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                              Ci vedremo in agosto
 Gabriel García Marquez
 
                              
                              Primo capitolo:  
                              
                              Tornò all’Isola venerdì 16 agosto, con il 
                              traghetto delle due del pomeriggio. Vestiva una 
                              camicia a quadretti, pantaloni jeans, scarpe 
                              semplici con il tacco basso e senza calze,  un 
                              ombrello di raso e come unico bagaglio, una 
                              valigetta da spiaggia.  
                              
                               
                              
                              Nella fila di taxi del molo andò diretta ad un 
                              modello antico consumato dalla sanità. L’autista 
                              la ricevette con un saluto di vecchio conoscente e 
                              la portò a scossoni attraverso il povero paese, 
                              con case di canne e terra, e tetti di palma e 
                              strade di sabbia bianca di fronte ad un mare 
                              ardente.  
                              
                              Dovette fare capriole per evitare maiali impavidi 
                              e bambini nudi che lo burlavano con passi da 
                              torero.  
                              
                              Alla fine del paese s’infilò in un viale di palme 
                              reali, dove c’erano le spiagge e gli alberghi del 
                              turismo, tra il mare aperto e una laguna interna, 
                              popolata da aironi azzurri.  
                              
                              Infine si fermò all’hotel più vecchio e malridotto. 
                              
                              Il portiere l’aspettava con le chiavi dell’unica 
                              abitazione del secondo piano che dava sulla 
                              laguna.  
                              
                              Salì la scala con quattro lunghi passi ed entrò 
                              nella povera stanza con un forte odore 
                              d’insetticida,  occupata quasi completamente dall’enorme 
                              letto matrimoniale.  
                              
                              Tolse dalla valigetta un astuccio da viaggio di 
                              capretto e un libro appassionante che mise sul 
                              comodino, con una pagina marcata da un tagliacarte 
                              d’avorio.  
                              
                              Tolse una camiciola da notte di seta rosa e la 
                              mise sotto il cuscino. 
                              
                              Prese un fazzoletto di seta con stampati degli 
                              uccelli equatoriali, una camicia bianca a maniche 
                              corte e delle scarpe da tennis molto usate, che 
                              portò al bagno con l’astuccio da viaggio. 
                               
                              
                              Prima di rinfrescarsi si levò la camicia scozzese, 
                              la fede e l’orologio da uomo che usava sempre al 
                              polso destro, e si fece rapide abluzioni al viso 
                              per togliersi la polvere del viaggio e spaventare 
                              il sonno della siesta.  
                              
                              Quando terminò d’asciugarsi, soppesò nello 
                              specchio i suoi seni rotondi e alti nonostante i 
                              suoi due parti, già vicina alle soglie della terza 
                              età..  
                              
                              Si stirò le guance all’indietro con la punta del 
                              dita  per vedere com’era stata da giovane e vide 
                              la sua stessa maschera con gli occhi cinesi, il 
                              naso schiacciato, le labbra tumide.  
                              
                              Tralasciò le prime rughe del collo, che non 
                              avevano rimedio, e si mostrò i denti perfetti e 
                              ben spazzolati dopo il pranzo nel traghetto  Si 
                              strofinò sulle ascelle recentemente depilate il 
                              pomo del deodorante e si mise la camicia di cotone 
                              fresco con le iniziali AMB ricamate a mano sul 
                              taschino.  
                              
                              Si lisciò con la spazzola il capelli all’indiana 
                              lisci e lunghi sino alle spalle e si fece la coda 
                              di cavallo con il fazzoletto degli uccelli. Per 
                              terminare si ammorbidì le labbra con lo stick 
                              semplice di vaselina, si inumidì gli indici sulla 
                              lingua per lisciare le sopracciglia,  si pose un 
                              tocco di profumo amaro dietro ogni orecchio e 
                              infine si affrontò alla specchio con il suo viso 
                              di madre autunnale. 
                              
                              La pelle senza traccia di cosmetici si difendeva 
                              con il suo colore originale e gli occhi di topazio 
                              non avevano età nelle scure palpebre portoghesi. 
                              Si triturò a fondo, si giudicò senza pietà e si 
                              trovò quasi tanto bene come si sentiva. 
                               
