto danneggiata dalla 
                              crescita del fiume. Il personale medico di quel 
                              piccolo ospedale si trasferì a La Plata, dove 
                              funzionò con carattere provvisorio durante la 
                              maggior parte della battaglia, in una delle prime 
                              installazioni costruite specialmente, come parte 
                              di quello che sarebbe divenuto il nostro Quartiere 
                              Generale.
 
 Alla fine di marzo, inoltre, si erano incorporati 
                              alle nostre fila i dottori René Vallejo e Manuel, 
                              Piti, Fajardo con alcuni aiutanti provenienti 
                              dalla città di Manzanillo, dove Vallejo lavorava 
                              in una clinica privata sino al momento in cui le 
                              sue attività d’appoggio alla lotta clandestina del 
                              Movimento lo obbligarono a prendere il cammino 
                              della montagna. Quel gruppo s’installò in un luogo 
                              conosciuto come Pozo Azul, vicino a La Habanita, 
                              nel fondo di una profonda valle di difficilissimo 
                              accesso via terra e praticamente inmune agli 
                              attacchi dell’aviazione. Lì, in una rustica 
                              installazione costruita appositamente con l’aiuto 
                              degli abitanti della zona, avviarono quello che fu 
                              di fatto il primo ospedale fisso del nostro Primo 
                              Fronte.
 
 Il piccolo ospedale di Pozo Azul funzionò sino all’inizio 
                              dell’offensiva nemica, quando decidemmo di 
                              trasferire le sue facilità verso la zona di La 
                              Plata, di fronte al pericolo che il nemico potesse 
                              occupare quel luogo, cosa che, in definitiva, non 
                              accadde. Vallejo s’installò durante la maggior 
                              parte dell’offensiva in una casa contadina a 
                              Rincón Caliente, a metà strada tra la casa del 
                              Santaclarero e il quartiere di Jiménez.
 
 Un’altra delle installazioni stabilite nella zona 
                              di La Plata era una specie di carcere ribelle, 
                              diretto dal capitano Enrique Ermus, al quale 
                              qualcuno spiritosamente aveva dato il nome di 
                              Puerto Malanga, perchè se la tirannia aveva un 
                              carcere a Puerto Boniato, la nostra prigione si 
                              doveva chiamare come il tubero salvezza dei 
                              ribelli. A Puerto Malanga, in
 una delle capanne costruite all’effetto nel fondo 
                              della gola del fiume La Plata, più in alto di 
                              Camaroncito, custodivamo non solo le guardie che 
                              avevamo catturato e che per qualche ragione di 
                              sicurezza non erano state liberate, ma anche 
                              quelli tra i nostri combattenti che dovevano 
                              scontare una condanna per a ver commesso azioni d’ 
                              indisciplina o un’azione che poteva essere 
                              definita un delitto. Il carcere di Puerto Malanga 
                              disimpegnò un certo ruolo da protagonista nella 
                              pianificazione nemica, come vedremo al suo 
                              momento.
 
 Nel pomeriggio del 30 marzo atterrò nella zona di 
                              Cienaguilla un piccolo aereo proveniente dalla 
                              Costa Rica, la prima spedizione che portava 
                              rinforzi dall’estero. Nell’aereo viaggiavano Pedro 
                              Miret, Pedrito; Evelio Rodríguez Curbelo, Huber 
                              Matos e altri quattro o cinque compagni. Il carico 
                              comprendeva due mitragliatrici calibro 50, una 
                              dozzina di fucili - tra i quali alcune carabine 
                              semiautomatiche italiane di marca Beretta - 
                              proiettili per i nostri mortai e circa 100.000 
                              munizioni, inviate da un influente amico di quel 
                              paese. L’aereo non ripartì per difetti tenici e lo 
                              dovemmo incendiare per evitare la su 
                              identificazione da parte del nemico. Pedro Miret, 
                              eccellente compagno e quadro, che fu ferito e 
                              condannato nella Moncada, e arrestato in Messico 
                              tre o quattro giorni prima della partenza del 
                              Granma, quando gli sequestrarono un lotto di armi, 
                              s’incorporò con gli altri alle nostre forze.
 
 Il successo di quel primo tentativo di ricevimento 
                              di rifornimenti dall’estero per via aerea ci 
                              motivò a dare un impulso al piani di costruzione 
                              di una pista dove potessero atterrare aerei 
                              leggeri, ubicata in un luogo relativamente 
                              protetto dentro il nostro territorio centrale. 
                              Come si poteva supporre, non c’erano in montagna 
                              molti luoghi che si prestavano a questo, ma per 
                              fortuna incontrammo un luogo, che riuniva 
                              condizioni abbastanza buone, vicino al fiume La 
                              Plata, più o meno alla metà del suo corso, allo 
                              sbocco del ruscello Manacas. Quel punto, nella 
                              valle del fiume, era largo e creava uno spazio 
                              piano, di estensione sufficiente per permettere 
                              l’atterraggio di piccoli aerei. Chiamata con il 
                              nome in chiave Alfa, la pista aerea di Manacas 
                              cominciò ad essere immediatamnete preparata da un 
                              gruppo dei nostri uomini.
 
