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E S T E R I

 L'Avana. 13 Maggio  2014

   

La verità sul Venezuela

Leonardo Caponi

Giornali e televisioni italiani e occidentali, con rarissime eccezioni, danno del Venezuela e delle sue attuali vicende, una rappresentazione infondata e distorta, rivolta a criminalizzare (innanzitutto sul piano ideologico) l’esperienza di trasformazione sociale in atto in quel Paese e il governo che, prima con Chavez, oggi con Maduro, sta tentando di portarla avanti. Lasciamo perdere, anche se meriterebbero una trattazione particolare, le punte più ignobili e infami di una vera e propria campagna propagandistica tesa a giustificare l’inserimento di quel Paese nell’elenco, tutto americano, degli “stati canaglia”. Ce ne sarebbe un campionario straordinario: da ricostruzioni faziose e rovesciate degli avvenimenti, all’inversione delle responsabilità e all’occultamento di quelle determinanti della destra fascista, alla contraffazione clamorosa di foto e documenti e altro ancora; tutto quello che fa parte del consueto e noto repertorio “interventista” degli Stati Uniti e dell’occidente verso quegli stati che non si dimostrino supini alle loro volontà o che, come nel caso del Venezuela, cerchino una difficile strada di riscatto ed emancipazione.

L’informazione italiana fa vergogna (specialmente quella pubblica, pagata con i soldi di tutti!), per come è completamente asservita e rassegnata a questa non verità, priva di ogni spirito critico, che è il sale stesso del fare giornalismo.

Ma, lasciamo perdere e cerchiamo di chiarire i punti critici della situazione in Venezuela e di rispondere alla sostanza delle accuse di carattere politico ed economico, che vengono diffuse, senza diritto di replica, tra l’opinione pubblica e sulle quali si fonda l’aggressione nei confronti di questo Paese.

In Venezuela, non c’è una dittatura.

Maduro e il suo governo, come fu per Chavez e i suoi governi, sono stati eletti con libere e democratiche elezioni. Maduro era stato eletto l’anno scorso, mentre poche settimane prima dell’inizio della “rivolta” e degli scontri di piazza, lo scorso febbraio, la coalizione bolivariana di sinistra che lo sostiene, aveva ottenuto un grande successo alle elezioni municipali in tutto il Paese.

La “Rivoluzione Bolivariana” e l’esperienza politica del “Chavismo” sono una strada originale di grande trasformazione sociale, per via democratica ed elettorale, proiettata alla costruzione di una società nuova, il cosiddetto “Socialismo del XXI secolo, nel quale

indipendenza nazionale, giustizia e uguaglianza poggiano (anzi ne sono la condizione) sul pieno dispiegamento delle libertà collettive ed individuali. In Venezuela non c’è stata nessuna statalizzazione dei mezzi di produzione che, per la gran parte, sono di proprietà privata.

In Venezuela c’è oggi una crisi economica che interrompe una lunga fase di crescita dell’economia e del PIL che si è protratta per oltre un decennio fino al 2008. E’ una crisi grave che ha provocato l’aumento dei prezzi e la difficoltà a reperire sul mercato anche generi alimentari essenziali, come il pane e il latte. E’ questa senza dubbio che motiva la protesta e le manifestazioni di piazza, sulle quali si inserisce l’azione e le provocazioni della destra reazionaria e fascista. Ma, di chi è la colpa della crisi? L’opposizione interna e gli “osservatori” occidentali sostengono che essa sarebbe il prodotto della “sciagurata” politica economica iniziata con Chavez e proseguita con Maduro. Questi osservatori affermano che la politica “sprecona” di grandi investimenti sociali praticata dai governi bolivariani con i proventi della vendita del petrolio, che ha sottratto soldi al privato per darli al pubblico, sarebbe incompatibile con la tenuta dell’economia e alla base del crollo attuale. Quindi, con una solfa come si vede molto simile a quella che viene cantata in Italia ed in Europa, si chiede di tagliare le risorse per servizi sociali e pubblici per trasferirli al privato e riavere così gli investimenti necessari per lo sviluppo.