                              
                              Solo quando si pose l’anello e l’orologio si rese 
                              conto del suo ritardo: mancavano sei alle cinque. 
                              Ma si concesse un minuto di nostalgia per 
                              contemplare gli aironi che planavano immobili nel 
                              vapore ardente della laguna.    
                              
                              I nuvoloni neri sul lato del mare le consigliarono 
                              la prudenza di portare l’ombrello.  
                              
                              Il taxi l’aspettava sotto  le palme da banana  del 
                              portale.  
                              
                              Si allontanò lungo il viale di palme sino ad uno 
                              slargo di alberghi, dove c’era un mercato popolare 
                              all’aria aperta e si fermò in un posto di fiori. 
                               
                              
                              Una negra grande che faceva la siesta su una sedia 
                              a sdraio si svegliò di soprassalto, riconobbe la 
                              donna nel sedile posteriore della macchina e le 
                              diede, tra risa e chiacchiere, il mazzo di 
                              gladioli che aveva preparato per lei dalla mattina.
                               
                              
                              Alcuni isolati più avanti il taxi girò in un 
                              sentiero appena transitabile che saliva in una 
                              cornice di pietre affilate. Attraverso l’aria 
                              rarefatta dal calore, si vedevano gli yacht per lo 
                              spasso  allineati nella darsena del turismo, il 
                              traghetto che se ne andava, il profilo remoto 
                              della città nella bruma dell’orizzonte e i Caraibi 
                              aperti.   
                              
                              Sulla cima della collina c’era il cimitero triste 
                              dei poveri.  
                              
                              Spinse senza fatica il portone ossidato ed entrò 
                              con il mazzo di fiori sul sentiero di tumuli 
                              inghiottiti dalle erbacce, con macerie di bare e 
                              pezzi di ossa calcinate dal sole.  
                              
                              Le tombe sembravano uguali nel cimiteri 
                              abbandonato, con una ceiba dai grandi rami al 
                              centro.  
                              
                              Le pietre affilate facevano male anche attraverso 
                              la suola di gomma riscaldata e il sole duro 
                              filtrava attraverso il raso dell’ombrello. 
                               
                              
                              Un’iguana apparve dai cespugli, si fermò di colpo 
                              davanti a lei, la guardò un istante e scappò a 
                              gambe levate.    
                              
                              Aveva finito di ripulire tre tombe ed era esausta 
                              e fradicia di sudore quando riuscì a riconoscere 
                              la lapide di marmo giallognolo con il nome di sua 
                              madre,  la data della sua morte, ventinove anni 
                              prima. Soleva darle notizie della casa, l’aveva 
                              informata con dati confidenziali perchè l’aiutasse 
                              a decidere se sposarsi  e pochi giorni dopo 
                              credette d’aver ricevuto la sua risposta in un 
                              sogno che le parve saggio e inequivocabile. 
                               
                              
                              Una cosa simile le era accaduta quando il figlio 
                              restò due settimane tra la vita  e la morte, solo 
                              che la risposta non le giunse in sogno, ma con una 
                              conversazione casuale con una donna che le si era 
                              avvicinata al mercato, senza nessun motivo. Non 
                              era superstiziosa, ma aveva la certezza razionale 
                              che l’identificazione perfetta con sua madre 
                              continuava dopo la sua morte.  
                              
                              Così le fece le domande dell‘anno, pose i fiori 
                              sulla tomba e se ne andò convinta che avrebbe 
                              ricevuto le risposte nel giorno meno pensato. 
                              
                              Missione compiuta : aveva ripetuto quel viaggio 
                              per vent’otto anni consecutivi ogni 16 agosto, 
                              alla stessa ora, nella stessa abitazione e nello 
                              stesso albergo, con lo stesso taxi e la stessa 
                              fiorista, sotto il sole di fuoco dello stesso 
                              indigente cimitero, per mettere un mazzo di 
                              gladioli freschi sulla tomba di sua madre. 
                               
                              
                              A partire da quel momento non aveva niente da fare 
                              fino alle nove di mattina del giorno dopo, quando 
                              prendeva il traghetto di ritorno.   
                              