 Il rifornimento dall’estero diveniva così per la 
                              prima volta un fattore importante nei nostri piani, 
                              ed era sintomatico il cambio qualitativo della 
                              guerra nella montagna. Sino a quel momento, la 
                              nostra guerriglia si era svolta fondamentalmente 
                              con le armi strappate in combattimento al nemico. 
                              Continuavamo a farlo, ma con le nuove circostanze 
                              sembrava conveniente creare le condizioni 
                              appropriate per poter disporre di un rifornimento 
                              bellico addizionale aggiungere quello dei 
                              combattimenti. Senza dubbio, le esperienze più 
                              recenti, ed in particolare la perdita di un 
                              importante lotto di armi che portava una 
                              spedizione da El Corojo, catturate dal nemico a 
                              Pinar del Río al principio d’aprile, mi facevano 
                              dubitare delle possibilità reali degli 
                              organizzatori del Movimento nell’esilio, e mi 
                              convinsero della necessità di organizzare 
                              direttamente i nostri propri meccanismi di 
                              rifornimento. Quella fu una delle questioni alle 
                              quali dedicammo parecchi sforzi durante le 
                              settimane precedenti l’offensiva nemica, e 
                              un’altra delle ragioni per le quali era necessaria 
                              la vicinanza dell’emittente Radio Rebelde, che 
                              serebbe stata il veicolo principale per il 
                              contatto con l’estero.
 
 Senza dubbi, un tema che richiedeva un’attenzione 
                              prioritaria era l’urgente necessità di ammassare 
                              la maggior quantità possibile di munizioni e altre 
                              risorse belliche, sempre scarse per le nostre 
                              forze. Basti dire che nelle settimane precedenti 
                              l’inizio dell’ offensiva nemica, c’erano squadre 
                              ribelli le cui armi semiautomatiche contavano 
                              appena con una dozzina di pallottole. Un eloquente 
                              commento di Celia Sánchez in uno dei suoi messaggi 
                              conservati dei primi giorni d’aprile diceva: "Quando 
                              la storia si scriverà, questa parte non la 
                              crederanno. Noi ci siamo difesi con il M-26".
 
 È fu così, quasi letteralmente. Non furono pochi i 
                              soldati ribelli che andavano a combattere in quell’epoca 
                              armati solo di alcuni dei nostri proiettili 
                              casalinghi, ai quali avevamo dato il nome di M-26, 
                              che in pratica facevano più rumore che altro. 
                              Questo fatto, a proposito, non impedì ai portavoce 
                              della tirannia d’inventare, poco prima dell’offensiva, 
                              la ridicola menzogna che, dopo un combattimento 
                              contro i ribelli, l’Esercito aveva trovato una 
                              grande quantità di bossoli russi, fatto che 
                              evidenziava i nostri vincoli comunisti, anche se 
                              non c’era un solo russo in tutta la Sierra ed io 
                              non ne avevo conosciuto nessuno.
 
 Per questo, nella questione dell’uso delle 
                              munizioni , la nostra politica era inflessibile. 
                              Da una parte, l’esortazione costante ai 
                              combattenti di risparmiare al massimo le 
                              pallottole nei combattimenti, ed il castigo di non 
                              inviare rifornimenti di pallottole a coloro che le 
                              sperperavano in modo evidente. Stabilimmo anche un 
                              controllo stretto di tutte le armi e la pallottole 
                              occupate che dovevano essere inviate 
                              immediatamente al posto di comando in quel 
                              momento, poichè personalmente mi occupai della 
                              distribuzione di quelle risorse essenziali.
 
 Una conseguenza logica della nostra linea 
                              strategica difensiva era la preparazione adeguata 
                              del terreno in cui si sarebbe sviluppata la difesa 
                              nella prima fase dell’offensiva. Per questo la 
                              costruzione di trincere, rifugi e tunnel divenne, 
                              dalle settimane d’inizio del mese d’aprile, una 
                              delle priorità principali. Se la mia insistenza 
                              nella conservazione delle munizioni era costante 
                              in tutte le mie conversazioni e comunicazioni 
                              scritte con i capi delle unità ribelli, non meno 
                              persistente era la mia raccomandazione che si 
                              dedicassero appieno alla costruzione di trincee 
                              nei luoghi più strategici della loro zona 
                              specifica d’operazione. La mia aspirazione era che 
                              quando il nemico avesse attaccato, i nostri uomini 
                              dovevano occupare posizioni fortificate dalle 
                              quali fossero capaci d’offrire una resistenza 
                              molto più efficace e prolungata, e che quando 
                              avessero dovuto ripiegare, lo facessero a linee 
                              successive di trincee. Ed assieme a queste, per 
                              combattere, i rifugi per proteggersi dall’aviazione. 
                              In una parola, trasformare la Sierra in un vero 
                              congiunto di fronte al quale il nemico avrebbe 
                              dovuto impegnarsi più a fondo.
 