Ora, è vero; in Venezuela in questi anni è stata praticata una grande politica sociale ed ha ottenuto straordinari risultati nella lotta contro la povertà e per l’emancipazione di tanta parte della popolazione.

Secondo i dati del la Cepal (Comisión Económica para América Latina y el Caribe) dal 2003 al 2013, i venezuelani sotto la soglia di povertà sono passati dal 55% al 24%; 2 milioni persone hanno imparato a leggere e scrivere grazie alla Missión Robinson, la proporzione di medici per abitante è passata da 18 su 1.000 del 1998 ai 58 su 1.000 di oggi; la mortalità infantile è passata dal 25 per 1.000 del 1990 all’uno per 1.000 di oggi; dal 2003 sono state inaugurate 6 mila “casas de alimentación” che garantiscono pasti gratuiti quotidiani ai più poveri.

Indicare questo straordinario processo d’emancipazione come causa della penuria odierna è immorale, prima ancora che politicamente ed economicamente infondato. Il problema capitale del Venezuela attuale è l’eccesso di apprezzamento del dollaro sul bolivar, la moneta locale, che impedisce l’afflusso di risorse in dollari che sono necessari sia per gli investimenti in nuove tecnologie per l’estrazione del petrolio, sia per l’acquisto di prodotti alimentari e di altro genere di cui il Venezuela è grande importatore.

Questo differenziale, che è dettato dai“mercati” dominati dagli Usa e dalle oligarchie finanziarie, viene da essi stessi usato come una clava per piegare la resistenza e l’autonomia del Venezuela, un po’ sul modello, per capirsi, di quello che è stato fatto da noi con lo “spread” al fine di imporre lo smantellamento delle conquiste sociali. Non è un caso che la storia economica del Venezuela di questi anni, a partire dai governi di Chavez, è la storia della “rincorsa” del bolivar nei confronti del dollaro, con adeguamenti dei tassi di cambio fino alla necessitata creazione di un doppio mercato della valuta, all’origine anche esso di non pochi problemi di corruzione e mercato nero. Il sistema ha retto in qualche modo fino a quando il

Venezuela ha potuto immettere sul mercato grandi quantità di petrolio; è precipitato a seguito della crisi mondiale e dei tagli alla produzione decisi dall’Opec e col concorso dello strozzinaggio effettuato ai danni del Venezuela da parte delle istituzioni finanziarie mondiali (Fondo monetario e Banca mondiale) anch’esse sotto l’egida statunitense.

Il responsabile della crisi odierna del Paese* non è dunque la redistribuzione della ricchezza che è stata avviata, ma quello che si chiama lo scambio ineguale tra le grandi potenze e i Paesi del terzo mondo. Sulla situazione di disagio oggettivo della popolazione si sono poi inserite e sovrapposte le azioni di sabotaggio e aggiotaggio di una parte dei commercianti e degli imprenditori locali (imboscamento dei prodotti, aumenti ingiustificati dei prezzi ecc.), l’opposizione senza quartiere del centro destra, gli atti eversivi e le provocazioni dei fascisti che rischiano (ma in fin dei conti il loro obiettivo è questo) di gettare il Paese nel caos. Per fortuna, l’opposizione è divisa tra un’ala più estremista e una più moderata. Ma la divisione pare prevalentemente di carattere “metodologico” o tattico e sulla valutazione dei rapporti di forza: in realtà conservatori e reazionari, sostenuti ed alimentati dagli Usa, sono uniti su un obiettivo comune che non è, beninteso, quello di risolvere i problemi e migliorare la condizione della gente ma, semplicemente, di rovesciare i nuovi rapporti sociali instaurati dalla Rivoluzione Bolivariana.

È una lotta di classe, ideologica e politica, della borghesia e dei più ricchi che non tollerano l’idea di aver perso, pur se parzialmente, il loro potere.

Bisogna aiutare il Venezuela a resistere. ( Leonardo Caponi è  ex senatore di Rifondazione comunista e giornalista di Perugia).  
 

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