                              Si chiamava  Ana Magdalena Bach, aveva compiuto 
                              cinquantadue  anni ed era sposata da ventitrè, in 
                              un matrimonio ben riuscito con un uomo che l’amava 
                              e con il quale si era sposata senza terminare gli 
                              studi di lettere, ancora vergine e senza 
                              fidanzamenti precedenti.  
                              
                              Suo padre era stato un maestro di musica che era 
                              ancora il direttore del Conservatorio 
                              
                              Provinciale a ottantadue anni, e sua madre era 
                              stata una celebre maestra delle elementari, 
                              montessoriana, che nonostante i suoi meriti, non 
                              volle essere nulla di più sino al suo ultimo 
                              respiro.  
                               
                              
                              Ana Magdalena aveva ereditato da lei la vivacità 
                              degli occhi gialli, la virtù delle poche parole e 
                              l’intelligenza per dissimulare la forza del suo 
                              carattere. 
                              
                              La volontà d’essere sepolta nell’isola l’aveva 
                              espressa tre giorni prima di morire.  
                              
                              Ana Magdalena la volle accompagnare sin dal primo 
                              viaggio, ma non parve prudente a nessuno, perchè 
                              lei stessa non credeva di poter sopravvivere alla 
                              propria angustia. 
                              
                              Nel primo anniversario suo padre l’accompagnò all’isola 
                              per mettere la lapide di marmo che dovevano sulla 
                              tomba.   
                              
                              La spaventò la traversata in una canoa con motore 
                              fuori bordo  che ci mise quasi quattro ore senza 
                              un istante di mare calmo. Ammirò le spiagge di 
                              farina dorata al limite stesso della selva vergine, 
                              la confusione assordante degli uccelli, il volo 
                              fantasma degli aironi nel ristagno della laguna 
                              interna. 
                               
                              
                              Ma la depressero la miseria del villaggio dove 
                              dovettero dormire alle intemperie, in un’amaca 
                              appesa tra due palme da cocco e la quantità di 
                              pescatori negri con un braccio mutilato per 
                              l’esplosione prematura delle cartucce di dinamite.
                               
                              
                              Ma al di sopra di tutto, senza dubbio, intese la 
                              volontà di sua madre quando vide lo splendore del 
                              mondo dalla cima del cimitero. Fu allora che si 
                              impose il dovere di portarle un mazzo di fiori 
                              tutti gli anni finchè avesse avuto vita. 
                               
                              
                              Agosto era il mese più caldo dell’anno e la 
                              stagione dei più violenti temporali, ma lei lo 
                              intese come un obbligo della sua vita privata, che 
                              doveva compiere senza mancanze e sempre da sola. 
                              Fu l’unica condizione che impose al suo uomo prima 
                              di sposarsi e lui ebbe l’intelligenza d’ammettere 
                              che era una cosa estranea al suo potere. 
                               
                              
                              Fu così che Ana Magdalena aveva visto crescere un 
                              anno dopo l’altro le scogliere di cristallo degli 
                              alberghi del turismo, era passata dalle canoe 
                              degli indiani ai motoscafi e da questi al 
                              traghetto, e  credeva d’avere motivi per sentirsi 
                              come il nativo più antico del villaggio. 
                               
                              
                              Quel pomeriggio quando tornò all’hotel, si sdraiò 
                              sul letto con addosso solamente le mutande di 
                              pizzo e riprese la lettura del libro che aveva 
                              cominciato durante il viaggio.  
                              
                              Era il Dracula originale di Bram Stoker. Era 
                              sempre stata una buona lettrice.  
                               Aveva sempre letto con rigore quello che più le 
                              piaceva, che erano i romanzi corti, come 
                              “Lazarillo de Tormes”, “Il vecchio e il mare”, “Lo 
                              straniero”. 
                              
                              Negli ultimi anni, avvicinandosi ai cinquanta, si 
                              era immersa a fondo nei romanzi soprannaturali. 
                              
                              Dracula l’aveva affascinata da sempre, ma quel 
                              pomeriggio cedette al tuono continuo del 
                              ventilatore appeso al tetto liscio, e si 
                              addormentò con il libro sul petto.  
                              