 Un altro elemento importante nei preparativi fu 
                              l’inizio dell’installazione di una rete di 
                              telefoni tra i punti chiave del territorio ribelle. 
                              Sino a quel momento, la comunicazione tra le 
                              nostre forze era avvenuta esclusivamente mediante 
                              messaggeri, in generale contadini della Sierra 
                              incorporati alle fila ribelli, che conoscevano 
                              palmo a palmo il
 terreno, ed erano allenati come una cosa naturale 
                              a coprire lunghe distanze tra le montagne in tempi 
                              straordinariamente brevi. Però la prevedibile 
                              dinamica delle azioni, una volta cominciata 
                              l’offensiva, che si sarebbe sviluppata in un 
                              teatro d’operazioni abbastaza esteso, consigliava 
                              l’applicazione di un sistema di vincoli capaci di 
                              garantire comunicazioni quasi istantane, 
                              soprattutto considerando che il nemico disponeva 
                              dei mezzi più moderni dell’epoca per le sue 
                              comunicazioni.
 
 La soluzione era il telefono, che necessitava 
                              l’ottenimento degli apparecchi e dei cavi 
                              sufficienti. In aprile le pattuglie di fucilieri 
                              ribelli che operavano alle falde della Sierra 
                              ricevettero l’ordine di raccogliere ogni metro di 
                              cavo telefonico che potevano localizzare nei 
                              villaggi operai delle fabbriche di zucchero, nei 
                              vincoli ferroviari, nelle colonie e i villaggi 
                              della premontagna e sulla costa del golfo di 
                              Guacanayabo. Presto cominciammo a ricevere quegli 
                              oggetti ed iniziò l’arduo compito di tendere le 
                              linee tra i punti selezionati che in una prima 
                              fase furono le installazioni che si utilizzavano 
                              come quartiere generale ancora provvisorio a La 
                              Plata, e quelle abilitate nella parte alta di 
                              Mompié, vicino alla casa della famiglia con lo 
                              stesso nome, nello stesso terreno della Maestra, 
                              che avevamo denominato Miramar del Pino.
 
 Assieme a tutti questi preparativi esisteva il 
                              problema del rifornimento alimentare della 
                              popolazione contadina e dei nostri combattenti, 
                              che si faceva critico considerando il blocco della 
                              montagna stabilito dal nemico, che cominciavano a 
                              rafforzare in previsione dell’ offensiva.
 
 Come parte delle misure per la creazione di una 
                              base alimentare il più autosufficiente possibile 
                              per il caso di un blocco effettivo e prolungato 
                              della montagna, prendemmo all’epoca la decisione 
                              di prendere la maggior quantità possibile di 
                              bestiame dalle fattorie vicine alla Sierra, che 
                              appartenevano a grandi proprietari terrieri o ad 
                              individui vincolati alla tirannia, con 
                              l’intenzione di trasferire i bovini sulla montagna 
                              e distribuirli convenientemente per garantire, 
                              giunto il momento, un rifornimento di latte e 
                              carne per la popolazione contadina e per i ribelli. 
                              A partire dalle prime settimane d’aprile, le 
                              nostre pattuglie furono inviate in distinte 
                              direzioni per iniziare questa raccolta, che 
                              riguardò di fatto tutte le maggiori fattorie e gli 
                              allevamenti della costa e della premontagna, 
                              includendo anche le vicinanze di Bayamo.
 
 Per quella data tutti i nostri capi ed i 
                              collaboratori contadini avevano ricevuto 
                              istruzioni precise su quello che dovevano fare con 
                              il bestiame esistente nella Sierra e con quello 
                              che si stava portando dal piano. Tra le altre 
                              cose, non si poteva disporre di una sola mucca 
                              senza l’ordine preciso, e fu proibito il 
                              sacrificio delle femmine. Si dispose, inoltre, la 
                              realizzazione di un censimento dei bovini in tutto 
                              il territorio ribelle. L’ intenzione era di porre 
                              un po d’ordine e stabilire un controllo della 
                              distribuzione dei bovini esistenti nel nostro 
                              territorio, in previsione delle misure che, senza 
                              dubbio alcuno, avremmo dovuto prendere una volta 
                              cominciata l’offensiva e stabilito il blocco 
                              fisico delle montagne.
 Un altro problema critico era quello del sale. 
                              Come parte delle idee per assicurare il 
                              rifornimento alimentare durante il blocco avevamo 
                              progettato di porre in funzione una piccola 
                              installazione per l’elaborazione di carne salata, 
                              per la quale avevamo come luogo la casa di Radamés 
                              Charruf, un vicino del quartiere di Jiménez, con 
                              la responsabilità
 del combattente Gello Argelís. Evidentemente, la 
                              fabbrica di carne salata di Jiménez, la “tasajera” 
                              (da tasajo), come la si chiamava da quando 
                              cominciò a funzionare alla metà di maggio, non lo 
                              poteva fare senza carne, per cui pensammo di 
                              destinare una parte del bestiame raccolto nel 
                              piano, e tantomeno senza sale abbondante, per cui 
                              dovevamo assicurarne il rifornimento.
 
