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Nè dimenticati, nè morti
• Nello spazio più sacro
del quartiere La Matilde, s’incontrano in un
Mausoleo i gloriosi germogli di questa terra,
che lasciarono la casa, le mogli e i figli quel
24 luglio del 1953
Adianez
Fernández Izquierdo
Tra il canto degli uccelli, l’andare e venire
degli abitanti, proprio nello spazio più sacro
del quartiere La Matilde, vivono i figli più
amati di Artemisa. In armonia con la città che
ha forgiato il loro spirito di leoni, riposano
fiduciosi, tranquilli e sicuri.
Dal loro posto continuano vigilanti, con il
fucile sulla spalla, nel caso fosse necessario
come in quelle giornate degli anni ’50.
Così restano nel Mausoleo ai Martiri di
Artemisa i gloriosi germogli di questa terra.
Dal 16 luglio del 1977 sono tornati nel luogo
dove molti lasciarono una casa, le mogli e figli
quel 24 luglio del 1953. La loro grande casa
aperse le braccia, ringraziando per il loro
ritorno, trionfanti.
L’idea di costruire il Mausoleo è stata dei
familiari dei martiri e dei combattenti del
territorio, ha ricordato Mabel Martínez
Deulofeu, direttrice dell’istituzione. Approvata
por dal Governo, fu affidato il compito agli
architetti Augusto Rivero, Marcial Díaz e
Dolores Espinosa.
L’opera è stata preceduta da una precisa
investigazione storica, per far sì che il
progetto s’inserisse nella comunità, e quegli
uomini che diedero la loro vita per difendere un
rimanessero vicini e tangibili.
Anche se il Mausoleo è l’opera più grande, il
complesso monumentale comincia nella Carretera
Central, tra Guanajay e Artemisa.
Diciassette tumuli o elevazioni all’entrata
della città indicano la partenza degli
assaltanti per Santiago di Cuba. Ogni cubo di
marmo rappresenta uno dei morti. Questo
elemento geometrico, il più puro e semplice, è
simbolo delle idee per le quali lottarono.
Un labirinto all’entrata del Mausoleo inizia il
cammino. Sei muri di ceramica cristallizzata
riflettono la realtà cubana dopo il colpo di
Stato: vediamo l’Università de L’Avana, la
Marcia delle Fiaccole, azioni clandestine,
pratiche di tiro, la Loggia Evolución, una madre
ansiosa aspettando in un balcone e a grandezza
maggiore, la figura di Martí, che fu la fonte
ispiratrice di quei giovani.
Dopo il labirinto si giunge al luogo dove
riposano quei morti - uccisi nelle azioni o
successivamente per l’ira scatenata dalla
tirannia- nelle nicchie situate in pareti semi
inclinate a forma di collinetta.
La luce li accompagna. E anche l’aria e il canto
degli uccelli e il continuo passare degli
abitanti giunge da fuori, perchè nulla di quello
che accade nella città resti loro estraneo.
Nel centro, una nicchia accoglie i fiori che il
popolo pone in loro onore.
Un museo espone alcuni dei loro oggetti,
ricordi che li accompagnarono, fotografie…
Sopra, il Cubo della Vittoria, simbolo di
questa città li protegge e si alza come
l’elemento più simbolico di Artemisa. Fidel e
Raúl mantengono in alto i loro fucili, in un
richiamo costante di lotta contro il mal fatto,
contro l’ingiustizia.
E fuori, circondati dalla luce, tra majaguas,
ocujes e palme, riposano dal 2000 gli
artemisegni moncadisti, morti dopo il trionfo
della Rivoluzione, dopo aver dedicato la loro
vita a questa grande opera.
Sin qui vengono ogni giorno i bambini, i
lavoratori, gli anziani e i compagni di lotta,
nessuno vuole tralasciare il sacro istante
dell’omaggio agli eroi. Tutti li vogliono
sentire vicini. Forse qualcuno parla con loro,
conversa con loro, perchè, come ha detto Fidel,
non sono nè dimenticati, nè morti. (Traduzione
GM - Granma Int.)
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