                              Si sveglio due ore dopo nelle tenebre, sudando a 
                              fiumi, di mal umore e morta di fame.  
                              
                              Non era un’eccezion nella sua routine di anni. Il 
                              bar dell’hotel restava aperto sino alle dieci 
                              della sera e già diverse volte era scesa a 
                              mangiare qualcosa prima di dormire.  
                              
                              Notò che c’erano più clienti che d’abitudine a 
                              quell’ora e  il barista non le parve lo stesso di 
                              prima. Ordinò per non sbagliarsi una panino, 
                              prosciutto, formaggio con pane tostato e un caffè 
                              e latte.          
                              
                              Aspettando che glielo portassero, si rese conto 
                              che era circondata dagli stessi clienti anziani di 
                              quando l’hotel era l’unico, o di scarse risorse 
                              come lei. Una bambina mulatta cantava boleros di 
                              moda e lo stesso Agustín Romero, già vecchio e 
                              cieco l’accompagnava bene e con amore allo stesso 
                              piano a mezza coda della festa d’inaugurazione.
                               
                              
                              Terminò in fretta, seccata dall’umiliazione di 
                              mangiare da sola, ma si sentì bene con la musica, 
                              che era dolce e tenera e la bambina sapeva 
                              cantare.  
                              
                              Quando tornò in sè restavano solo tre coppie ai 
                              tavoli, disperse, e proprio davanti a lei un uomo 
                              distinto che non aveva visto entrare.    
                               
                              
                               Vestiva di lino bianco come ai tempi di suo 
                              padre, con i capelli argentati e i badi da 
                              moschettiere che terminavano  a punta. Sulla 
                              tavola aveva una bottiglia di aguardiente e un 
                              bicchiere a meta, e sembrava un essere solo al 
                              mondo.       
                              
                              Il piano cominciò il Chiaro di Luna di  Debussy 
                              con una buona versione per bolero, e la bambina 
                              mulatta lo cantò con amore. Commossa, Ana 
                              Magdalena ordinò un gin con ghiaccio e soda, il 
                              solo alcoolico che si permetteva a volte e che 
                              sopportava bene. 
                              
                              Aveva imparato a gustarlo assieme a suo marito, un 
                              allegro bevitore sociale che la trattava con la 
                              cortesia e la complicità di un amante segreto.
                               
                              
                              Il mondo cambiò sin dal primo sorso. Si sentì bene, 
                              simpatica, allegra, capace di tutto e abbellita 
                              dalla  sacra miscela della musica con l’alcool.
                               
                              
                              Pensava che l’uomo della tavola di fronte non 
                              l’aveva guardata, ma quando lei lo guardò per la 
                              seconda volta, lo sorprese guardandola.    
                               
                              
                              Lui arrossì. Lei in cambio sostenne il suo sguardo 
                              mentre lui osservava l’orologio con la catena, lo 
                              guardò impaziente, guardò verso la porta, si versò  
                              un altro bicchiere, offuscato, perchè era già 
                              cosciente che lei lo guardava senza clemenza. 
                               
                              
                              Allora la guardò di fronte. Lei gli sorrise senza 
                              riserve e lui la salutò  con una lieve 
                              inclinazione della testa. 
                              
                              Allora lei si alzò, andò sino al tavolo di lui e 
                              lo assaltò con una stoccata da uomo.   
                              
                              “Le posso offrire qualcosa?”  
                              
                              L’uomo si ammorbidì .  
                              
                              “Sarebbe un onore”, disse. 
                              
                              “Mi basterebbe che fosse un piacere”, disse lei
                               
                              
                               Non aveva terminato che gia era seduta al tavolo 
                              e serviva il liquore nel bicchiere di lui e  nel 
                              suo. Lo fece con tanta abilità e tanto stile che 
                              lui non riuscì a prenderle la bottiglia per 
                              impedire che si servisse da sola.  
                              