 La soluzione era ovvia. Il nostro territorio 
                              terminava a Sud con il mare. Per cui si trattava 
                              d’organizzare in alcuni luoghi selezionati della 
                              costa una produzione di sale a grande scala con i 
                              metodi tradizionali d’asciugatura al sole dell’acqua 
                              di mare. Quello fu il compito che per le 
                              raccomandazioni di Celia, assegnammo alla metà 
                              d’aprile al combattente José Ramón Hidalgo, 
                              conosciuto come Rico, che scelse per quello 
                              diverse spiagge attorno a Ocujal.
 
 Il rifornimento di benzina, petrolio, cherosene ed 
                              altri combustibili assumeva un significato 
                              speciale, per via del funzionamento dell’emittente 
                              e di vari generatori in alcune installazioni, come 
                              la “tasajera”, che li necessitavano. Era un altro 
                              compito per noi, con i già difficili meccanismi di 
                              rifornimento, ai quali si dovevano aggregare nuove 
                              voci all’incessante raccolta di viveri, medicinali 
                              ed altre merci, ed alla quale dovevamo imporre un 
                              ritmo ancora più intenso.
 Va detto che durante quele settimane prima dell’inizio 
                              dell’offensiva, la nostra attività di retroguardia 
                              crebbe e fu all’altezza delle richieste. Il cuore 
                              di quel lavoro, allora più che mai, fu Celia. Da 
                              Vegas de Jibacoa, dove aveva installato la sua 
                              base delle operazioni per le favorevoli condizioni 
                              del luogo, fu lei che coordinò e fomentò tutto 
                              quel lavoro. Grazie, in gran misura, ai suoi 
                              sforzi, i nostri riforniementi continuarono a 
                              fluire e riuscimmo a creare riserve minime che 
                              furono decisive nei momenti cruciali dell’offensiva. 
                              Fu sempre Celia l’incaricata dell’organizzazione 
                              della produzione del sale, della fabbricazione del 
                              formaggio, della cura degli orti, della cura e 
                              l’allevamento di maiali e polli. Tutto questo 
                              unito alla sua attenzione per il cumulo crescente 
                              di temi generati dall’organizzazione e 
                              l’amministrazione del territorio ribelle, e alla 
                              sua cooperazione nei rifornimenti dei mezzi e 
                              delle ferramenta per la construzione delle trincee, 
                              oltre alla moltiplicazione dei contatti al di 
                              fuori della Sierra per ottenere informazioni, 
                              denaro ed altri servizi.
 
 Anche se tutti gli indizi facevano supporre che lo 
                              sforzo del nemico si sarebbe concentrato nella 
                              zona di quello che avremmo potuto chiamare il 
                              Primo Fronte, lo schema difensivo che pensavamo 
                              d’applicare contemplava, in essenza, lo 
                              spiegamento delle nostre stesse forze, cioè, solo 
                              del personale delle tre colonne su cui contavamo 
                              nel fronte. In quella prima fase preparatoria la 
                              sola cosa addizionale che feci fu chiedere ad 
                              Almeida che si trasferisse di nuovo nella nostra 
                              zona per rafforzarci con una parte del personale 
                              del Terzo Fronte Orientale, mentre il resto doveva 
                              rimanere nel suo territorio per cercare di 
                              contenere qualsiasi iniziativa nemica in quella 
                              zona e fare presione dalla retroguardia sulle 
                              truppe coinvolte nell’offensiva. Nel caso dei 
                              gruppi di Camilo e di Orlando Lara nel piano, 
                              l’idea iniziale era che si mantenessero nelle loro 
                              zone d’operazione per attuare a loro volta sulla 
                              retroguardia del nemico. Senza dubbio al principio 
                              di maggio ordinai a Lara di rafforzarci con il suo 
                              piccolo gruppo di guerriglieri nel settore a 
                              nordovest. E già in giugno, prevedendo il momento 
                              più crítico dell’offensiva nemica, inviai per due 
                              vie le instruzioni a Camilo per indicargli il 
                              momento in cui doveva rafforzarci con 20 o 30 
                              agguerriti combattenti. In quanto a Raúl, per la 
                              distanza e l’importanza della sua missione, non 
                              muovemmo un solo uomo dal Secondo Fronte Orientale.
 
