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La verità sul Venezuela
Leonardo Caponi
Giornali e televisioni italiani e occidentali,
con rarissime eccezioni, danno del Venezuela e
delle sue attuali vicende, una rappresentazione
infondata e distorta, rivolta a criminalizzare
(innanzitutto sul piano ideologico) l’esperienza
di trasformazione sociale in atto in quel Paese
e il governo che, prima con Chavez, oggi con
Maduro, sta tentando di portarla avanti.
Lasciamo perdere, anche se meriterebbero una
trattazione particolare, le punte più ignobili e
infami di una vera e propria campagna
propagandistica tesa a giustificare
l’inserimento di quel Paese nell’elenco, tutto
americano, degli “stati canaglia”. Ce ne sarebbe
un campionario straordinario: da ricostruzioni
faziose e rovesciate degli avvenimenti,
all’inversione delle responsabilità e
all’occultamento di quelle determinanti della
destra fascista, alla contraffazione clamorosa
di foto e documenti e altro ancora; tutto quello
che fa parte del consueto e noto repertorio
“interventista” degli Stati Uniti e
dell’occidente verso quegli stati che non si
dimostrino supini alle loro volontà o che, come
nel caso del Venezuela, cerchino una difficile
strada di riscatto ed emancipazione.
L’informazione italiana fa vergogna
(specialmente quella pubblica, pagata con i
soldi di tutti!), per come è completamente
asservita e rassegnata a questa non verità,
priva di ogni spirito critico, che è il sale
stesso del fare giornalismo.
Ma, lasciamo perdere e cerchiamo di chiarire i
punti critici della situazione in Venezuela e di
rispondere alla sostanza delle accuse di
carattere politico ed economico, che vengono
diffuse, senza diritto di replica, tra
l’opinione pubblica e sulle quali si fonda
l’aggressione nei confronti di questo Paese.
In Venezuela, non c’è una dittatura.
Maduro e il suo governo, come fu per Chavez e i
suoi governi, sono stati eletti con libere e
democratiche elezioni. Maduro era stato eletto
l’anno scorso, mentre poche settimane prima
dell’inizio della “rivolta” e degli scontri di
piazza, lo scorso febbraio, la coalizione
bolivariana di sinistra che lo sostiene, aveva
ottenuto un grande successo alle elezioni
municipali in tutto il Paese.
La “Rivoluzione Bolivariana” e l’esperienza
politica del “Chavismo” sono una strada
originale di grande trasformazione sociale, per
via democratica ed elettorale, proiettata alla
costruzione di una società nuova, il cosiddetto
“Socialismo del XXI secolo, nel quale
indipendenza nazionale, giustizia e uguaglianza
poggiano (anzi ne sono la condizione) sul pieno
dispiegamento delle libertà collettive ed
individuali. In Venezuela non c’è stata nessuna
statalizzazione dei mezzi di produzione che, per
la gran parte, sono di proprietà privata.
In Venezuela c’è oggi una crisi economica che
interrompe una lunga fase di crescita
dell’economia e del PIL che si è protratta per
oltre un decennio fino al 2008. E’ una crisi
grave che ha provocato l’aumento dei prezzi e la
difficoltà a reperire sul mercato anche generi
alimentari essenziali, come il pane e il latte.
E’ questa senza dubbio che motiva la protesta e
le manifestazioni di piazza, sulle quali si
inserisce l’azione e le provocazioni della
destra reazionaria e fascista. Ma, di chi è la
colpa della crisi? L’opposizione interna e gli
“osservatori” occidentali sostengono che essa
sarebbe il prodotto della “sciagurata” politica
economica iniziata con Chavez e proseguita con
Maduro. Questi osservatori affermano che la
politica “sprecona” di grandi investimenti
sociali praticata dai governi bolivariani con i
proventi della vendita del petrolio, che ha
sottratto soldi al privato per darli al
pubblico, sarebbe incompatibile con la tenuta
dell’economia e alla base del crollo attuale.
Quindi, con una solfa come si vede molto simile
a quella che viene cantata in Italia ed in
Europa, si chiede di tagliare le risorse per
servizi sociali e pubblici per trasferirli al
privato e riavere così gli investimenti
necessari per lo sviluppo.