                              “Salute”, disse lei  
                              
                               Lui si pose a tono e tutti e due bevettero dal 
                              bicchiere in un sorso. A lui andò di traverso, 
                              tossì con sussulti di tutto il corpo e restò 
                              bagnato di lacrime.           
                              
                              Tolse di tasca il fazzoletto candido con un lieve 
                              profumo di lavanda e la guardò attraverso il 
                              pianto. Tutti e due tacquero sino a che lui si 
                              asciugò con il fazzoletto e recuperò la voce. Lei 
                              osò aprire la conversazione con una domanda: “È 
                              sicuro che non verrà nessuno?” 
                              
                               “No”,  disse lui senza nessuna logica. “Era un 
                              tema  d’affari, ma già non verrà”.  
                               Lei lo guardò con un’espressione d’incredulità 
                              calcolata. 
                              
                              “Affari?” 
                              
                              Lui le rispose come un uomo, perchè lei non gli 
                              credesse: “Già non ci sono più per nessuno”.
                               
                              
                              E lei con una volgarità che non era sua, ma ben 
                              calcolata lo mise a tacere: “Sarà a casa sua”. 
                              
                              Continuò a  lavorarselo con il suo fine tatto. 
                              Giocò a indovinare l’età e si sbagliò per un anno 
                              di più: quarantasei.    
                              
                              Giocò a scoprire il suo paese d’origine dall’accento 
                              ma non lo indovinò in tre tentativi. 
                              
                              Provò ad indovinare la professione, ma lui si 
                              affrettò a dirle che era ingegnere civile e lei 
                              sospettò che fosse una menzogna per impedire che 
                              giungesse alla verità.  
                              
                              Parlarono dell’audacia di trasformare in bolero un 
                              pezzo sacro di Debussy, ma lui non lo aveva 
                              riconosciuto. Indubbiamente si rese conto che lei 
                              sapeva di musica e lui non aveva presente il 
                              Danubio blu.   
                              
                              Lei gli racconto che stava leggendo Dracula.
                              
                              
                              Lui lo aveva letto solamente da bambino in una 
                              versione infantile ed era sempre impressionato 
                              dall’idea che il conte sbarcava a Londra 
                              trasformato in un cane.    
                              
                              Al secondo bicchiere lei senti che l’aguardiente 
                              aveva incontrato il gin in qualche parte del suo 
                              cuore e si dovette concentrare per non perdere la 
                              testa.  ´ 
                              
                              La musica terminò alle undici e aspettavano solo 
                              che loro se ne andassero per chiudere.  
                              
                              A quell’ora lei lo conosceva già come se avesse 
                              vissuto con lui da sempre. 
                              
                              Sapeva che era pulito, impeccabile nel vestire, 
                              con le mani rozze, aggravate dal lucido naturale 
                              delle unghie   
                              
                              Si rese conto che era turbato dai grandi occhi 
                              gialli che lei non appartò dai suoi e che era un 
                              uomo buono e codardo. Sentì in sè il dominio 
                              sufficiente per fare quel passo, come non le era  
                              mai accaduto nemmeno nei sogni in tutta la sua 
                              vita, e gli disse senza misteri: Saliamo?” 
                               
                              
                              Lui disse con ambigua umiltà: “Io non vivo qui”.
                               
                              
                              Ma lei non attese nemmeno che terminasse di dirlo.  
                              Si alzò, scosse appena la testa per dominare 
                              l’alcool e i suoi occhi radianti splendettero. 
                              
                              “Io salgo prima, mentre lei paga”, gli disse.
                               
                              
                              “Secondo piano, numero 203 alla destra della scala. 
                              Non bussi, spinga e basta.” 
                              
                               Salì all’abitazione trascinata da una dolce 
                              inquietudine che non aveva sentito più dopo la sua 
                              ultima notte da vergine.  
                              
                              Accese il ventilatore al soffitto ma non la luce, 
                              e si spogliò nell’oscurità senza fermarsi. Lasciò 
                              il mucchio disordinato dei vestiti sul pavimento 
                              vicino alla porta del bagno.       
                              
                              Quando accese la lampada della toilette dovette 
                              chiudere gli occhi e respirare profondamente per 
                              regolare la respirazione e controllare il tremito 
                              delle mani.  
                              