 Alla fine d’aprile, il settore nordovest del 
                              nostro territorio era difeso solo da varie squadre: 
                              quelle di Angelito Verdecia e Dunney Pérez Álamo, 
                              sul cammino del Cerro Pelado a Las Mercedes; 
                              quelle di Andrés Cuevas e Marcos Borrero, sul 
                              cammino di Arroyón; e quelle di Raúl Castro 
                              Mercader e Blas González, sul cammino di Cayo 
                              Espino, mentre il personale della colonna di 
                              Crescencio Pérez proteggeva gli accesssi a questi 
                              luoghi da Cienaguilla. Nel settore nordest 
                              contavamo con le forze della Colonna 4 nella zona 
                              di Minas de Bueycito - alle quali rapidamente si 
                              sarebbe incorporato il rinforzo inviato da Almeida 
                              dal Terzo Fronte, al comando del capitano 
                              Guillermo García, con il plotone di Eduardo 
                              Sardiñas Labrada, “Lalo”, a Los Lirios de Naguas e 
                              con la squadra al comando di Eduardo Suñol 
                              Ricardo, “Eddy”, a Providencia. A Sud operavano 
                              solamente, tuttavia in quel momento, alcune 
                              pattuglie di fucilieri. Il numero totale dei 
                              nostri combattenti, quando iniziò l’offensiva, non 
                              superava i 230 uomini con armi da guerra.
 
 L’8 maggio giunsero notizie che il nemico aveva 
                              sbarcato le truppe a Sud, a El Macho ed a Ocujal. 
                              In definitiva, poche ore dopo fu confermato che si 
                              trattava solo di un falso allarme. Però in un 
                              primo momento tutto sembrava indicare che eravamo 
                              in presenza dei primi passi della sperata 
                              offensiva. "Considero che da un momento all’ altro 
                              cominceranno ad avanzare da distinti punti", 
                              scrissi a Ramón Paz alle 22.00 dello stesso giorno 
                              8, pochi minuti dopo aver ricevuto le prime 
                              informazioni sui presunti sbarch. E a Celia 
                              reiterai la stessa impressione in un altro 
                              messaggio, e le aggiunsi:
 
 “Dobbiamo affrontarli con tutta l’energia. Credo 
                              che abbiano anticipato un pò, ma tuttavia è il 
                              tempo. È un gran peccato che abbiamo così pochi 
                              detonatori e fulminanti, ma, che fare? Sono sicuro 
                              che li possiamo combattere con successo. Vedremo 
                              se avanzano d’ immediato, o se ci danno magari due 
                              o tre giorni, cosa che non credo.
 
 Quella notte cominciai a stabilire tutte le 
                              disposizioni necessarie per distribuire le nostre 
                              forze poco numerose tra i principalesi punti 
                              chiave. In quello stesso messaggio a Paz, ordinai 
                              al capitano ribelle di avanzare "a marce forzate 
                              verso Santo Domingo". Doveva lasciare là il 
                              personale del plotone di Francisco Cabrera Pupo, 
                              “Paco”, la cui missione
 sarebbe stata difendere il cammino da Estrada 
                              Palma a Santo Domingo, lungi il fiume Yara, 
                              all’altezza di Casa de Piedra. Dopo Paz si doveva 
                              trasferire a Palma Mocha e posizionarsi nel 
                              cammino che saliva lungo il fiume con lo stesso 
                              nome, all’altezza della casa del collaboratore 
                              contadino Emilio Cabrera, nel luogo noto come El 
                              Jubal. Da quella sa posizione poteva affrontare 
                              qualsiasi forza nemica che tentasse di penetrare 
                              dalla costa lungo il fiume Palma Mocha, che 
                              assieme a quello de La Plata erano le due vie più 
                              dirette d’accesso al nostro territorio centrale 
                              dal sud. Tanto Paz come Cuevas erano capitani di 
                              plotoni, uno era un minatore di Charco Redondo e 
                              l’altro proveniva da Las Villas: i due erano 
                              eccellenti capi.
 
 In quel momento in cui scrissi quel messaggio a 
                              Paz, il capitano ribelle si trovava vicino a 
                              Agualrevés. Il giorno 5 era passato a La Estrella, 
                              al di sopra di Minas de Bueycito, dov’era giunto 
                              con più di 300 tori e 30 cavalli, raccolti a La 
                              Candelaria, vicino a Bayamo, compiendo il piano di 
                              riunire la maggior quantità di bestiame bovino 
                              nella Sierra, in attesa dell’annunciata offensiva 
                              nemica. Il giorno 9, Paz era già giunto a Santo 
                              Domingo, e il giorno seguente occupò le posizioni 
                              indicate nelle vicinanze della casa di Emilio 
                              Cabrera. A Santo Domingo restava il personale di 
                              Paco Cabrera Pupo, che si mosse seguendo a 
                              scendere il fiume e s’installo a Casa de Piedra.
 Nello stesso messaggio a Paz dell’8 maggio 
                              riassumevo le altre disposizioni difensive 
                              adottate negli accessi più diretti alla zona alta 
                              de La Plata, che, data la sua ubicazione e le 
                              condizioni che vi si erano create, avevo deciso di 
                              considerare come asse centrale della difesa:
 