Ora, è vero; in Venezuela in questi anni è stata
praticata una grande politica sociale ed ha
ottenuto straordinari risultati nella lotta
contro la povertà e per l’emancipazione di tanta
parte della popolazione.
Secondo i dati del la Cepal (Comisión Económica
para América Latina y el Caribe) dal 2003 al
2013, i venezuelani sotto la soglia di povertà
sono passati dal 55% al 24%; 2 milioni persone
hanno imparato a leggere e scrivere grazie alla
Missión Robinson, la proporzione di medici per
abitante è passata da 18 su 1.000 del 1998 ai 58
su 1.000 di oggi; la mortalità infantile è
passata dal 25 per 1.000 del 1990 all’uno per
1.000 di oggi; dal 2003 sono state inaugurate 6
mila “casas de alimentación” che garantiscono
pasti gratuiti quotidiani ai più poveri.
Indicare questo straordinario processo
d’emancipazione come causa della penuria odierna
è immorale, prima ancora che politicamente ed
economicamente infondato. Il problema capitale
del Venezuela attuale è l’eccesso di
apprezzamento del dollaro sul bolivar, la moneta
locale, che impedisce l’afflusso di risorse in
dollari che sono necessari sia per gli
investimenti in nuove tecnologie per
l’estrazione del petrolio, sia per l’acquisto di
prodotti alimentari e di altro genere di cui il
Venezuela è grande importatore.
Questo differenziale, che è dettato dai“mercati”
dominati dagli Usa e dalle oligarchie
finanziarie, viene da essi stessi usato come una
clava per piegare la resistenza e l’autonomia
del Venezuela, un po’ sul modello, per capirsi,
di quello che è stato fatto da noi con lo
“spread” al fine di imporre lo smantellamento
delle conquiste sociali. Non è un caso che la
storia economica del Venezuela di questi anni, a
partire dai governi di Chavez, è la storia della
“rincorsa” del bolivar nei confronti del
dollaro, con adeguamenti dei tassi di cambio
fino alla necessitata creazione di un doppio
mercato della valuta, all’origine anche esso di
non pochi problemi di corruzione e mercato nero.
Il sistema ha retto in qualche modo fino a
quando il
Venezuela ha potuto immettere sul mercato grandi
quantità di petrolio; è precipitato a seguito
della crisi mondiale e dei tagli alla produzione
decisi dall’Opec e col concorso dello
strozzinaggio effettuato ai danni del Venezuela
da parte delle istituzioni finanziarie mondiali
(Fondo monetario e Banca mondiale) anch’esse
sotto l’egida statunitense.
Il responsabile della crisi odierna del Paese*
non è dunque la redistribuzione della ricchezza
che è stata avviata, ma quello che si chiama lo
scambio ineguale tra le grandi potenze e i Paesi
del terzo mondo. Sulla situazione di disagio
oggettivo della popolazione si sono poi inserite
e sovrapposte le azioni di sabotaggio e
aggiotaggio di una parte dei commercianti e
degli imprenditori locali (imboscamento dei
prodotti, aumenti ingiustificati dei prezzi
ecc.), l’opposizione senza quartiere del centro
destra, gli atti eversivi e le provocazioni dei
fascisti che rischiano (ma in fin dei conti il
loro obiettivo è questo) di gettare il Paese nel
caos. Per fortuna, l’opposizione è divisa tra
un’ala più estremista e una più moderata. Ma la
divisione pare prevalentemente di carattere
“metodologico” o tattico e sulla valutazione dei
rapporti di forza: in realtà conservatori e
reazionari, sostenuti ed alimentati dagli Usa,
sono uniti su un obiettivo comune che non è,
beninteso, quello di risolvere i problemi e
migliorare la condizione della gente ma,
semplicemente, di rovesciare i nuovi rapporti
sociali instaurati dalla Rivoluzione
Bolivariana.
È una lotta di classe, ideologica e politica,
della borghesia e dei più ricchi che non
tollerano l’idea di aver perso, pur se
parzialmente, il loro potere.
Bisogna aiutare il Venezuela a resistere. (
Leonardo Caponi è ex senatore di Rifondazione
comunista e giornalista di Perugia).
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