                              Si lavò frettolosamente: il sesso, le ascelle, le 
                              dita dei piedi macerate dalla gomma delle scarpe, 
                              perchè nonostante il terribili sudori del 
                              pomeriggio, non aveva pensato di farsi la doccia 
                              sino all’ora di dormire.  
                              
                              Senza il tempo di spazzolarsi i denti, si pose 
                              sulla lingua un pizzico di dentifricio e tornò 
                              nell’abitazione illuminata solo dalla luce obliqua 
                              della toilette.  
                              
                              Non aspettò che il suo invitato spingesse la 
                              porta, ma l’aperse da dentro quando lo sentì 
                              arrivare. Lui si spaventò: Ehi! Mamma mia!” 
                               
                              
                              Ma lei non gli diede il tempo per altro nell’oscurità.
                               
                              
                              Gli tolse la giacca con energiche strappate, gli 
                              tolse la cravatta la camicia e tirò tutto al suolo 
                              al disopra della sua spalla.   
                              
                              Mentre lo faceva l’aria s’impregnava di un forte 
                              odore di acqua di lavanda. Lui cercò di aiutarla 
                              in principio, ma lei glielo impedì con la sua 
                              audacia e la sua autorità.  
                              
                              Quando lo ebbe nudo sino alla cintura, lo fece 
                              sedere sul letto e s’inginocchiò per togliergli le 
                              scarpe e le calze.  
                              
                              Lui nello stesso tempo aveva aperto la fibbia 
                              della cintura in modo che a lei bastò tirare i 
                              pantaloni per toglierglieli, e nessuno dei due si 
                              preoccupò per il rigagnolo delle chiavi e del 
                              pugno di soldi e di monete che caddero al suolo.
                               
                              
                              Alla fine lo aiutò a levarsi le mutande dalle 
                              gambe e si rese conto che non era molto ben 
                              servito come suo marito, che era l’unico che lei 
                              conosceva, ma era sereno ed era inalberato 
                               
                               
                              
                              Non gli lasciò nessuna iniziativa. 
                              
                              Andò a cavallo sopra di lui sino all’anima e lo 
                              divorò per lei, senza pensare in lui, sino a che 
                              tutti e due restarono esausti in un brodo di 
                              sudore.   
                              
                              Gli restò sopra lottando solo contro i primi dubbi  
                              della  sua coscienza sotto il getto caldo e il 
                              rumore soffocante del ventilatore, sino a che si 
                              rese conto che lui non respirava bene, aperto in 
                              croce sotto il peso del suo corpo.  
                              
                              Allora si tolse e si stese supina al suo fianco.
                               
                              
                              Lui rimase immobile sino a che riuscì a domandare 
                              con il primo fiato: “Perchè io?”  
                              
                              “Mi è sembrato molto uomo”, rispose.  “Venendo da 
                              una donna come lei disse lui, è un onore”. “Ah, 
                              scherzò lei, non è stato un piacere?”  
                              
                              Lui non rispose e tutti e due rimasero in preda 
                              dei rumori della notte.   
                              
                              La stanza era rilassante nella penombra della 
                              laguna.  
                              
                              Si udì un battito di ali vicino, Lui chiese: “Che 
                              cos’è?”  E lei gli  parlò delle abitudini degli 
                              aironi nella notte.  Dopo una lunga ora di banali 
                              sussurri, lei cominciò ad esplorare con le dita, 
                              lentamente, dal petto al basso ventre.  
                              
                              Lo esplorò poi con il tatto dei suoi piedi sulle 
                              gambe e si rese conto che era lui era tutto 
                              coperto da un pelo ricciuto e tenero che le 
                              ricordò l’erba d’aprile.   
                              
                              Poi cominciò a provocarlo con teneri baci nelle 
                              orecchie e sul collo e si baciarono per la prima 
                              volta sulle labbra.  
                              
                              Allora lui si rivelò un amante squisito che la 
                              portò senza fretta al più alto grado 
                              d’ebollizione. Lei si sorprese che delle mani così 
                              ordinarie fossero capaci di tanta tenerezza, ma 
                              quando lui cercò d’indurla al modo convenzionale 
                              del missionario, lei resistette timorosa che si 
                              rovinasse il prodigio della prima volta. 
                              