 “A Providencia c’è [Eddy] Suñol, che farà la prima 
                              resistenza, e li frenerà sino a giungere a la casa 
                              di Piedra. Già nella casa di Piedra, Suñol 
                              ripiegherà nell’altura ed allora il cammino di 
                              Santo Domingo, comincia ad essere difeso dal 
                              plotone di Paco. [...] Lalo Sardiñas estará 
                              cuidando la entrada di Los Lirios e Loma Azul. Noi 
                              ci cureremo di la Plata”.
 
 Con queste disposizioni restavano coperti i 
                              principali accessi alla zona di La Plata da 
                              nordest. La possibile via di penetrazione a 
                              partire da Minas de Bueycito sarebbe stata difesa 
                              dal personale di Ramiro Valdés e dal rinforzo del 
                              Terzo Fronte, al comando di Guillermo.
 
 In quanto al settore sud, assieme con l’ubicazione 
                              di Paz a Palma Mocha, disposi quella stessa notte 
                              l’invio di un gruppo di combattenti alla bocca del 
                              rio La Plata, agli ordini dei capitani Pedro Miret 
                              e René Rodríguez.
 
 E a Crescencio trasmisi l’ordine di attaccare con 
                              una parte dei suoi uomini, la truppa nemica, 
                              presumibilmente sbarcata a El Macho. Nel settore 
                              nordovest si mantenevano per il momento le stesse 
                              posizioni assegnate dalla fine d’aprile.
 
 Il giorno 9, il nemico aumentò l’intensità del 
                              bombardamento, del mitragliamento aereo e del 
                              cannonneggiamento dalla fregata stazionata davanti 
                              alla costa, concentrati sulla conca del fiume La 
                              Plata. Già il giorno seguente cominciai a ricevere 
                              informazioni, nel senso che la notizia dello 
                              sbarco era falsa, come l’altra di un secondo 
                              sbarco a Palma Mocha nella stessa giornata. In 
                              vista di quello, decisi di ridistribuire di nuovo 
                              le nostre forze. Il plotone di Cuevas, che si 
                              trovava assieme alla squadra di Marcos Borrero nel 
                              cammino di Arroyón, sarebbe passato a Mompié, 
                              nell’altura della Maestra, come riserva destinata 
                              a muoversi in qualsiasi direzione necessaria. La 
                              squadra di Álamo, che stava con quella di Angelito 
                              Verdecia nel cammino del Cerro a Las Mercedes, si 
                              sarebbe ubicata a El Toro, a metà strada tra 
                              Mompié e Casa de Piedra, disponibile anche per 
                              muoversi verso il punto che necessitava un 
                              rinforzo. La squadra di Raúl Castro Mercader, 
                              ubicata con quella di Blas González nella strada 
                              di El Jíbaro, si sarebbe mossa più in alto di Las 
                              Mercedes, nel
 cammino verso Gabiro e San Lorenzo. Marcos Borrero 
                              e Blas González sarebbero rimasti nelle loro 
                              rispettive posizioni. Questi due capi sarebbero 
                              stati sostituiti nel comando dei loro plotoni 
                              prima dell’inizio dell’offensiva da Horacio 
                              Rodríguez e Alfonso Zayas, rispettivamente.
 Angelito Verdecia, da parte sua, passó due giorni 
                              dopo ad una posizione migliore sulla stessa 
                              strada, nella stessa collina di La Herradura. 
                              Restava al suo posto anche il resto del personale 
                              di Crescencio che copriva gli accessi da 
                              Cienaguilla.
 
 Nel settore a nordest, Suñol restava a 
                              Providencia, Lalo Sardiñas a Los Lirios e gli 
                              uomini di Guillermo e Ramiro nella zona di Minas 
                              de Bueycito, mentre la squadra di Paco Cabrera 
                              Pupo, destinata due giorni prima a Casa de Piedra, 
                              sarebbe passata ad una posizione nelle alture 
                              della Maestra, tra Santo Domingo e La Plata, da 
                              dove inoltre poteva attuare come riserva, secondo 
                              le circostanze. Questo personale restò alcuni 
                              giorni di più a Casa de Piedra, sino a quando Paco 
                              occupo la sua nuova posizione con una parte dei 
                              suoi uomini e l’altra parte restò nel luogo, al 
                              comando di Félix Duque. A Sud, Manuel Acuña 
                              sarebbe restato a El Macho con il personale della 
                              Colonna 7 inviato là; René Rodríguez e Pedrito 
                              allo sbocco del fiume La Plata, e Ramón Paz al 
                              fiume Palma Mocha.
 
