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Chi conoce la jutía?
Lungo dai 30 ai 50 cm. e del peso di circa 7 kg,
questo animale, di abitudini notturne e
d’aspetto un po' simile ad un grosso ratto, ha
la pelliccia di colore grigio-nerastro.
La
jutía, detta anche hutía conga, è un tipico
roditore di Cuba (Capromys pilorides).
Tra tutti i rappresentanti del genere Capromys,
una volta ben rappresentato in tutte le Antille,
proprio la jutía conga è la specie ancora oggi
più numerosa, avendo trovato rifugio nella
grande riserva di Ciénaga de Zapata, nella parte
sud-occidentale dell'isola, dove è ospitata
anche una ricca avifauna.
Carne di jutía, insieme a una abbondante
quantità di pesce e di carne di iguana, era una
delle portate del pantagruelico pranzo offerto
in onore di un cacicco ospite, di cui riferirà a
Cristoforo Colombo la pattuglia scesa a terra
per una ricognizione all'indomani dello sbarco a
Puerto Grande (l'attuale Guantánamo), il 30
aprile del 1494, in occasione del suo secondo
viaggio (25 settembre 1493 - 11 giugno 1496).
È probabile che un enorme numero di jutie sia
stato utilizzato come cibo non solo dalle
popolazioni native dell'isola, ma anche dagli
schiavi negri che riuscivano ad ottenere la
libertà con la fuga: molto spesso infatti sono
stati trovati resti di questo animale tra i
rifiuti che si accumulavano all'esterno delle
loro abitazioni, in special modo delle capanne
usate come rifugio dai cimarrones.
L'animale, benché ormai raro, è ben presente
nell'immaginario popolare cubano: per indicare
una situazione difficilissima e pericolosa si
dice “La cosa está de carne de jutía”, mentre di
un taccagno o di un miserabile si dirà “Ser
carne de jutía”.
Scrive Bernhard Grzimez (Vita degli animali.
Moderna Enciclopedia del regno animale/, 14
voll., Milano, Bramante Editrice, 1969-1974):
“L'arrivo dell'uomo bianco, che disboscò vaste
zone di foreste per sfruttarle dal punto di
vista agricolo, e introdusse nelle isole cani,
gatti e altri animali, determinò fatalmente il
destino della maggior parte di questi Roditori
dei Caraibi. Soltanto pochi tra essi riuscirono
a sopravvivere rifugiandosi in territori
difficilmente accessibili.
La sorte dell'esiguo patrimonio residuo dei
capromidi venne decisa irrimediabilmente nella
seconda metà del secolo scorso: attorno al 1870,
per limitare la diffusione dei ratti, furono
infatti introdotte nelle Antille le Mangoste
indiane.
Esse uccisero un gran numero di Jutías, che non
erano in grado di contrastare validamente le
aggressioni di simili nemici, per cui ne
divennero delle facili prede. (Archivio
cubano)
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