                               Lui s’impose però con fermezza, la maneggiò a suo 
                              gusto e maniera e la rese felice. 
                              
                              Erano le due quando la svegliò un tuono che fece 
                              tremare le strutture della casa e il vento forzò 
                              il chiavistello della finestra.   
                               S’affrettò a chiuderla e nell’istantaneo chiarore 
                              di un altro fulmine vide la laguna increspata e 
                              attraverso la pioggia, la luna immensa all’orizzonte 
                              e gli aironi azzurri che muovano le ali, senza 
                              aria, nella burrasca. 
                              
                              Ritornando a letto inciampò con i piedi nei 
                              vestiti di tutti e due.  
                              
                              Lasciò i suoi sul pavimento per raccoglierli dopo 
                              e pose la giacca di lui sulla sedia con sopra la 
                              camicia e la cravatta.  Piegò i pantaloni con cura 
                              per non sciupare la piega e  pose sopra le chiavi, 
                              il coltello e il denaro che erano caduti dalle 
                              tasche.  
                              
                              L’aria della stanza rinfrescava per il temporale, 
                              così si mise la camicia rosa di una seta così pura 
                              che le rabbrividì la pelle.  
                              
                              L’uomo addormentato su un fianco e con le gambe 
                              raccolte, le sembrò un enorme orfano e non riuscì 
                              a resistere ad una raffica di compassione. 
                               
                              
                              Si sdraiò alle sue spalle, lo abbracciò alla 
                              cintura e l’esalazione di ammoniaca del suo corpo 
                              zuppo di sudore le giunse all’anima.  
                              
                              Lui emise un aspro respiro e cominciò a russare.
                               
                              
                              Lei dormì appena e si svegliò nel silenzio del 
                              ventilatore elettrico quando se ne andò la luce e 
                              la stanza restò nella fosforescenza verde della 
                              laguna. 
                              
                              Lui adesso russava con un fischio continuo. Lei 
                              cominciò a tamburellare sulle sue spalle con la 
                              punta delle dita per semplice monelleria.   
                               
                              
                              Lui smise di russare con un improvviso soprassalto 
                              e il suo animale esausto cominciò a rivivere. Lei 
                              lo abbandonò per un istante e si tolse in un gesto 
                              la camicia da notte.   
                              
                              Ma quando tornò da lui furono inutili le sue arti, 
                              perchè si rese conto che lui faceva l’addormentato 
                              per non arrischiarsi per la terza volta. 
                              
                              Così si appartò all’altro lato de letto, si mise 
                              di nuovo la camicia e dormi profondamente voltando 
                              le spalle al mondo.  
                              
                              Il suo orario naturale la svegliò all’alba. 
                              Giacque un istante divagando ad occhi chiusi, 
                              senza osare di ammettere il battito delle sue 
                              tempie nè  il cattivo sapore di rame in bocca,  
                              per l’inquietudine che qualcosa d’ignoto 
                              l’aspettava nella vita reale.   
                              
                               Per via del rumore del  ventilatore si rese conto 
                              che la luce era tornata e l’alcova era già 
                              visibile per l’alba della laguna.  
                              
                              Di getto, come li raggio della morte, la fulminò 
                              la coscienza brutale che aveva fornicato e dormito 
                              per la prima volta nella sua vita con un uomo che 
                              non era il suo.  
                              
                              Si voltò a guardarlo spaventata al disopra della 
                              spalla, ma non c’era.  
                              
                              E non era nemmeno nel bagno. Accese le luci 
                              generali e vide che i vestiti di lui non erano lì, 
                              ma in cambio i suoi, che aveva gettato sul 
                              pavimento, erano piegati e messi quasi con amore 
                              sulla sedia.  
                              
                              Sino ad allora non si era resa conto che non 
                              sapeva niente di lui, nemmeno il nome, e l’unica 
                              cosa che le restava della sua notte pazza era un 
                              tenue odore di lavanda nell’aria purificata dalla 
                              burrasca.  
                              
                              Solo quando prese il libro dal comodino per 
                              metterlo nella valigetta, si accorse che le aveva 
                              lasciato  tra le pagine dell’orrore un biglietto 
                              da venti dollari.  
                              
                              Continua... |