 Nel messaggio con cui informai Celia da Mompié di 
                              queste nuove disposizioni e le chiesi che le 
                              facesse sapere al Che, insistetti anche che 
                              trasmettesse a tutti i nostri capitani che "per 
                              ogni cammino possibile
 del nemico, si devono preparare perlomeno venti 
                              linee difensive", e le indicai anche:
 
 “Le gestioni delle merci, scarpe e vestiti, vanno 
                              seguite realizzandole sino all’ultimo minuto. Con 
                              il tempo che abbiamo guadagnato, la nostra 
                              posizione è davvero migliore”.
 
 In un altro messaggio del giorno dopo, sempre da 
                              Mompié, scrissi alla stessa Celia:
 
 “In ogni forma non considero perdere le energie 
                              perchè anticipiamo i preparativi della difesa. Ci 
                              conviene, inoltre, disporre di un tempo minimo per 
                              completare alcune cose, tra le quali, il 
                              telefono”.
 
 [...] Nonostante il falso allarme, tutto il mondo 
                              deve rimanere in stato d’allerta perchè non ci 
                              possano sorprendere.
 
 A partire da quel momento, in effetti ci 
                              mantenemmo in piena disposizione combattiva ed 
                              accelerammo tutti i preparativi per la difesa del 
                              territorio. Il Che realizzò in quei giorni vari 
                              percorsi delle posizioni nel settore nordovest, 
                              per istruire direttamente i capi di ogni truppa. 
                              Le notizie dei movimienti di forze nemiche e 
                              dell’occupazione di punti diversi si 
                              moltiplicavano, quasi tutte infondate.
 
 Un’altra informazione, alla quale al principio 
                              demmo poco credito, fu quella dell’atterraggio di 
                              un piccolo aereo, il 10 maggio, sulla nostra 
                              fiammante pista Manacas. Ma era vera. Il giorno 
                              12, già confermata la notizia, diedi le istruzioni 
                              a a Crespo perchè cominciasse a fabbricare anche 
                              delle bombe che si potessero lanciare dall’aria e 
                              scrissi al Che:
 
 “Visto il fatto che è già atterrato un primo aereo 
                              ed è urgente la necessità di mantenere aperta 
                              questa via il maggior tempo possibile, oltre alla 
                              possibilità d’utilizzare il campo per azioni 
                              offensive, la zona acquista maggior importanza per 
                              noi ed è necessario difenderla nella maniera più 
                              efficace”.
 
 Per realizzarlo disposi di rafforzare il personale 
                              a El Macho con la squadra di riserva di Álamo, e 
                              le posizioni allo sbocco del fiume La Plata con 
                              una mitraglatrice calibro 50 - quella di Braulio 
                              Coroneaux - ed un mortaio, e d’inviare Paz alla 
                              spiaggia di Ocujal con l’altra calibro 50 - quella 
                              di Albio Ochoa e Fidel Vargas -, con la missione 
                              di coprire altri punti vicino dov’era possibile 
                              uno sbarco. In questo modo erano protetti quasi 
                              tutti gli accessi più favorevoli dal mare, salvo 
                              le bocche dei fiumi Palma Mocha e La Magdalena, 
                              perchè semplicemente non avevo personale 
                              disponibile in quel momento. Le piogge incessanti 
                              di quei giorni mi obbligarono a rimandare al 
                              giorno 13 il mio percorso personale di quelle 
                              posizioni per il quale, per la stessa ragione, 
                              dovetti impiegare tre giorni.
 
 Come risultato di quella ispezione diretta delle 
                              posizioni, modificai un poco la disposizione delle 
                              nostre forze sulla costa. Per rafforzare 
                              ulteriormente lo sbocco del fiume La Plata, 
                              destinai là la squadra di Álamo, e a El Macho 
                              lasciai il personale di Crescencio, incrementato, 
                              e subordinato in quella posizione e da quel 
                              momento ai capitani René Fiallo e Raúl Podio, 
                              mentre Manuel Acuña ritornava a coprire la foce 
                              del fiume Macío. In questa maniera, la conca del 
                              fiume La Plata si trasformava in una vera 
                              fortezza, con le possibilità, non solo d’impedire 
                              lo sbarco nemico, ma anche di fare una forte 
                              resistenza lungo il fiume, nel caso in cui le 
                              guardie fossero riuscite ad avanzare via terra. La 
                              mia unica preoccupazione importante in questo 
                              settore continuava ad essere la foce del fiume 
                              Palma Mocha, dove pochi giorni dopo riuscimmo 
                              finalmente a destinare una squadra comandata da 
                              Vivino Teruel.
 
 Eravamo convinti che con tutto quel congiunto di 
                              disposizioni e preparativi, avremmo potuto 
                              resistire al grande sforzo che il nemico 
                              organizzava. L’obiettivo strategico continuava ad 
                              essere la difesa organizzata del nostro territorio 
                              base e delle principali installazioni create nella 
                              zona: Radio Rebelde, la pista aerea, l’armería, 
                              gli ospedali, i Laboratori di confezioni, la 
                              “tasajera” per la carne salata , il carcere e la 
                              scuola delle reclute. La stessa dinamica della 
                              nostra ferrea resistenza, scaglionata attorno al 
                              nucleo centrale di questo territorio, avrebbe 
                              provocato, da una parte, la disgregazione del 
                              nemico e la perdita della sua iniziativa offensiva 
                              e, dall’altra, la concentrazione delle nostre 
                              forze, creando le condizioni che ci avrebbero 
                              permesso, dopo un periodo – che in maniera molto 
                              approssimativa calcolavamo di tre mesi- , di 
                              lanciarci in una controffensiva e sconfiggere, 
                              catturare o espellere il nemico dalla montagna.
 Il nostro spirito, in quei giorni precedenti, 
                              appariva chiaramente nelle linee finali che inviai 
                              a Faustino Pérez il 25 aprile:
 
 “Qui ci prepariamo per affrontare nelle prossime 
                              settimane l’offensiva della dittatura. 
                              Sconfiggerla è questione di vita o di morte. Il 
                              Movimento dev’essere molto cosciente di questa 
                              realtà e deve concentrare il suo sforzo nella 
                              difesa di questa. Il morale delle nostre truppe è 
                              altissimo; siamo sicuri che resisteremo e 
                              desideriamo che cominci l’avanzata”.
 
 In uno dei comunicati emessi alla metà di maggio 
                              da Radio Rebelde, dicevamo quanto segue, sui 
                              preparativi nemici e la nostra disposizione al 
                              combattimento:
 
 “Il Quartier Generale ribelle si mantiene 
                              informato in tutti i dettagli alles dei movimenti 
                              dei nemici. [...]”
 
 “Il popolo di Cuba sarà informato dettagliatamente 
                              del corso delle operazioni. Siamo alla vigilia 
                              della contesa più violenta che ha mai registrato 
                              la nostra storia Repubblicana. La Dittadura, 
                              lasciandosi trasportare dall’ottimismo, crede che 
                              dopo l’episodio dello sciopero generale, 
                              incontrerà scoraggiate le milizie rivoluzionarie”.
 
 “ Quelli che siamo veterani di qusta lotta così 
                              disuguale, quelli che un giorno ci ritrovammo con 
                              un pugno insignificante di uomini, quasi senza 
                              armi e senza pallottole; quelli che conosciamo 
                              queste montagne come il palmo delle nostre mani; 
                              quel che sappiamo su che classe di uomini 
                              contiamo, il valore di ogni combattente e la 
                              perizia di ogni comandante e capitano ribelle, noi 
                              ci sentiamo tranquilli. [...]”
 
 “È che ogni ribelle sa che anche se morirà ognuno 
                              dei nostri, sino all’ultimo, con il fucile in 
                              mano, sarà una vittoria, sarà un esempio immortale 
                              per le future generazioni, sarà rivivere nella 
                              nostra patria le grandi epopee della storia”.
 
 “Che bruti coloro che credono che chi ha vissuto 
                              con l’orgoglio di godere della libertà con le armi 
                              nelle mani, si potrebbe arrendere ed accettare 
                              sottomesso e pieno di vergogna il giogo 
                              dell’oppressione! Che sciocchi coloro che si fanno 
                              illusioni di fronte ad una legione di uomini che 
                              hanno sconfitto settanta volte il nemico nei campi 
                              di battaglia! All’invito di
 consegnare le armi, abbiamo una sola risposta: 
                              perchè non ordinate l’avanzata? È l’ora di 
                              combattere invece d’implorarre la resa”.
 
 Il 25 maggio, a las Vegas de Jibacoa, si svolse la 
                              prima riunione contadina in territorio ribelle. In 
                              quel giorno discutemmo con tutti gli abitanti 
                              della zona, e di molti altri luoghi vicini, le 
                              misure che consideravamo necessarie per asiscurare 
                              il raccolto del caffè e organizzare il resto delle 
                              attività economiche in vista del blocco imposto 
                              dal nemico alla Sierra e dell’imminente inizio 
                              dell’offensiva. In quella stessa giornata, molto 
                              vicino a dove eravamo riuniti con i nostri leali e 
                              dediti collaboratori contadini, cominciò la 
                              battaglia che avevamo tanto aspettato e per la 
                              quale ci eravamo preparati
 con tanta precisione, sicuri della vittoria.
 
 (Continuerà)
 
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